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Prima edizione nel 1857 suscitò scandalo nei benpensanti e mandò l'autore a processo per oscenità. L'opera fu ritirata dal mercato e alcuni testi furono estromessi.
Solo post mortem l'opera ha ripreso la sua originale composizione
La struttura e il titolo
I Fiori del male sono un'opera unitaria, con un disegno organico, inteso a ricostruire un tormentato percorso esistenziale e poetico.
Si parte dal tentativo di fuga dallo SPLEEN, lo stato di depressione cupa, di noia, di disgusto per il mondo, borghese, ipocrita, cercando la bellezza non convernzionale, cercando piacere nel degrado e nella colpa.
Sono questi i quadri parigini, in cui lo squallore della città industriale, l'alienazione, generano una necessaria evasione attraverso Alcool e oppio, o anche solo vino. Il Vizio elevato all'assoluto. La stregolatezza. Fino all'appello finale a Satana, in una blasfema "preghiera", e l'invocazione della morte come possibilità di esplorazione dell'ignoto.
Lo stesso titolo allude a quella natura che Baudelaire vede come "malata", mostruosa, velenosa, specchio di ciò che abbiamo dentro di noi: l'esasperazione
I Temi
Baudelaire nega violentemente i valori e gli ideali della società di massa, del progresso, mostrando i vero volto di quella stessa borghesia.
Ne denuncia il marciume e con un gesto provocatorio, abbraccia il lettore nella comune miseria.
Le metropoli industriali hanno distrutto i valori del passato, le possibilità dei rapporti umani e l'autenticità della vita. Anche la cultura è destinata alla corruzione.
A questo punto è meglio annichilirsi e perdersi, scendere negli inferi e vivere una realtà completamente dissoluta.
La Noia
Lo SPLEEN è la noia, la malinconia, la consapevolezza che tutto è merce e profitto.
Si tratta di una condizione peggiore dell'infelicità personale, perché non conduce ad una catastrofe terribile ma sublime. Il mondo verrà ingoiato da uno sbadiglio
Non c'è riscatto neanche con l'amore verso la donna. La donna per Baudelaire è un essere corporeo, carne destinata alla degradazione fisica di vermi e tombe, o peggio ancora diventa demonio, minacciosa ed inquietante.
Quando, come un coperchio, il cielo pesa greve
Sull’anima gemente in preda a lunghi affanni,
E in un unico cerchio stringendo l’orizzonte
Riversa un giorno nero più triste dell notti;
Quando la terra cambia in un’umida cella,
Entro cui la Speranza va, come un pipistrello,
Sbattendo la sua timida ala contro i muri
E picchiando la testa sul fradicio soffitto;
Quando la pioggia stende le sue immense strisce
Imitando le sbarre di una vasta prigione,
E, muto e ripugnante, un popolo di ragni
Tende le proprie reti dentro i nostri cervelli;
Delle campane a un tratto esplodono con furia
Lanciando verso il cielo un urlo spaventoso,
Che fa pensare a spiriti erranti e senza patria
Che si mettano a gemere in maniera ostinata.
– E lunghi funerali, senza tamburi o musica,
Sfilano lentamente nel cuore; la Speranza,
Vinta, piange, e l’Angoscia, dispotica ed atroce,
Infilza sul mio cranio la sua bandiera nera…
Sempre il mare, uomo libero, amerai!
perché il mare è il tuo specchio; tu contempli
nell’infinito svolgersi dell’onda
l’anima tua, e un abisso è il tuo spirito
non meno amaro. Godi nel tuffarti
in seno alla tua immagine; l’abbracci
con gli occhi e con le braccia, e a volte il cuore
si distrae dal tuo suono al suon di questo
selvaggio ed indomabile lamento.
Discreti e tenebrosi ambedue siete:
uomo, nessuno ha mai sondato il fondo
dei tuoi abissi; nessuno ha conosciuto,
mare, le tue più intime ricchezze,
tanto gelosi siete d’ogni vostro
segreto. Ma da secoli infiniti
senza rimorso né pietà lottate
fra voi, talmente grande è il vostro amore
per la strage e la morte, o lottatori
eterni, o implacabili fratelli!
la tomba, confidente del mio sogno infinito
(perché la tomba sempre comprenderà il poeta):
in quelle lunghe notti da cui il sonno è bandito
ti dirà: “A che ti serve, cortigiana mancata,
Di non aver conosciuto quel che i morti rimpiangono?”
– E il verme roderà la tua pelle come un rimorso.
Quando tu dormirai, mia bella tenebrosa,
sul fondo di un monumento in marmo nero
e quando non avrai per alcova e dimora
che una cripta piovosa e una fossa profonda;
quando la pietra, opprimendo il tuo seno angosciato
e i tuoi fianchi ammorbiditi in indolente abbandono,
impedirà al tuo cuore di battere e di volere,
e ai tuoi piedi di correre all’avventura,
ripenserai la tua foga omicida,
e gli immensi abbandoni;
ripenserai le forsennate grida,
e le canzoni;
ripenserai le lagrime delire,
e i giuramenti a Dio,
o bugiarda, di vivere e morire
pel genio mio!
E allora sentirai l’onda dei vermi
salir nel tenebrore,
e colla gioia di affamati infermi
morderti il cuore.
Quando sarai nel freddo monumento
immobile e stecchita,
se ti resta nel cranio un sentimento
di questa vita,
ripenserai l’alcova e il letticciuolo
dei nostri lunghi amori,
quand’io portava al tuo dolce lenzuolo
carezze e fiori.
Ripenserai la fiammella turchina
che ci brillava accanto;
e quella fiala che alla tua bocchina
piaceva tanto!
Spesso, per divertirsi, i marinai
Prendono degli albatri, grandi uccelli dei mari,
Che seguono, pigri compagni di viaggio,
Le navi in volo sugli abissi amari.
L’hanno appena depositato sulla tolda [il ponte della nave],
E già il re dell’azzurro, maldestro e impacciato,
Strascina pietosamente accanto a sé
Le grandi ali bianchi come se fossero remi.
Com’è sinistro e fiacco il viaggiatore alato!
Lui, poc’anzi così bello, com’è comico e brutto!
Uno gli mette la pipa sotto il becco,
Un altro, zoppicando, imita lo storpio che volava!
Il Poeta è come lui, principe delle nubi
Che sta con l’uragano e ride degli arcieri;
“Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua.
Ma di che cosa? Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi.
E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa , chiedete al vento, alle stelle, gli uccelli, l’orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è: e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l’orologio, vi risponderanno:
– È ora di ubriacarsi! Per non essere schiavi martirizzati dal Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare.”
Dalle opere di Baudelaire prenderanno spunto altri poeti francesi, che vengono poi uniti in una raccolta intitolata così.
L'autore è Paul Verlaine, che raccoglie le sue poesie insieme a quelle di Stephane Mallarmé e Arthur Rimbaud, ma anche di altri scrittori minori.
Proprio la storia tra Verlaine e Rimbaud richiede un'attenzione particolare
Un giovanissimo Arthur Rimbaud, scontroso, geniale, sopra le righe, piomba nella vita infelice di Paul Verlaine, appena sposato con una giovanissima donna, secondo le usanze della borghesia.
Insieme vivono anni di fughe, violenza, passione, litigi e poesia. Finchè Verlaine riesce a staccarsi da questo vortice e torna a casa dalla moglie, con la consapevolezza di aver scritto le migliori cose in compagnia del giovane amante.
Inghiotto una gran bella boccata di veleno. – Tre volte benedetto sia il consiglio che mi è toccato! – Le mie viscere bruciano. La violenza del veleno mi storce le membra, mi fa difforme, mi rovina. Muoio di sete, soffoco, non posso gridare. E’ l’inferno, l’eterna pena! Vedete come il fuoco si risolleva ! Brucio come si deve. Va’, demonio !
Avevo intravisto la conversione al bene e alla gioia, la salvezza. Posso forse descrivere la visione, l’aria dell’inferno non sopporta gli inni! Erano milioni di creature adorabili, un soave concerto spirituale, la forza e la pace, le nobili ambizioni, che ne so? Le nobili ambizioni !
Ed è ancora la vita ! – Se la dannazione è eterna! Un uomo che vuole mutilarsi e davvero dannato, non è vero? Mi credo all’inferno, dunque ci sono. E’ l’esecuzione del catechismo. Sono schiavo del mio battestimo. Genitori, avete fatto la mia sfortuna e avete fatta la vostra. Povero innocente!
[...]
La vergogna, il rimprovero, qui: Satana che dice che il fuoco è ignobile, che la collera è orribilmente sciocca. – Basta!... Gli errori che mi suggeriscono, magie, profumi, falsi, musiche puerili. – E dire che ho in mano la verità, che vedo la giustizia: ho un senno sano e solido, sono pronto per la perfezione… Orgoglio. – La pelle della mia testa sta seccando.
[...]
Oh bella! L’orologio della vita si è fermato poco fa. Non sono piû di questo mondo – La teologia è cosa seria, l’inferno è certamente in basso – e il cielo in alto. – Estasi, incubo, sonno in un nido di fiamme. Solo inganni nell’attenzione della campagna… Satana, Ferdinando, corre con le bacche selvatiche... Gesù cammina tra gli sterpi porporini, senza piegarli... Gesù camminava sulle acque irritate. La lanterna ce lo mostrò là in piedi, bianco e di trecce brune, fianco a fianco a un’onda smeraldina...
[...]
– E pensiamo a me. Il che mi fa un poco rimpiangere il mondo. Ho la fortuna di non soffrire più. La mia vita non fu soltanto dolci follie, è un gran
peccato. Bah ! Facciamo tutte le smorfie immaginabili. Francamente, siamo fuori dal mondo.
Dovrei avere un mio inferno per la collera, un mio inferno per l’orgoglio, – e l’inferno della carezza; un concerto d’inferni.
Ah! Risalire verso la vita! Buttare uno sguardo sulle nostre difformità. E questo veleno, questo bacio mille volte maledetto! La mia debolezza, la crudeltà del mondo! Mio dio, pietà, nascondimi, mi comporto troppo male! – Mi sono nascosto e non lo seguo. E’ il fuoco che si rialza con il suo dannato.