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Civis Romanus Sum

Ludovica Bandinelli, Ester Carlisi, Ginevra Migone

IV I

Origine della citazione

Cicerone, scrittore latino, vissuto nel I secolo a.C. scrisse numerose opere, tra le quali ”Actiones in Verrem” da cui `e tratto il testo ”Civis romanus sum” e dove si esalta la condizione di civis.

A Roma lo status di civis permetteva di avere un certo numero di diritti e si basava sulla libert`a

dell’individuo. In questo brano, Cicerone, rimasto fortemente colpito dinanzi al supplizio al quale

Verre, governatore della Sicilia, aveva sottoposto Gavio, cittadino romano, denuncia questo abuso. Portato in mezzo alla Piazza di Messina e seviziato sotto gli occhi di tutti, Gavio implora inutilmente i suoi giustizieri di liberarlo, invocando la sua appartenenza alla civitas romana; ma più implora e cerca di affermare i suoi diritti, pi`u aumenta il numero delle bastonate. Cicerone accusa Verre non solo di avere agito ingiustamente contro un cittadino romano, ma anche di avere ignorato i suoi doveri di magistrato, atti a garantire l’incolumit`a per i cittadini romani. E evidente inoltre la grande fiducia che il cittadino romano nutre nei confronti della legge, nata per far valere i suoi diritti in ogni parte dell’Impero.

Origine della citazione

Cicerone, Actio in Verrem (II, V, 162-163)

162. Caedebatur virgis in medio foro Messanae civis Romanus, iudices, cum interea nullus gemitus, nulla vox alia illius miseri inter dolorem crepitumque plagarum audiebatur, nisi haec: "Civis Romanus sum". Hac se commemoratione civitatis omnia verbera depulsurum cruciatumque a corpore deiecturum arbitrabatur. Is non modo hoc non perfecit, ut virgarum vim deprecaretur, sed, cum imploraret saepius usurparetque nomen civitatis, crux, crux, inquam, infelici et aerumnoso, qui numquam istam pestem viderat, comparabatur.

163. O nomen dulce libertatis! O ius eximium nostrae civitatis! O lex Porcia legesque Semproniae! O graviter desiderata et aliquando reddita plebi Romanae tribunicia potestas! Hucine tandem omnia reciderunt ut civis Romanus in provincia populi Romani, in oppido foederatorum ab eo, qui beneficio populi Romani, fascis et securis haberet, deligatus in foro virgis caederetur? […] In crucem tu agere ausus es quemquam qui se civem Romanum esse diceret?

162. Veniva percosso a bastonate in mezzo alla piazza di Messina, un cittadino romano, giudici, e intanto, nonostante il dolore, non si udiva nessun gemito, nessun’altra parola di quel misero, se non questo: "Sono cittadino romano", tra il crepitare delle bastonate. Pensava che ricordando di essere cittadino romano, potesse evitare ogni flagellazione e allontanare ogni supplizio dal proprio corpo. Non solo egli non raggiunse questo scopo, ovvero di allontanare da sé le bastonate, ma, mentre più implorava e ripeteva di essere cittadino, la croce, la croce – dico – veniva preparata per quell’infelice, quel disgraziato, che mai aveva visto quell’orrore.

163. O dolce nome della libertà! O diritto supremo del nostro Stato! O legge Porcia (2) e leggi Sempronie! O potere dei tribuni, così fortemente desiderato e infine donato alla plebe romana! Tutto è dunque precipitato così in basso che un cittadino romano è stato picchiato con verghe e poi legato in una piazza pubblica di una città alleata, in una provincia romana, da colui che deteneva fasci e scuri per interesse del popolo romano? […] Tu hai osato mettere sulla croce uno che affermava di essere cittadino romano?

Actus apostolorum 22,22/29

Audiebant autem eum usque ad hoc verbum et levaverunt vocem suam dicentes: tolle de terra huiusmodi; non enim fas est eum vivere. Vociferantibus autem eis et proicientibus vestimenta sua et pulverem iactantibus in aerem, iussit tribunus induci eum in castra et flagellis caedi et torqueri eum, ut sciret propter quam causam sic adclamarent ei. Et cum adstrinxissent eum loris, dicit adstanti sibi centurioni Paulus: Si hominem Romanum et indemnatum licet vobis flagellare? Quo audito, centurio accessit ad tribunum et nuntiavit ei dicens: Quid acturus es? Hic enim homo civis Romanus est. Accedens autem tribunus dixit illi: dic mihi si tu Romanus es? At ille dixit: Etiam. Et respondit tribunus: Ego multa summa civilitatem hanc consecutus sum. Et Paulus ait: Ego autem et natus sum. Protinus ergo discesserunt ab illo, qui eum torturi erant. Tribunus quoque timuit postquam rescivit, quia civis Romanus esset et quia alligasset eum.

Actus apostolorum 22,22/29

Lo ascoltarono fino a questo punto e poi alzarono la voce dicendo: "Toglilo di mezzo, non è degno di vivere". Siccome continuavano a strillare contro di lui, gettavano via le sue vesti e lanciavano la polvere in aria, il tribuno ordinò di condurlo nella fortezza, di percuoterlo con la frusta e torturarlo per sapere per quale motivo gridassero così contro di lui. E quando lo ebbero ben legato con funi, Paolo disse al centurione vicino a sè: "Vi è consentito flagellare un cittadino romano non ancora giudicato?" Sentito questo, il centurione si rivolse al tribuno e lo avvertì dicendo: "Cosa stai per fare? Quest’uomo è un cittadino romano". Allora il tribuno si avvicinò poi a lui e disse: "Dimmi, sei cittadino"; e quello rispose: "Sì". Il tribuno replicò: "Ho ottenuto questa cittadinanza con molta fatica". E Paolo rispose: " Io invece lo sono di nascita". Allora immediatamente quelli che dovevano interrogarlo si allontanarono da lui; lo stesso tribuno ebbe paura dopo aver saputo che egli era cittadino romano e lui lo aveva legato.

Da San Paolo agli USA

Il rifiuto da parte degli Usa di sottoporre i cittadini statunitensi, accusati di reati commessi fuori dalla loro patria, alla giurisdizione di altri Paesi e anche alla giurisdizione internazionale, ha un illustre precedente storico.Nell’Impero Romano i cittadini romani non potevano essere giudicati da altri giudici che non fossero i giudici romani. Fra l’altro fu così che l’imputato Paolo di Tarso (San Paolo) potè opporre il civis romanus sum ai giudici giudei e potè così evangelizzare buona parte del mondo

occidentale. Se siamo cristiani lo dobbiamo a lui, in quanto aveva il salvacondotto della cittadinanza romana. Com’è noto, dopo la sua itinerante predicazione, giunse a Roma e fu giudicato dal giudice

romano. Quindi la coscienza imperiale di Roma, in quel tempo si manifestava con il civis romanus sum , così come oggi la coscienza imperiale degli Usa si afferma con il "civis americanus sum" .

Da San Paolo agli USA

Chi è il Civis Romanus?

Per lunghi secoli la cultura romana ha esaltato l’individuo come civis , come cittadino; il resto, come

le sue abitudini personali, i gusti, le ore dell’ozio ecc , contava poco o nulla. Solo gradualmente, dopo il contatto con l’oriente ellenistico, cominci`o a diffondersi nella cultura Romana un’idea un po’ diversa e più completa: il civis Romanus inizi`o a evidenziarsi anche come individuo. Perchè si affermi come persona dovremo attendere la successiva cultura cristiana. Ma chi `e il civis Romanus? Che cosa fa? Come vive? Il suo orizzonte di valori è quello divulgato dalla tradizione: il civis èil buon cittadino che sa vivere le virtù indicate dalla tradizione (Fides “lealtà”; pietas verso gli dei e poi sobrietà, disciplina, senso dell’onore ecc.). Tra il III e il II secolo a.C. il civis è tale, in virtù della sua condizione socio-economica che risulta garantita da 2 componenti:

• l’agricoltura e il lavoro profuso in questa attività anche con l’impegno personale (si pensi in tal

senso alla raffigurazione Liviana di Cincinnato);

• l’ impegno diretto e attivo nella “res publica” come soldato, ufficiale, magistrato. Conferma

diretta della relazione tra i due fattori `e data dalle stesse parole di Catone: si `e “vir bonus”, quindi

buon cittadino e buon soldato, se si `e agricoltore. D’altra parte, tale condizione `e indispensabile

per garantire alla società Romana la continuità del “mos maiorum”, modello di comportamento

cui il cittadino Romano deve attenersi proponendolo alle nuove generazioni.

Chi è il Civis Romanus?

Mos Maiorum

Con il termine mos maiorum i Romani intendevano l’insieme dei costumi, dei valori, delle norme non scritte che costituivano il fondamento della romanità. Infatti alla base della civiltà latina non c’era un libro sacro, come per gli Ebrei, o un testo epico autorevole cui guardare, come per i Greci (si pensi all’Iliade e all’Odissea).Si trovavano invece una serie di consuetudini e di modelli di comportamento incarnati in personaggi esemplari che dovevano essere imitati. Principio fondamentale del mos maiorum era l’assoluta preminenza dello stato sul singolo cittadino, che al primo posto doveva porre sempre la ricerca non del proprio interesse personale, ma quello della comunit`a: nell’ottica del mos maiorum l’eroe si qualificava non perchè possedeva qualit`a individuali straordinarie (forza, coraggio ecc.), ma perchè, con le sue qualità, dava un contributo straordinario alla difesa dello stato, al benessere dei cittadini, al prestigio di Roma. A questo proposito il fondamento dei mores maiorum era basato su cinque virtù fondamentali: fides, pietas, majestas, virtus e gravitas.

Mos Maiorum

Fides

Con Fides si intende la fedeltà, la lealtà, la fede, la fiducia e reciprocità tra i cittadini, ma

anche la verità, l’onestà ed affidabilità. Il poter confidare sulla parola data, senza contratti nè testimoni. Nel diritto romano, la fides è stata estremamente importante, poichè, come in tutte le culture antiche, i contratti verbali erano frequentissimi nella vita quotidiana romana, e così la buona fede permetteva transazioni commerciali fatte con maggior fiducia, ma la fides si riscontra anche nel rapporto tra patronus e cliens o tra coniugi, ecc. Se questa buona fede viene tradita, la persona offesa potrebbe intentare una causa contro l’altra che non ha rispettato la buona fede.

Attilio Regolo e il rispetto della Fides

Il rispetto della fides trova uno dei suoi eroi esemplari in Attilio Regolo, che fu console durante la prima guerra punica: sconfitto nel 255 a.C. dai Cartaginesi presso Tunisi, fu fatto prigioniero e successivamente inviato a Roma perchè convincesse il senato a trattare la pace e a restituire i prigionieri. Prima di partire diede la sua parola d’onore che, qualora non avesse ottenuto un risultato positivo sarebbe ritornato a Cartagine per subire la sorte dei prigionieri. Giunto a Roma, Regolo convinse il senato a proseguire la guerra e a non restituire i prigionieri, quindi,per onorare la parola data, ritornò a Cartagine ben sapendo la sorte che lo attendeva.

Pietas

La pietà, la devozione, il patriottismo, la protezione e il rispetto. Pietas non è l’equivalente del

moderno derivato ”pietà”. La Pietas era l’atteggiamento romano del dovuto rispetto verso gli

Dei, la patria, i genitori, i parenti, famigli e schiavi. All’inizio riguardava la famiglia e la fiducia

e rispetto tra coniugi poi la concezione del rapporto si estese tra uomo e divinità, un senso di

dovere morale nell’osservanza dei riti (il cultus) e nel rispetto agli Dei.

La Pietas erga patriam di Coriolano

Nato nel 527 a.C. e vissuto quindi durante gli albori della Repubblica romana, Coriolano era

di nobili origini e si distinse presto sul campo di battaglia, in particolare nelle guerre contro i

Volsci, un popolo italico nemico di Roma. Dopo la nascita della prima carica pubblica plebea,

cioè quella di tribuno della plebe, Coriolano, come altri patrizi, si oppose fortemente a questa

riforma e venne di conseguenza chiamato in giudizio presso i tribuni della plebe e costretto

all’esilio a vita. Trovò rifugio presso i Volsci e si alle`o con Attio Tullio, progettando insieme a

quest’ultimo una campagna militare contro Roma. Dopo aver saccheggiato le campagne romane

e attaccato i Latini alleati di Roma, arrivò a sole cinque miglia dalle mura dell’Urbe. Non prestò

ascolto a un’ambasceria di nobili romani che tentarono di convincerlo a rinunciare all’assedio di

Roma: sembrava che nessuno potesse pi`u frenare la sua ira ormai, quando arrivarono sua madre

Veturia e sua moglie Volumnia con i piccoli figli in braccio, che lo fermarono. Dunque Coriolano,

ubbidendo alla madre, si dimostrò fedele alla pietas e alla romanità.

Majestas

La Majestas sta ad indicare nella Roma antica la dignità dello stato come rappresentante del popolo. Proprio questa rappresentanza da parte prima delle istituzioni repubblicane, poi dall’ impero ha fatto sì che l’imperatore stesso fosse investito di questa majestas come rappresentante del popolo. Da qui il reato di laesa majestatis ovvero crimine verso lo stato per coloro che deturpavano le opere pubbliche, o nei confronti dell’imperatore o del senato romano rappresentanti la majestas e le punizioni potevano essere severe perchè il crimine veniva visto come lesione all’intera comunità che l’imperatore e il senato o gli organi del governo romano rappresentava no. Majestas ha anche il significato della grandezza di un popolo, cioè l’essere fieri di essere un appartenente al popolo romano, come il miglior popolo che è superiore e migliore rispetto agli altri popoli per civiltà, cultura e costumi.

Virtus

Virtus deriva dal termine latino vir, uomo, e comprende ci`o che costituiva l’ideale del vero

maschio romano. In origine designava il valore in battaglia dell’eroe e del guerriero, poi si estese ad altre attività. La virtus è tale solo se non è messa al servizio di mire personali come la ricerca del potere ma per l’interesse della comunità romana.

Clelia, esempio femminile di Virtus

Narra Tito Livio che Porsenna, lucumone etrusco di Clusium (Chiusi) e dominatore di altre

città etrusche come la vicina Orvieto (Volsinii), tanto da divenirne ”re”, si era alleato con i

Tarquini e nel 507 a.c. assedi`o Roma, che sfinita dalla mancanza di rifornimenti, infine si arrese.

Come parte del trattato di pace che pose fine alla guerra tra Roma e Clusium, Porsenna ottenne molti ostaggi, tra cui la giovane Clelia. Questa fanciulla tuttavia, che non si rassegnava ad essere prigioniera del nemico, tanto si adoperò che riuscì a catturare dei cavalli e con alcune compagne fuggì dal campo etrusco, cavalcò fino al Tevere e si gettò nel fiume raggiungendo a nuoto l’altra riva. Clelia riuscì a rientrare a Roma, ma Porsenna chiese che fosse restituita, e i Romani acconsentirono. Clelia fu dunque riconsegnata a Porsenna da sola per pegno di pace.

Al suo ritorno, comunque, Porsenna si dimostrò molto impressionato dal suo coraggio, tanto da liberarla con le sue compagne.

Gravitas

Identifica tutte le regole di condotta del romano tradizionale: rispetto per la tradizione, la serietà, la dignità, l’autorità e l’auto-controllo.

L’eroismo di Muzio Scevola salva la città di Roma

Di fronte alle avversità, una ”buon” romano deve essere imperturbabile, come Gaio Mucio Sce vola che, minacciato di tortura da re Porsenna se non rispondeva alle sue domande su Roma, pose la mano destra sul fuoco con grande gravitas, tanto che il re, colpito da così grande valore, rinunciò al dominio di Roma.

Gravitas

Il concetto di Cittadinanza e la sua trasmutazione nel tempo.

Il concetto di Cittadinanza

Che cos’ era per gli antichi la cittadinanza? Aristotele definisce l’uomo animale politico , e poichè in

greco la polis è la città, la sua espressione classifica l’essere pensante, unico tra i viventi, come intrinseco cittadino. Tuttavia non bastano mura e confini per forgiare dei cittadini. La cittadinanza era un regalo del sangue, e i greci ne erano avari e gelosi.

La dinamica Roma espandeva il dominio come un’alta marea; la sua cittadinanza era merce pregiata:

la elargiva con maggiore generosità rispetto ai greci, ma sempre con oculatezza. Nelle province di

conquista, diventavano “cives” i ceti dirigenti, garantendo il sostegno al potere centrale, prima al

Senato repubblicano, poi all’Augusto di turno. I galloni di civis si potevano conquistare. I veterani

delle legioni, nati peregrini, diventavano cittadini dopo l’onorato servizio. E i loro figli, grazie allo “ius

sanguinis”, il diritto ereditario, si ritrovavano membri effettivi della comunità pi`u potente del mondo.

Era un seme in continua lievitazione.

La donna straniera acquisiva lo status con il matrimonio legittimo: la prole era già cittadina di fatto.

Anche gli schiavi potevano aspirare al salto: se il padrone li liberava, le autorità sottoscrivevano, ed

ecco nato un nuovo civis. Non era una prerogativa onorifica, ma incideva sulla qualit`a della vita: un

cittadino era esentato dalle condanne pi`u infamanti; nessun giudice poteva spedirlo “ ad Metallam”,

ai lavori forzati nelle miniere o, peggio, “ad bestias”, a morire dilaniato dagli artigli negli spettacoli

circensi.

Sotto Tiberio, un immigrato diventava cittadino se per sei anni serviva fedelmente nelle

coorti dei vigili, in città. Con Claudio, la promozione toccava a chi armava una nave capace di

trasportare grano nell’urbe. Nerone la concesse a chi portava a Roma i suoi soldi, costruendo una

domus, una casa a decoro del paesaggio urbano.

Traiano considerava “romani de Roma” gli stranieri che vi costruivano un mulino, macinando ogni

giorno almeno cento moggi di frumento. Non si diventava cittadini gratis,se ne avvantaggiavano tutti,

e questo, per secoli, fu uno dei segreti della tenuta del regime. La mossa di Caracalla fu la pi`u

clamorosa, e la pi`u arrischiata. Con la famosa Constitutio Antoniniana, Anno Domini 212, tutti gli

abitanti liberi dell’Impero diventarono cives, sebbene con qualche limite. Il suo editto sblocca una

situazione temporanea. Diventano cives quelli che ora abitano dentro i confini: per gli immigrati

futuri se ne riparlera.

Esempio di un’attribuzione di cittadinanza

Archia è un poeta greco di cui possediamo notizie in buona parte dagli scritti stessi di Cicerone (Pro Archia). Nato ad Antiochia di Siria, giunge molto giovane e viene accolto dalla famiglia di Lucullo.

Ad opera dei suoi illustri protettori ottiene la cittadinanza di Eraclea, in Lucania, ed essendo questa città confederata con Roma acquisisce di conseguenza il diritto alla cittadinanza Romana. Questo diritto gli viene contestato ed egli viene accusato in base alla Lex Papia de Civitate Romana di avere usurpato la cittadinanza. Il processo si svolge nel 62 a. C. ed `e Cicerone che assume la sua difesa vincendo con facilità la causa, poichè riesce, grazie alla testimonianza di un autorevole personaggio, quale Marco Lucullo, a confutare la prima prova dell’accusa: l’assenza di documenti comprovanti la cittadinanza. Giustifica la seconda prova: l’assenza del nome del poeta dai registri romani del censo, con la semplice constatazione della lontananza di questi da Roma al momento della compilazione delle liste.

Archia

Dalla LEX IULIA allo IUS SOLI: il diritto alla cittadinanza

Il Diritto alla Cittadinanza

In Parlamento, una questione su cui si scaldano sempre gli animi è quella sull’estensione della cittadinanza italiana, attraverso il cosiddetto “Ius Soli” (legge del suolo). Il nostro paese infatti, come stabilito e confermato dalla Legge n.91

del 1992, vanta il cosiddetto “Ius Sanguinis”: viene garantita la cittadinanza italiana solo ai figli di cittadini italiani. La discussione dibattuta a Montecitorio è particolarmente delicata: si tratterebbe di includere tra i cittadini italiani ben 800mila stranieri, nati sul territorio italiano o comunque arrivati nel nostro paese in tenera et`a. Le linee per l’estensione della

cittadinanza proposte sono ben tre: -chi ha richiesto lo Ius Soli Automatico (cittadinanza italiana estesa a chiunque nasca sul suolo nazionale, come avviene negli USA); -chi invece ha meditato uno Ius Soli “temperato” (concessione della cittadinanza solo attraverso soddisfacimento di determinati requisiti); -chi, infine, ha proposto lo “Ius Culturae” (estensione della cittadinanza per tutti i cittadini stranieri che hanno completato nel nostro paese l’intero ciclo di studi.)

Questa situazione, figlia della società della globalizzazione e dei grandi spostamenti delle masse, trova nella storia antica una situazione analoga.

Il nostro viaggio nel tempo ci riporta a 2100 anni fa circa: siamo nel I secolo a.C., e Roma ha gettato le basi per il suo imperialismo, dominando i tre quarti della Penisola Italiana e la quasi totalità del bacino mediterraneo. Eppure coloro che possono fregiarsi del vanto di poter esclamare “Civis Romanus sum!” sono ben pochi, e tutti presenti nel Lazio e in alcune piccole aree dell’Italia centrale. Tutti gli altri sono “peregrini” o godenti di una semi-autonomia prevista dal Diritto Latino.

A partire dalla fine del II secolo a.C. i Sanniti, i Marsi, i Peligni, i Lucani, i Frentani e tutti gli altri popoli comunemente chiamati “Italici" esprimono il loro malcontento nei confronti di Roma.Il desiderio di questi popoli `e quello di partecipare e di essere inclusi nella macchina politica ed economica di Roma, di essere enumerati nelle tribù romane e di poter essere ammessi nella spartizione delle terre.

L’unico romano che si propone come esponente e protettore dei diritti degli Italici `e il tribuno Marco Livio Druso, che propone una serie di leggi volte a integrare sempre di pi`u le popolazioni dell’Italia centrale nel sistema di cittadinanza romano.

Ma d’altro canto, la casta dei patrizi e dei ricchi proprietari terrieri mostra il proprio dissenso nei confronti del tribuno, fino ad ordirne una congiura. Poco prima che la legge venga approvata dai comizi e dal concilio della plebe, Marco Livio Druso viene infatti trovato morto, assassinato da dei sicari inviati da alcuni senatori.

I sogni degli Italici sembrano essere morti assieme al tribuno della plebe, proprio ad un soffio dalla realizzazione di quel grande progetto politico, che questi popoli desiderano da tempo.

Intorno al 90 a.C.il console Lucio Giulio Cesare comprende che i tempi sono maturi per un’integrazione degli Italici: questi popoli oramai parlano il latino, hanno costumi di tipo romano, venerano gli dei capitolini e si dicono pronti a rinunciare alla loro autonomia per abbracciare a pieno il costume romano in toto. Ed è così che nel 90 a.C. il console promulgò la Lex Iulia de civitate latinis danda, seguita dalla Lex Plautia Papiria di due anni dopo, che stabilivano l’estensione della cittadinanza romana e gli stessi diritti dei cives et patres anche agli Italici.

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