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Versi 158-201: Viene descritta la vastità e l’infinità dell’Universo, rispetto al quale l’uomo non è che un insignificante e minuscolo punto di luce fioca.
Versi 202-236: Leopardi descrive qui con grande efficacia la forza distruttrice della Natura, di fronte alla quale l’uomo non può nulla: città, Imperi, famiglie vengono sovrastate dalla potenza cieca della matrigna degli uomini.
Versi 237-296: Viene rievocata qui l’eruzione del Vesuvio del 70 d.C. che distrusse le città di Pompei ed Ercolano. La Natura assume di nuovo l’immagine di forza indistruttibile e insensibile.
Versi 297-317: Leopardi torna qui all’immagine con la quale si era aperta la canzone: quella della ginestra. Il docile fiore diventa emblema del pensiero del poeta illuminato, che si erge contro la Natura crudele e la stoltezza degli esseri umani.
La Ginestra, il componimento più lungo di Giacomo Leopardi, può essere facilmente riassunta seguendo le sette strofe di cui è composta.
Versi 1-51: Viene introdotta la ginestra, fiore che solitario cresce sulle pendici del Vesuvio e che offre a Leopardi lo spunto per polemizzare contro coloro che sono soliti lodare le capacità umane.
Versi 52-86: Si accende qui l’aspra invettiva contro la cultura dominante nell’Ottocento, che ha insuperbito gli uomini e ha costituito una regressione nel pensiero, abbandonando quanto era stato appreso con il Rinascimento e l’Illuminismo.
Versi 87-157: Dopo aver illustrato in cosa consistono la stoltezza e la nobiltà dell’uomo, Leopardi propone qui una soluzione di riscatto alla misera condizione umana: l’unione e la collaborazione di tutti gli uomini contro la comune nemica, la Natura.
La Ginestra o il fiore del deserto è uno degli ultimi componimenti scritti da Giacomo Leopardi. Composta nella primavera del 1836, quando l’autore di Recanati si trovava a Napoli da ormai tre anni, La Ginestra dà voce a una acuta riflessione sul presente che Leopardi vive, pregna di un forte pessimismo e di una aspra critica al «secolo superbo e sciocco». L'Ottocento aveva infatti seminato nell’essere umano la presunzione di costituire il perno attorno al quale ruota l’intero universo, essere superiore capace di scegliere da sé il proprio destino. È una linea di pensiero cui Leopardi si oppose per tutta la vita: proprio per questo La Ginestra può essere considerata il testamento letterario e spirituale dell’autore.
Si tratta di una canzone libera di sette strofe di endecasillabi e settenari, dove ogni strofa viene chiusa da un endecasillabo, con qualche rima nel mezzo e in fine di verso.
Sotto il titolo il poeta riporta una citazione evangelica che, come commenta Carlo Salinari, "ha valore ironico contro lo spiritualismo e il vacuo ottimismo".
La Ginestra è quindi una canzone di Giacomo Leopardi pubblicata per la prima volta nell’edizione napoletana dei Canti curata da Antonio Ranieri (1845). La Ginestra costituisce un approfondimento della linea di pensiero già perseguita nelle Operette Morali: Leopardi sviluppa qui l’aspra critica nei confronti del suo tempo. L’input gli viene dato dalla vista della ginestra, un docile fiore che vede crescere sulle pendici del Vesuvio, lì dove città ed esseri umani sono stati distrutti dalla crudeltà della Natura che non si cura dei propri figli. Da qui, Leopardi sviluppa tutto la propria polemica e il proprio scetticismo verso gli uomini a lui contemporanei che credono di essere immortali, mentre in realtà sono impotenti di fronte alla smisurata potenza della Natura. Dalla consapevolezza della propria misera condizione deve nascere, secondo Leopardi, un sentimento di solidarietà umana.