Introducing
Your new presentation assistant.
Refine, enhance, and tailor your content, source relevant images, and edit visuals quicker than ever before.
Trending searches
"Ast illi solvuntur frigore membra
vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras."
"Ma le membra nel freddo si sciolgono
e la vita con un gemito fuggì sdegnosa nelle ombre."
Questi sono i versi finali dell'Eneide e chiudono con una nota amara il poema. La figura dell'anima che si allontana sdegnosa possiede infatti due significati: da un lato il fatto che la personalità di Turno rimane tale anche nel momento della sua dipartita, dall'altra che l'anima se ne va prematuramente. Questa visione in particolare può mettere in disparte qualsiasi intento trionfalistico o celebrativo della gloria di Roma nel poema, lasciando prevalere una meditazione negativa sulla guerra da parte di Virgilio.
Nel momento culminante dell'Eneide, l'eroe troiano si trasforma in un guerriero feroce, abbandonando la "pietas" che lo aveva sempre caratterizzato all'interno dell'opera. Egli "grida con cuore spietato", colpisce l'avversario nel corpo a corpo, non si fa scrupoli ad uccidere Turno. Enea voleva vendicare l'amico Pallante, irriso nel momento della propria morte dallo stesso Rutulo; ignora le suppliche di quest'ultimo che cercava di ricordagli del padre Anchise .
Come Enea cambia comportamento in seguito ad un evento che lo sconvolge come la morte di Pallante, così Orlando impazzisce per la scoperta dell'amore di Angelica per Medoro.
Iam vero et Rutuli certatim et Troes et omnes
convertere oculos Itali, quique alta tenebant
moenia quique imos pulsabant ariete muros,
armaque deposuere umeris. (vv.704-707)
-Quae nunc deinde mora est? aut quid iam, Turne, retractas?
non cursu, saevis certandum est comminus armis. [...]
-Non me tua fervida terrent
dicta, ferox; di me terrent et Iuppiter hostis. vv. 889-890/894-895
Lo scontro fra le due fazioni si interrompe perchè tutti si fermano per osservare il duello tra Enea e Turno. Il combattimento fra i due è comparato a uno scontro tra tori e in questa fase la fortuna e la prodezza concorrono a determinare l'esito del duello.
Enea, persa la pietas che lo ha caratterizzato durante tutto il poema provoca Turno incitandolo a combattere in quanto stava fuggendo intorno alle mura. Questo risponde che sono gli dei ostili che lo intimorivano.
Ma ormai i Tutuli a gara ed i Troiani e tutti gli Itali
volsero gli occhi, e quelli che tenevano le alte mura
e quelli che con l'ariete battevano alla base delle mura,
posarono le armi dalle spalle.
-Adesso che indugio è dunque questo? O perché già, Turno, ti ritiri?
Bisogna duellare non con la corsa, ma con le armi. [...]
-Non mi atterriscono le tue furiose
parole, feroce; mi atterriscono gli dei e Giove nemico.
Come per il resto dell'Eneide, ci sono somiglianze con i poemi omerici. Il duello tra i due sfidanti è molto simile a quello fra Achille e Ettore dell'Iliade: a partire dalla morte di Patroclo da una parte e Pallante dall'altra ("Ettore, mentre spogliavi Patroclo delle sue armi credevi forse di poter sfuggire da me, che ti ero lontano!"); la corsa intorno alle mura prima di Ettore e poi di Turno; la richiesta di pietà finale ("Ti prego per la tua vita, per le ginocchia, per i tuoi genitori, non lasciare che venga sbranato dai cani degli Achei, ma accetta oro e bronzo senza fine"). Inoltre da ambedue le parti sono presenti interventi divini.
"Fors et virtus miscetur in unum", il valore ed il caso si confondono fra loro.
Lo scontro si risolve quando Giove, favorevole ad Enea, e in accordo con Giunone (in precedenza schierata contro il troiano), interviene inviando una furia come segno di cattivo presagio per il re dei Rutuli. Quest'ultimo comincia ad indebolirsi, vedendo sempre più vicina la propria disfatta, ma continua comunque a combattere per salvare l'onore contro l'avversario rinvigorito sempre di più dal padre degli dei.
-Dauni miserere senectae
et me, seu corpus spoliatum lumine mavis, redde meis.
-Tune hinc spoliis indute meorum
eripiare mihi? Pallas te hoc vulnere, Pallas immolat et poenam scelerato ex sanguine sumit. vv.934-936/947-949
Sic Turno, quacumque viam virtute petiit,
successum dea Dira negat. [...]
nec currus usquam videt aurigamve sororem. vv. 913-914/918
Turno, sconfitto, chiede pietà a Enea redendolo vivo o almeno portando le spoglie ai familiari. Enea non acconsente sopratutto dopo aver visto il dei paramenti militari appartenuti a Pallante indossati dal nemico, e lo uccide.
Turno comincia a vedersi spacciato con l'arrivo della furia, indice di cattivo presagio, e con l'assenza della sorella Giuturna, che l'aveva abbandonato sottostando alla volontà di Giove.
Così a Turno, con qualunque sforzo cercasse la via,
la dea Dira gli nega il successo. [...]
Non vede più il carro e la sorella auriga.
-Abbi pietà della vecchiaia di Dauno
e me, sia pure tu preferisca un corpo spogliato della luce,dammi ai miei.
- Forse tu, vestito delle spoglie dei miei
mi verresti sottratto? Pallante con questa ferita, Pallante
ti immola e prende vendetta dal sangue maledetto
Enea giunge nel Lazio guidato dal fato presso Laurento dove avrebbe dovuto fondare una nuova città e sposare Lavinia, la figlia del Re dei latini. La principessa era la promessa sposa a Turno,re dei Rutuli, quindi scoppiò la guerra fra le due fazioni. Dopo i vari episodi della , guerra, tra cui la morte di Pallante, si arriva allo scontro finale trai capi fazioni, Enea e Turno.