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Assassinio di Umberto I re d'Italia
Governo della Sinistra storica in Italia
Governo della destra storica in Italia
Il Regno d'Italia conquista lo Stato Pontificio
Sconfitta di Adua e dimissioni del Primo ministro Crispi
Trattato della Triplice alleanza con Austria e Germania
brigantaggio
L’Italia, il nuovo stato di 22 milioni di abitanti comparsi in Europa nel 1861 è in realtà un paese arretrato. La povertà era diffusa in particolare nelle campagne accompagnata da fame, malattie e ignoranza. La mortalità infantile raggiungeva il 20%. Gran parte della popolazione era analfabeta. Il territorio italiano era solo in parte adatto all’agricoltura. La grande maggioranza degli italiani viveva nelle campagne. La popolazione urbana era il 20% del totale.
Il Nord e il Sud d’Italia erano due aree diversamente arretrate, ma sempre arretrate rispetto alle regioni maggiormente sviluppate in Europa.
Le differenze più vistose tra Nord e Sud riguardavano:
I 15 anni della storia d'Italia che vanno dal 1861 al 1876 furono dominati dalla destra storica: destra in quanto gli uomini politici a esse appartenenti erano dei moderati eredi di Cavour. Uomini della destra storica provenivano dall'aristocrazia terriera. Al moderatismo della Destra storica si contrapponeva l’impostazione più democratica della sinistra costituita prevalentemente dalla borghesia cittadina. La legge elettorale del regno di Sardegna estesa al regno d’Italia, prevedeva che avessero diritto di voto solo i cittadini italiani, che dovevano essere di sesso maschile, avere 25 anni di età, saper leggere scrivere e pagare almeno 40 lire di imposte all’anno. La base elettorale era ridottissima cioè il 2% della popolazione.
Morto Cavour nel 1861 gli succedette un aristocratico, il barone Bettino Ricasoli. A lui toccò il compito di risolvere un problema istituzionale: quale assetto avrebbe dovuto avere il nuovo Stato italiano? L’Italia doveva essere uno stato accentrato o decentrato? Modello di Stato accentrato era la Francia napoleonica. Modello di Stato decentrato era invece la Gran Bretagna, che lasciava anche libertà amministrative e giudiziarie alle varie contee. L’Italia del sud era stata governata in maniera accentrata, mentre gran parte dell’Italia del Centro-Nord aveva invece vissuto un’esperienza di autonomia. In generale si può dire che l’accentramento è l’obiettivo di coloro che essendo al potere cercano di consolidare le basi, mentre il decentramento è la posizione di coloro che esclusi dal potere cercano di indebolire le posizioni di chi governa.
Viene scelto il modello di Stato accentrato, l’Italia fu così divisa in province e il governo nominò per ogni provincia un suo rappresentante, il prefetto. Anche i sindaci dei comuni erano nominati dal governo. Lo statuto Albertino divenne quindi la costituzione italiana, così come a tutta l’Italia vennero estese la legislazione e la moneta piemontese, la lira. Da qui la critica di Piemontesismo mosso dalla Destra storica, accusata di considerare l’Italia come una semplice estensione del regno di Sardegna.
In primo luogo il governo italiano si propose di sviluppare l’economia. A riguardo gli uomini della Destra storica erano fermamente convinti, secondo la dottrina liberalista, che l’economia italiana si sarebbe potuta sviluppare solo favorendo il libero scambio sia all’interno del paese che all’esterno.
Vennero requisiti e venduti terreni ecclesiastici. Poteva essere questa un’occasione per migliorare le condizioni del paese soprattutto nel mezzogiorno. Questi beni vengono venduti all’asta: di conseguenza invece di andare a migliorare le condizioni dei piccoli proprietari terrieri, alimentare ancora di più il latifondo. La ricerca del pareggio del bilancio venne perseguita attraverso il ricorso al prelievo fiscale. Nei primi anni il prelievo avvenne soprattutto attraverso le imposte dirette (sui redditi delle persone), mentre poi crebbe il peso delle imposte indirette (sui prodotti). Un esempio di tassazione indiretta fu l’imposta sul macinato, si trattava di un’imposta sul pane l’alimento quotidiano degli italiani.
Il popolo meridionale si trova di fronte ad almeno quattro sorprese sgradite: 1. la pressione fiscale;
2.venne esteso a tutta Italia il servizio militare obbligatorio che strappava le famiglie le migliori energie lavorative;
3.l’abbattimento delle barriere doganali provocò il fallimento di numerose imprese incapaci di reggere alla concorrenza con le imprese del Nord; 4.le commesse statali come le ferrovie vennero nella maggioranza dei casi assegnate imprese del Nord e solo in minima parte quelle del sud.
Il diffuso malcontento esplose in una violenta protesta che prese il nome di grande brigantaggio una rivolta assai complessa sia per le varietà delle figure coinvolte come per esempio contadini indebitati, disoccupati o criminali e sia per la dimensione poiché si ritiene che a formare le bande di briganti fosse almeno 80.000 persone. I briganti erano ritenuti sostenitori di una giusta causa, che combattevano i ricchi e gli usurpatori e distribuivano ai poveri il bottino delle loro imprese. Essi scatenarono spesso il terrore bruciando villaggi e massacrando la popolazione civile. La guerra costò migliaia di morti fra briganti, militari e civili e impose allo Stato uno sforzo pesantissimo: decisiva fu l’applicazione della legge Pica che affidava la repressione ai tribunali militari e condannava pene pesanti anche semplici sospetti di complicità con i briganti. I governi della Destra storica affrontarono la questione del brigantaggio solo in un'ottica repressiva senza cercare di rimuoverne le cause sociali profonde. La generale incomprensione dei problemi del sud da parte del nuovo Stato italiano alimentò il diffondersi di quei fenomeni come la camorra e la mafia.
Democratici e moderati concordavano sulla necessità che Roma divenisse la capitale dell’Italia unita. Su come completare l’unità d’Italia il paese era diviso. La Destra storica era contraria a una conquista armata di Roma. Mazziniani e Garibaldini erano invece favorevoli a un’azione armata. Nel 1862 una prima iniziativa di Garibaldi ebbe l’appoggio del capo del governo Rattazzi. Dopo essere partiti dalla Sicilia, giunti sulla penisola i garibaldini vennero però fermati proprio dall’esercito italiano inviato da Rattazzi. Venne stipulata la convenzione di Settembre, con cui l’Italia si impegnava a difendere i confini dello Stato pontificio in cambio del graduale ritiro delle truppe francesi da Roma. Come garanzia del suo impegno, l’Italia trasferiva la sua capitale da Torino a Firenze: era il segno che lo stato italiano rinunciava definitivamente ad ogni interesse per Roma. Con la pace di Vienna l’Italia ottenne il Veneto.
I mezziniani e garibaldini si organizzarono per liberare Roma. Garibaldi con 300 volontari entrò nello Stato pontificio e si scontrò con i francesi e ma fu sconfitto. Fu grazie alla caduta del Secondo impero francese che lo stato italiano poté entrare a Roma che venne annessa al regno d’Italia. Avvenne il trasferimento della capitale da Firenze a Roma nel 1871.
Lo Stato italiano voleva regolare i rapporti con la Santa sede e per questo venne approvata la legge delle garanzie date dallo Stato italiano al Papa. La legge dichiarava il Papa persona sacra e inviolabile dunque non soggetta alle leggi dello Stato italiano; al Papa inoltre veniva riconosciuta la sovranità sulla città del Vaticano ma Pio IX respinse questa norma e vietò ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana.
La conquista di Roma apri va così una profonda frattura all’interno dell’Italia tra il mondo cattolico e quello laico.
Nel 1876 il presidente del consiglio Marco Minghetti annuncio ufficialmente il raggiungimento del pareggio del bilancio: la destra storica aveva vinto la sua battaglia. Il fallimento economico era stato scongiurato. Ma questa battaglia aveva logorato la destra storica, sempre più divisa all'interno. Nel 1876 la destra perse l’appoggio della maggioranza dei deputati e cadde. Il re affidò l’incarico di formare il nuovo governo al leader della posizione Agostino Depretis. Pochi mesi dopo si tennero nuove elezioni: vinse la sinistra storica, che sostituì la destra al governo del paese per vent’anni. Depretis presentò un programma politico. Intendeva: eliminare la piaga dell’analfabetismo; allargare il suffragio elettorale; abolire la tassa sul macinato; decentrare l’amministrazione pubblica. In gran parte questo programma fu realizzato.
Il primo importante provvedimento di decreti riguarda l’istruzione. Elevò l’obbligo scolastico fino a nove anni. Al tempo stesso per la diffusa povertà, molti genitori continuarono a non consentire ai propri figli di frequentare la scuola. Con la riforma elettorale il diritto di voto venne allargato. Per votare era necessario essere cittadini maschi maggiorenni (21 anni), aver frequentato la seconda elementare e pagare almeno 20 lire di imposte all’anno invece delle 40 lire precedenti.
Il trasformismo segnò la fine di ogni distinzione ideologica e programmatica tra destra e sinistra la fine dello scontro tra i due principali schieramenti politici. Era esattamente l’obiettivo seguito da Depretis che intendeva così allargare la sua base parlamentare costituendo un’ampia formazione di centro. Questo determinò la degenerazione Del sistema parlamentare con la frantumazione degli schieramenti in piccoli gruppi che esprimevano interessi personali e portò al dilagare della corruzione. Da allora il termine trasformismo assunse una condizione negativa. Il governo, che fino ad allora aveva proseguito la politica libero scambista della destra storica, decise di operare una radicale svolta, vennero introdotte altre tariffe doganali sul grano e su molti prodotti industriali. Gli altri paesi alzarono allora volta le tariffe doganali nei confronti dell’Italia. L’Italia decise di allearsi con la Germania e l’Austria l’accordo diede luogo alla triplice alleanza la cui natura era puramente difensiva: Italia,Germania e Austria si impegnavano, infatti a intervenire in aiuto reciproco solo in caso di aggressione da altri paesi.
A Massimo d’Azeglio viene attribuita una famosa frase che forse non pronunciò mai: “ L’Italia è fatta adesso bisogna fare gli italiani“. Occorreva dunque costruire l'identità nazionale, la coscienza cioè di appartenere a un’unica collettività. La maggioranza del popolo italiano era rimasto indifferente o contraria. In questo contesto il “fare gli italiani” fu un’operazione molto complessa di pedagogia nazionale, perseguita con grandi sforzi e con vari strumenti tra cui la cultura e l’istruzione. La diffusione delle scuole portò molte donne ad emanciparsi dai tradizionali lavori per diventare insegnanti. Alla maestra lo Stato affidò la missione di diffondere la lingua nazionale. Le Maestre finirono così per identificarsi con una sorta di madri del popolo.
Oltre all’istruzione contribuirono le feste patriottiche, i monumenti e l’intitolazione di piazze e vie ai grandi eroi che avevano unito l’Italia.
Francesco Crispi fu il successore di Depretis e avviò una politica autoritaria. Venne abolita la pena di morte e riconosciuta una limitata libertà di sciopero. Crispi cercò di rilanciare la politica coloniale ma la maggioranza, data la crisi economica era preoccupata dei costi dell’operazione e così Crispi si dimise.
La presidenza del consiglio passò a Giovanni Giolitti che dovette affrontare il moto popolare dei Fasci siciliani, aggregazione di lavoratori che protestavano contro le pesanti tasse e contro i latifondisti. Giolitti venne accusato di debolezza e si dimise.
Crispi tornò al potere e represse la protesta dei Fasci, rilanciò la politica coloniale, ma gli italiani furono sconfitti e travolto dalle critiche Crispi si dimise di nuovo. Terminava l’età della sinistra storica e si apriva un periodo di crisi politica e istituzionale.