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"Per i figli il padre romano fu quindi indubbiamente scomodo, duro e opprimente come un macigno.
Ma anche un esempio al quale rifarsi, un inimitabile modello per divenire non solo un buon erede, ma soprattutto un buon cittadino. Dal canto loro, i padri avevano forse il timore di essere scalzati dai propri figli, ma certo quest’ultimi rappresentavano anche la proiezione del loro orgoglio e un investimento non solo affettivo: l’idea che ci fosse chi continuava la gens e ne avrebbe raccolto un giorno l’eredità, che qualcuno si sarebbe occupato dei genitori anziani come voleva la pietas e avrebbe rispettato le incombenze della sepoltura, era motivo di grande consolazione"
-La vita privata nell’impero romano, Paul Veyne.
Nell’antica Roma il rapporto padre-figlio si fondava su due nozioni, quella del pater familias e quella della relativa patria potestas.
Nell'ambito della famiglia romana antica il pater familias era il capo della casa e possedeva il potere non solo su ciò che vi si trovava, ma anche su chi vi viveva.
Per quanto riguarda i diritti del pater familias erano enormi e spaziavano dall’aspetto economico e politico a quello educativo e religioso.
ll potere giuridico del pater familias si esercitava in quattro diritti fondamentali:
-lo ius exponendi: il diritto di esporre i figli neonati. Il pater familias poteva infatti decidere se tenere il figlio e riconoscerlo, o liberarsene, facendolo esporre nelle pubbliche discariche o sui gradini di un tempio;
-lo ius vendendi: il diritto di vendere il figlio all’estero per semplice lucro;
– lo ius noxae dandi: il diritto del padre a cedere ad altri un figlio per liberarsi delle conseguenze giudiziarie di un atto illecito commesso dal padre;
-lo ius vitae et necis: il diritto del padre di vita e di morte sul figlio.
L’aspetto più importante del potere del Pater Familias è sicuramente la potestas esercitata sui figli e sui nipoti a lui sottoposti.
PATRIA
POTESTAS
Per patria potestà si intende storicamente il potere attribuito al padre di proteggere, educare e istruire il figlio minore e di curarne gli interessi.
Il figlio, almeno a Roma, iniziava a seguire il padre nella vita pubblica quando non era ancora adolescente, ne osservava i comportamenti e ne studiava le relazioni.
A diciassette anni il ragazzo romano abbandonava la toga praetexta per indossare quella virilis, tale cerimonia segnava la fine dell’età dei giochi e l’inizio della vita adulta.
"Ciascuno aveva come maestro il proprio padre"
-Plinio il giovane.
La paternità romana può essere considerata come l’intreccio di due aspetti fondamentali, cioè quello del dominus (signore) e quello del pater (padre): il primo interessa l’autorità e il rispetto delle regole, il secondo riguarda il dovere della tutela e protezione paterna rispetto alla progenie.
Anchise ed Enea;
Evandro e Pallante;
Mezenzio e Lauso.
-Figlio di Capi e di Temiste;
-da un amore con Afrodite creò Enea;
La dea s'innamorò di Anchise mentre questi si recava a pascere le sue mandrie nei pressi di Troia e per convincerlo a corrispondere il suo amore aveva assunto le vesti di una principessa frigia. Poi, prima di procreare Enea, rivelò ad Anchise la sua vera identità e gli preannunziò che il nuovo arrivato avrebbe avuto fama eterna.
Secondo la leggenda, Anchise, ubriaco, osò vantarsi del suo amore con la dea durante una festa e Zeus per punirlo lo colpì con un fulmine rendendolo zoppo.
-dovette restare nascosto per cinque anni nei monti, dove fu allevato dalle ninfe, per non destare l'ira degli dei contro Anchise, che aveva osato avere un figlio, lui mortale, da una de;
-Sposò Creusa, figlia del re Priamo, cugino di suo padre, e da lei ebbe Ascanio;
-l suo ruolo diventa centrale nell'Eneide: nel secondo libro racconta in prima persona le tragiche vicende della caduta di Troia, introducendo con la sua viva partecipazione gli eventi che travolgono la città e segnano la sua vita futura.
II LIBRO
LIBRO III
Renzi recentemente ha pronunciato:"Noi italiani abbiamo dimostrato che non ci rassegniamo a lasciare soli i nostri cari...la grandezza dell’Italia si basa su quell’Enea che si carica sulle spalle il padre Anchise e che arriva nella nuova terra promessa riuscendo a fondare Roma portandosi la bellezza dell’esperienza sulle spalle.”
-Pallante, figlio di Evandro, si unì ad Enea, con un gruppo di cavalieri arcadi, per combattere contro Turno, re dei Rutuli;
-Pur mostrando un grande valore, Pallante morì durante la prima battaglia, ucciso da Turno;
-Il giovane, venne riportato nella città del padre;
-Pallante è il primo a morire perchè venga edificato l'impero romano, voluto dalla Provvidenza divina.
-Mezenzio, scampato alla morte sicura per mano di Enea grazie all’intervento del figlio;
-Lauso infine giunge, ma morto steso sul proprio scudo;
-Davanti al cadavere del figlio, pare che Mezenzio diventi a un tratto consapevole: decide di andare a combattere contro Enea.
desiderio di vendetta;
volontà di morte.
-Era presente una cultura patriarcale che escludeva donne e minori;
-Attraverso miti e con l’epica sono stati tramandati esempi di padri, sia in funzione positiva che negativa: un classico esempio sono quelli di Crono che divorò i figli avuti dalla sorella Rea o di Urano che per paura di essere spodestato tentò di rinchiudere i figli avuti da Gea nel ventre materno;
-nella Grecia antica il padre e il figlio erano legati da un patto di mutua assistenza per cui se il padre aveva insegnato un mestiere al ragazzo questo era tenuto a prendersi cura del genitore in vecchiaia.
Ettore e Astianatte;
Priamo, Ecuba ed Ettore.
Quando Ettore viene chiamato a combattere, la sua anima, seppur convinta, è in conflitto: padre e marito vicino ai suoi affetti oppure scendere nella battaglia, morire e rischiare di consegnare per sempre Troia agli achei.
“Ma bagnata da un pianto dirotto Andromaca si accostò al marito, gli strinse la mano, e per nome con dolce dire, chiamandolo proruppe: «Sventurato, il tuo coraggio ti ucciderà! Nessuna pietà provi per il figlio, né per me, crudele, per me che vedova infelice resterò tra non molto, perché tutti raccolti insieme gli Achei contro te solo si scaglieranno per trucidarti; e a me sarebbe meglio, se mi sei tolto, andare sottoterra. Una volta priva di te, che altro può restarmi se non perpetuo pianto? Io sono orfana del padre, e della madre..."
Ettore rispose:" Dolce sposa, tutto ciò che hai detto affligge il mio pensiero; ma dei Troiani io temo fortemente l’offesa,.."
Dopo aver detto ciò, distese le braccia aperte al caro figlio, e acuto mandò un grido il bambino, e reclinato il volto, lo nascose nel seno della nutrice, spaventato dalle tremende armi del padre e dal cimiero che orribilmente ondeggia di crini di cavallo sulla sommità dell’elmo. Sorrise il padre, sorrise anche lei, la madre veneranda; e colmo di tenerezza, l’eroe subito si tolse l’elmo splendente dalla fronte, e lo pose in terra. Quindi, baciato con immenso affetto il figlio, palleggiatolo dolcemente tra le mani, lo alzò al cielo, e supplice esclamò: «Giove pietoso e voi tutti, o dei celesti, concedete che degno di me un giorno questo mio figlio sia lo splendore della patria, e diventi forte e potente sovrano dei Troiani. Vi prego: fate sì che qualcuno, vedendolo tornare dalla battaglia recando le crude armi dei nemici uccisi, dica: “Non fu così forte il padre!”; e il cuore della madre, nell’udirlo, esulti».
Così la sua testa, tutta, si insozzava di polvere:
e lei, la madre, si strappava i capelli:
aveva gettato lontano il velo profumato che le copriva la testa:
lanciò un grido, lunghissimo, vedendo da lontano il figlio.
E il padre amato gemette che faceva pietà.
E intorno, per la città, il popolo era soffocato dal pianto e dai gemiti:
allora davvero era come se Ilio altera si consumasse nel fuoco, fino alla cima. La gente a fatica teneva il vecchio, fuori di sé, che smaniava:
voleva uscire dalle porte Dardanie,
e si rotolava nella sudicia terra; supplicava tutti,
nominandoli nome per nome, uno per uno:
“Trattenetevi, amici: lo so che siete angosciati,
ma lasciatemi uscire dalle mura,
da solo, lasciatemi andare alle navi degli Achei,
a pregare quest’uomo, scellerato, che ha agito da empio:
forse avrà vergogna davanti alla mia età, forse avrà pena della vecchiaia, perché anche lui ha un padre così:
Peleo, che lo ha generato, e cresciuto a esser di lutto ai Troiani;
e a me, soprattutto, ha inflitto dolori,
perché mi ha ucciso figli così rigogliosi...
Ma anche se sono straziato per tutti loro,
per nessuno sento altrettanto il morso del male come per questo solo,
per Ettore, e la pena straziante per lui, come una spada,
mi precipiterà giù dentro l’Ade.
Magari mi fosse morto fra le braccia:
allora ci saremmo pasciuti di pianto e di lacrime,
la madre che lo generò, inconsapevole, e io con lei”.
Il lutto a differenza che nell'Eneide è una esperienza corale, destinato ad una elaborazione collettiva.
Ecuba diede voce al pianto compresso:
“Figlio: io non sono più nulla.
Perché dovrei vivere, tra dolori mostruosi, se tu sei morto?
Ah. Tutte le notti, tutti i giorni eri il mio orgoglio, nella rocca,
e in città eri il sostegno per tutti,
Troiani e Troiane, che ti mostravano a dito,
per loro eri un dio: infatti per loro eri un grande prodigio di gloria,
quando eri vivo. Ora han colpito Morte e Moira.”
Odisseo e Telemaco;
Laerte e Odisseo.
Nel primo libro dell’Odissea sono progettati due viaggi: quello di Telemaco, alla ricerca di notizie del padre, e quello di Odisseo, cui finalmente gli dei concedono di intraprendere il ritorno verso la sua patria.
Nonostante il viaggio di Telemaco sembri divergente rispetto al tema centrale, esso in realtà è parallelo a quello dì Odisseo: infatti Telemaco vuole ricostruire il passato del padre, le sue imprese a Troia, cerca tracce della sua esistenza, tenta di ricomporre un’immagine che gli è nota solo indirettamente.
Quando Odisseo arriva ad Itaca, si fa riconoscere attraverso dei segni ("semata"): la voce per il cane, la cicatrice per la vecchia nutrice, il letto nuziale per Penelope. Al padre Laerte, che ritrova vestito di stracci, oltre a mostrare la cicatrice, elenca gli alberi che da piccolo ha ricevuto da lui come promessa di eredità: un "segnale patrimoniale". A questo punto, il vecchio, sopraffatto dall'emozione, quasi sviene.
"Il viaggio di Ulisse riassume la nascita travagliata di una responsabilità familiare e insieme una capacità di scelta.
Riepiloga con la forza della sofferenza e della contraddizione la comparsa della figura paterna e il codice della sua fedeltà.
Telemaco viene descritto come un contenitore mentale senza contenuto: non riesce ad immaginare il padre da cui vorrebbe essere protetto.
Ulisse gli manca nella realtà e nella mente. Telemaco lo cerca all’esterno e si confronta con la sua immagine all’interno.
Egli infatti dice: “Se gli uomini potessero scegliere ogni cosa da soli per prima cosa vorrei il ritorno del padre” (Odissea XVI).
E’ interessante come Omero abbia pensato ai nostri tempi: il padre non scompare mai del tutto. Ma non crediate di trovarlo nei maschi rumorosi, quelli sono i Proci, gli eterni non adulti. Se qualcuno invece è umile, paziente, potrebbe essere Ulisse, sopravvissuto a guerre e tempeste."
FINE
F.C.