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Schiavitù
Età moderna
Un uomo è schiavo quando è proprietà di un altro uomo. Lo schiavo non è libero, non ha beni in proprietà e anche i suoi figli saranno schiavi. La principale fonte di schiavi furono le guerre
Re Hammurabi
La prima legge scritta che riconobbe alcuni diritti agli schiavi fu il codice babilonese del re Hammurabi (18° secolo a.C.). Il più delle volte, però, il trattamento degli schiavi dipendeva dall’umanità o malvagità del proprietario. Le mancanze e disobbedienze erano punite severamente: in alcune società i padroni avevano diritto di vita e di morte sugli schiavi; in altre la legge fissava le punizioni, che spesso erano atroci, come mutilazioni di parti del corpo o la marchiatura a fuoco dei fuggiaschi.
La schiavitù ebbe inizio probabilmente con la nascita dell’agricoltura; è rara, infatti, nei popoli nomadi e dediti alla pastorizia. Essa è documentata nelle principali civiltà antiche in Mesopotamia (Sumeri, Assiri e Babilonesi), Medio Oriente (Ittiti, Ebrei), Egitto, India, Cina.
La condizione servile non fu identica in ogni civiltà: in alcune lo schiavo non aveva diritti, in altre ne aveva alcuni tutelati per legge.
Nei primi secoli della storia greca (Greci antichi), in età micenea e omerica, la società si articolava in famiglie patriarcali, con pochi schiavi, trattati solitamente con umanità. Il numero degli schiavi aumentò e le loro condizioni peggiorarono con lo sviluppo economico. Gli schiavi più maltrattati erano quelli utilizzati nelle miniere
A Roma la schiavitù ebbe un’evoluzione simile. Dopo la fase della famiglia patriarcale, l’aumento degli schiavi si ebbe con le guerre di conquista del 3° secolo a.C. Gli schiavi vi ebbero in genere un trattamento peggiore che in Grecia. Nei latifondi e nelle miniere erano sfruttati con brutalità e vivevano in pessime condizioni negli ergastula (locali molto piccoli), senza diritto di formarsi una famiglia. Molti morivano sul lavoro. Le lotte tra gladiatori o con belve feroci mostrano come le sofferenze degli schiavi costituissero un divertimento per i Romani.
Platone afferma (Leggi, VI,19)che il possesso di schiavi per un verso si risolve in utilità e per un verso in danno. Sarebbe meglio non averne, ma se proprio ci sono, è preferibile trattarli umanamente, non solo per loro stessi, ma soprattutto per il vantaggio che da tale trattamento ci può derivare.
Aristotele parte dal concetto che lo schiavo è un essere che per natura non appartiene a se stesso ma ad altri, pur essendo uomo; e appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà (Pol. I, 4).
Nel Medioevo la schiavitù diminuì lentamente, lasciando il posto a nuove forme di sfruttamento, come la servitù della gleba. Continuò a prosperare invece nel mondo islamico dove Arabi, Turchi ed ebrei, furono grandi mercanti di schiavi, ma anche le Repubbliche di Genova e Venezia ne esercitarono il traffico.
I cristiani continuavano a comprare schiavi essenzialmente per i lavori domestici, per i quali utilizzavano soprattutto gli Slavi. Il termine schiavo, infatti, entrato in uso nel 10° secolo al posto del latino servus, deriva da slavo: Ottone I deportò in Occidente come schiavi gli Slavi sconfitti nei Balcani. Le donne furono destinate ai lavori domestici, i maschi soprattutto alle galere (imbarcazioni del tempo) come rematori.
La massima e più triste espressione dello schiavismo moderno fu la tratta dei Neri dall’Africa all’America. Dopo il genocidio degli Indios, i colonialisti spagnoli e portoghesi presero a razziare e acquistare in Africa nuova manodopera a basso prezzo da impiegare nelle piantagioni. Prima Portoghesi, poi Spagnoli, Olandesi, Francesi e soprattutto Inglesi si specializzarono nella razzia o nell’acquisto dai mercanti locali di schiavi africani, che poi trasportavano e vendevano in America.
Nel corso del Cinquecento i portoghesi avviarono l’esportazione di manodopera coatta specialmente dai regni di Congo e Benin, da impiegare nella coltura della canna da zucchero a Capo Verde, São Tomé e quindi in Brasile, mentre la manodopera africana era richiesta in maniera crescente anche nei domini spagnoli nei Caraibi, svuotati della loro popolazione indigena, in Messico e in Perù. Ma si affermò nella seconda metà del Seicento, in rapporto all’eccezionale sviluppo delle piantagioni di zucchero caraibiche e sudamericane, raggiungendo i suoi picchi nel secolo successivo, quando il flusso di schiavi si diresse in maniera crescente anche verso le colonie inglesi in America Settentrionale (sviluppo della produzione del cotone).
Gli Africani deportati in America furono probabilmente all’incirca dieci milioni.
I viaggi erano orribili: gli schiavi vivevano in condizioni disumane, incatenati nelle stive, in totale assenza di igiene. Moltissimi morivano durante il viaggio: a destinazione ne arrivava circa il 30%. Chi riusciva a liberarsi dalle catene, per lo più moriva buttandosi in mare. Se in America Latina si diffuse il meticciato, cioè l’incrocio tra le razze, nelle colonie inglesi dell’America Settentrionale e poi negli Stati Uniti si sviluppò una società razzista, con rigide divisioni tra Bianchi e Neri
I vascelli salpavano dai porti europei carichi di beni manufatti (in particolare armi e munizioni, tessuti, bevande alcoliche ecc.), che venivano scambiati con schiavi fatti affluire verso le coste africane; a carico completato, le navi facevano rotta verso le Americhe, dove gli schiavi venivano venduti e dove venivano acquistate materie prime agricole per i mercati e le manifatture europee (zucchero, cotone ecc.).
I vascelli salpavano dai porti europei carichi di beni manufatti (in particolare armi e munizioni, tessuti, bevande alcoliche ecc.), che venivano scambiati con schiavi fatti affluire verso le coste africane; a carico completato, le navi facevano rotta verso le Americhe, dove gli schiavi venivano venduti e dove venivano acquistate materie prime agricole per i mercati e le manifatture europee (zucchero, cotone ecc.).
In Europa già nel 18° secolo la diffusione delle idee illuministe aveva indotto i governi a proibire la tratta e l’uso degli schiavi. La tratta diminuì alla fine del Settecento e scomparve alla metà del secolo successivo. La schiavitù sopravvisse ancora per qualche decennio, ma alla fine dell’Ottocento gli Stati europei si impegnarono ad abolirla anche nelle colonie africane.
La schiavitù fu solennemente condannata dalla Società delle nazioni con la Convenzione di Ginevra del 1926. Ciononostante, in alcuni paesi africani e asiatici essa esiste ancora.
Il traffico internazionale di bambini o di ragazze costrette alla prostituzione rappresenta una forma di schiavitù di fatto, che coinvolge anche l’Europa.
Mai come in questo impero della Ragione si sviluppa e raggiunge proporzioni inaudite lo schiavismo. E’ vero che non c’è un rapporto molto stretto tra il culto della Ragione e la schiavitù, ma è innegabile che quando essa diventa un mito, consegue facilmente che sia considerato ragionevole che la ragione dell’uno si affermi e si realizzi a danno della ragione degli altri.
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