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Who we are?
Il più grande poeta lirico dell'età augustea e cantore ufficiale della romanità.
COSA?
"Ed io reputo gran cosa per me essere piaciuto a te, che sai distinguere l'uomo onesto da disonesto, non per la nobiltà della nascita, ma per la purezza dell'anima e della vita"
La struttura del brano è dialogica, con un alternarsi di battute che scandiscono i continui tentativi del poeta di liberarsi dal seccatore.
Brano diviso in 6 sequenze:
TESTO
la presentazione el seccatore è implicita. La stretta di mano era un atto di estrema familiarietà, praticabile soo tra aici itimi
affermazone retoriche e utilizzo del plurale maiestatis per darsi maggiore importanza
numquid vis? è una formula di saluto, che introduce un'interrogativa retorica che prevede una risposta negativa.
Mi trovavo a passeggio per la via Sacra1 , pensando, come spesso m’accade, a non so più
che inezie, tutto preso da quelle. Di corsa, un tale mi si fa accanto, uno che conosco soltanto
di nome, mi afferra la mano e: «Come stai, carissimo?» «A meraviglia, almeno per ora» gli dico
«e ti auguro tutto ciò che desideri». Siccome non mi mollava, lo prendo d’anticipo:
«Ti serve forse qualcosa?». E lui: «Dovresti conoscermi» mi dice «sono uomo di lettere».
Ed io allora: «Ti terrò più a caro, per questo». Cercando disperatamente di staccarmene,
ora andavo più in fretta, ogni tanto mi fermavo, dicevo non so più cosa nell’orecchio al mio servo
e il sudore mi gocciolava giù fino ai talloni. «Fortunato tu, Bolano2 , che sei una testa calda! »
mi dicevo fra me, quando quello cianciava a ruota libera, magnificava le strade, la città.
Siccome non gli rispondevo, «Desideri disperatamente svignartela» mi dice «è un pezzo che lo vedo;
ma non c’è niente da fare; non ti mollerò fino all’ultimo; ti starò alle calcagna.
Da che parte sei diretto adesso?» «Non è il caso tu faccia un simile giro; voglio andare a trovare
un tale che non conosci; è a letto e abita oltre Tevere, vicino ai Giardini di Cesare ».
«Non ho niente da fare e non sono pigro: ti verrò dietro fin lì». Io abbasso le orecchie come fa l’asinello,
rassegnato per forza, quando si trova sulla groppa un carico più pesante.
E quello comincia: «Se ben mi conosco, non ti sarà cara più della mia l’amicizia di Visco,
non quella di Vario : chi infatti è capace di scrivere più versi di me, o più in fretta di me?
Chi con più grazia danzare? E canto in maniera che Ermogene stesso m’invidierebbe».
Qui era il momento di fermarlo: «Ma non ce l’hai una madre, dei parenti, a cui servi tutto intero?»
«Non ho nessuno al mondo: li ho sotterrati tutti». «Beati loro! E ora non rimango che io. Finiscimi:
infatti mi pende sul capo un triste destino, che, quand’ero ragazzo, mi predisse una vecchia Sabina,
scuotendo l’urna delle profezie : “Costui non lo rapiranno alla vita funesti veleni, né spada nemica,
né dolore di petto, né tosse, né podagra che attarda; sarà un chiacchierone, prima o poi, a portarlo alla tomba:
si tenga dunque lontano, se ha sale in zucca, dai linguacciuti, non appena l’età si sarà fatta adulta”».
Si era giunti al tempio di Vesta , e un quarto della giornata se n’era andato ,
e il caso voleva ch’egli dovesse presentarsi in giudizio, ed aveva pure presentato malleverie;
non l’avesse fatto, la causa era persa. «Se vuoi farmi un piacere» mi dice «sta’ ad assistermi qui un pochino».
Ermogene: famoso cantante ricordato più volte da Orazio
Vario Rufo: editore dell'Eneide di Virgilio e che presentò orazio a Mecenate
espressioni del lessico giudiziario
sta’ ad assistermi… in piedi: il seccatore chiede a Orazio di assisterlo moralmente in tribunale; tale persona (in latino advocatus, che non era però un vero e proprio avvocato, ma forniva una sorta di appoggio morale e qualche conoscenza del diritto civile e che stava appunto in piedi.
campo metaforico dell'assedio, per indicare l'impresa difficle di vincere
«Possa morire se ho la forza di stare in piedi o se m’intendo di diritto civile: e poi ho fretta di andare dove sai».
«Non so proprio che fare» dice lui «se lasciar perdere te o la causa». «Me, ti scongiuro».
E lui: «Non lo farò mai», e comincia a precedermi. Io, giacché è difficile contendere col vincitore, gli vado dietro.
«E con Mecenate, come ti va?»: da qui la ripiglia. «È un uomo di poca compagnia e di giudizio ben sano».
«Nessuno è stato più destro di lui ad approfittare della fortuna. Avresti un aiutante coi fiocchi,
capace di farti da spalla, solo che tu volessi presentargli quest’uomo che io sono;
mi venga un colpo se non li avresti bell’e fatti fuori tutti». «Non in codesta maniera,
che tu pensi, viviamo noi lì; non c’è casa più pulita di questa, né più lontana da siffatte magagne.
Non mi dà nessuna noia» gli dico «se il tale è più ricco o più dotto di me: ognuno ha il posto ch’è suo».
«Una gran cosa mi racconti, si stenta a crederla». «Eppure, sta proprio così».
«Tu mi accendi ancor più il desiderio di essergli vicino». «Basta tu voglia: prode come sei, lo espugnerai;
e vincerlo non è certo impossibile: perciò, sulle prime, rende scabroso l’accesso».
«Non mancherò a me stesso: corromperò i servi a forza di regalie; né,
se oggi resterò chiuso fuori dalla porta, mi darò per vinto; cercherò le occasioni,
farò in modo d’incontrarlo ai crocicchi, gli farò da scorta.
Niente ha dato la vita ai mortali senza grande fatica». Nel bel mezzo di queste imprese,
ecco, si fa incontro Aristio Fusco, un amico, uno che quel tizio lo conosceva bene.
Ci fermiamo. «Da dove vieni? Dove sei diretto?» domandiamo e rispondiamo l’un l’altro.
Io presi a tirarlo per la veste e a cercar di afferrare con la mano quelle sue braccia terribilmente inerti, facendogli segni, storcendo gli occhi, perché mi cavasse d’impaccio.
E lui, tanto per far dello spirito fuori posto, rideva e faceva il tonto; a me, intanto, la bile bruciava il fegato.
«Se non sbaglio, dicevi di volermi dire non so bene che cosa a quattr’occhi».
«Me lo ricordo bene, ma te lo dirò in un momento più adatto; oggi è il novilunio, è sabato:
vuoi forse scorreggiare in faccia agli Ebrei circoncisi?» «Non ho scrupoli religiosi, io».
«Ma io sì: io sono un poco più fragile, sono uno come tanti. Mi perdonerai: ti parlerò un’altra volta».
Doveva proprio levarsi tanto nera questa giornata per me! Scappa via, il furfante,
e mi lascia sotto il coltello. Ma fortuna vuole che gli venga incontro il
suo avversario e «Dove credi di andare, pezzo di canaglia?»
gli grida a gran voce, e a me: «Puoi farmi da testimone?»
Io, manco a dirlo, gli porgo l’orecchio. Lo trascina in tribunale.
Urla da una parte e dall’altra. Folla che accorre da ogni dove. È
così che Apollo mi ha salvato.
gli porgo l’orecchio: porgere l’orecchio da toccare era un gesto rituale, col quale si accettava di prestare testimonianza. Orazio testimonia la necessità del ricorso alle maniere forti per trascinare in tribunale il seccatore
Apollo mi ha salvato: allusione
scherzosa agli eroi dell’epica, che venivano spesso salvati nei combattimenti dagli dèi; Orazio immagina di essere salvato da Apollo, dio della poesia.
IL SECCATORE:
ORAZIO :
MECENATE, ORAZIO
SECCATORE
FIGURA POSITIVA
AI VERSI 22-25 VIENE ESPOSTO IL TEMA LETTERARIO DEL POETASTRO, A CUI APPARTIENE IL SECCATORE
«mi conosco bene: la mia amicizia ti sarà preziosa almeno
quanto quella con Visco e Vario. Ti sfido a trovare chi sappia
scrivere più versi, e più velocemente; chi danzi con maggiore grazia.
Se udisse il mio canto, Ermogene m’invidierebbe».
DECANTAZIONE DI TALENTI E BRAVURA (INESISTENTI) VOLTI AD OTTENERE FAVORI E SUCCESSO
Lucilio racconta nel libro VI delle satire l'incontro tra Scipione Emiliano e un buffone
SIMILITUDINI
DIFFERENZE
FIGURE RETORICHE: