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Giannino Ancilotto era nato a San Donà di Piave nel 1897 da una delle famiglie più abbienti della città. Studente a Torino , a 17 anni col permesso del padre, riuscì ad arruolarsi volontario nella nuova arma aereonautica. Il 4 novembre 1915 indossò la sua prima divisa di allievo pilota e fu inviato all' aereoporto di Cameri (presso Novara) dove, nel marzo dello stesso anno, ottenne il brevetto di primo grado. Subito si addestrò per ottenre il secondo brevetto che infatti ebbe appena un mese più tardi , il 30 Aprile, dopo un raid Cameri-Torino-Cameri, portato a termine a bordo di un aereo Caudron in pessimo stato.
Trasferito agli aeroporti di Busto Arsizio e alla Malpensa, continuò nei corsi di perfozionamento, destando ammirazione e stupore per la precisione delle sue imprese e l' ardimento dimostrato malgrado la sua giovanissima età. Promosso caporale, fu mandato sul fronte di Gorizia impegnandosi in operazioni di ricognizione e di bombardamento anche a bassissima quota. Divenuto aspirante ufficiale, venne poi inviato sul fronte trentino dove, per le sue operzioni sull' Isonzo e sul fronte montano, gli venne assegnata una prima medaglia d' argento. Nell' Ottobre del 1917, arditissimo pilota da caccia e strenuo combattente nei cieli di Doberdò e di Treviso, abbattè tre aerei nemici e si guadagnò una seconda medaglia d' argento.
LA LEGGENDA DEI RAGAZZI DEL '99 (2°SAGGIO STORICO)
I RAGAZZI DEL ‘99(1°saggio storico)
Anche la prima guerra mondiale ha avuto la sua meglio gioventù. La cronaca militare dell’epoca così la descriveva nell’ordine del giorno firmato dal generale Armando Diaz il 18 novembre 1917: “I giovani soldati della classe 1899 hanno avuto il battesimo del fuoco. Il loro contegno è stato magnifico”. E aggiungeva, immortalandoli per sempre: “Li ho visti i ragazzi del ’99. Andavano in prima linea cantando. Li ho visti tornare in esigua schiera. Cantavano ancora”.
La letteratura ha raccontato, con la penna di Gabriele D’Annunzio, il passaggio tremendo di un’intera generazione di adolescenti dalla famiglia alla trincea: “La madre vi ravvivava i capelli, accendeva la lampada dei vostri studi, rimboccava il lenzuolo dei vostri riposi. Eravate ieri fanciulli e ci apparite oggi così grandi!”. Quei grandi fanciulli erano nati l’ultimo anno dell’Ottocento: da qui il loro nome e cognome, “I ragazzi del ‘99”. Fu l’ultima leva di 265 mila italiani chiamati a “resistere, resistere, resistere!” sul fiume Piave, come esortava Vittorio Emanuele Orlando, l’allora presidente del Consiglio. Giovani di diciott’anni, a volte non compiuti, che hanno contribuito in modo decisivo “alla Vittoria”, come si diceva, e all’indipendenza dell’Italia il 4 novembre 1918. Spesso a costo della vita, perché decine di migliaia di loro non sono più tornati dal fronte del Nord-est. Un dato certo non esiste, in un conflitto che per l’Italia ha significato seicentomila morti e quasi un milione di feriti, di cui la metà mutilati.
I ragazzi del ’99 furono, dunque, protagonisti di tre battaglie decisive, che hanno capovolto le sorti del conflitto: tutte e tre battaglie vinte. Le soprannominate “battaglia d’arresto” a cavallo fra il Trentino e il Veneto il 10 novembre 1917. Quella del “solstizio” a metà giugno del 1918. E la “battaglia di Vittorio Veneto” fra il 24 ottobre e il 3 novembre 1918. Come il generale Diaz aveva scritto quando li vide in azione, “io voglio che l’esercito sappia che i nostri giovani fratelli della classe 1899 hanno mostrato d’essere degni del retaggio di gloria che su essi discende”. A ben undici di questi soldati-ragazzini, originari di Roma, Milano, Messina, Ariano Irpino di Avellino, Riva di Trento, Firenze, Cagli di Pesaro, Longobucco di Cosenza, Novara e Lucca, cioè figli dell’Italia da quel momento libera e unita dal Brennero a Lampedusa, furono assegnate medaglie d’oro al valore. L’ultimo “ragazzo del ‘99” è scomparso a 107 anni nel 2007. Si chiamava Giovanni Antonio Carta, caporal maggiore di fanteria della Brigata Sassari e Cavaliere di Vittorio Veneto. Ma c’è chi dice che non fosse l’ultimo, come si conviene a una leggenda.
E’ capitato molte volte di affrontare il tema della prima guerra mondiale, della disfatta italiana a
Caporetto e delle possibili cause che hanno portato l’Italia a perdite materiali, ma soprattutto
umane, tanto ingenti.
Eppure si dimentica molto spesso quanto sia stata fondamentale la partecipazione alla guerra dei
giovanissimi “ragazzi del ‘99”, quanto siano riusciti in un modo o nell’altro, sotto il comando del
generale Armando Diaz, a tenere alto l’onore e l’orgoglio italiano, dopo una battaglia che tanto ha
della tragedia come quella di Caporetto.
Non si può comprendere l’epopea dei “ragazzi del ‘99” e dei giovanissimi che presero parte attiva
nelle operazioni militari della prima guerra mondiale se non si muove dalla rotta di Caporetto e
dalle conseguenze militari, psicologiche e morali avvertite da tanta parte dell’esercito italiano.
Subito dopo quella terribile sconfitta, nella quale i morti di parte italiana furono quasi 70.000,
l’esercito si trovò completamente privo di mezzi e di forze. Per creare nuovi reparti si fece ricorso a
qualsiasi risorsa umana: il 31 ottobre 1917 il Ministro della Guerra stabilì che i riformati nati tra il
1874 e il 1899 incluso, visitati fino a quel giorno, riconosciuti idonei e arruolati nei consigli di leva,
in applicazione al decreto luogotenenziale del 12 agosto 1917 n.1230, venissero chiamati alle armi
per il 5 novembre. Vennero esclusi quelli affetti da tracoma, mentre quelli laureati in Medicina
furono assegnati ai servizi sedentari in modo permanente. Le chiamate alle armi furono numerose
anche in seguito e le principali si effettuarono per il 6 dicembre 1917 e per il 15 gennaio 1918. Il
governo arruolò addirittura gli ex-riformati e concesse, a coloro che non possedevano l’idoneità al
servizio attivo, la possibilità di iscriversi alle liste dei volontari destinati a depositi di fanteria.
Venne così coinvolta l’intera popolazione italiana, senza distinzione di ceto o appartenenza sociale
e fu trascurato anche il problema delle difficoltà di comunicazione che potevano nascere tra i
soldati a causa della grande diversità tra le terre di provenienza e i dialetti presenti ancora in modo
massiccio nella penisola.
Anche nelle scuole giunse la propaganda e il Ministro della Guerra arrivò persino a chiedere di
svolgere dei corsi di istruzione pre-militare in modo da spingere la maggior parte degli studenti ad
inviare al più presto le domande di arruolamento. Più di tutti i giovani del ’99 risposero con fervore
ed entusiasmo e nonostante l’inesperienza diedero un fondamentale contributo allo svolgimento
delle operazioni militari che si trovarono ad affrontare rincuorando inoltre gli altri soldati, in
particolare quelli che nelle tragiche vicende di Caporetto erano stati preda dello sconforto.
I quasi tremila “chiamati dell’ultimo bando”, come li definì Gabriele D’Annunzio, giunsero nel
giugno 1917 nei centri d’istruzione di Mirandola, di Sassuolo, di Guastalla, di Brescia e di Bagni
della Porretta e dopo aver effettuato una prima e veloce fase di preparazione svolsero i servizi nelle
retrovie: ma le retrovie dopo Caporetto divennero il fronte. Per sopperire allo scarso addestramento
si dispose che ciascuno dei giovanissimi fosse affiancato durante le battaglie da un soldato più
anziano, che aveva il compito di insegnargli l’arte della guerra. Vennero impiegati nelle divisioni di
contenimento e di arresto dell’avanzata nemica sul Piave, sul Grappa e sugli Altipiani, dimostrando
grande coraggio in diverse fortunate battaglie, tra le quali la ripresa di Asiago il 12 novembre e la
vittoria presso il Monte Spinoncia il 19 dicembre, nonostante l’inferiorità numerica.
Significative sono le parole pronunciate da Diaz nell’ordine del giorno del 18 novembre 1917 in
seguito alla battaglia sul Piave: “I giovani soldati della classe 1899 hanno avuto il battesimo del
fuoco. Il loro contegno è stato magnifico e sul fiume che in questo momento sbarra al nemico le vie
della patria, in un superbo contrattacco, unito il loro ardente entusiasmo all’esperienza dei
compagni più anziani,hanno trionfato.”
Alcuni battaglioni austriaci che avevano osato varcare il Piave sono stati annientati: 1200
prigionieri catturati, alcuni cannoni presi dal nemico sono stati riconquistati e riportati sulle
posizioni che i corpi degli artiglieri, eroicamente caduti in una disperata difesa, segnavano ancora. 12
In questa ora suprema di dovere e di onore nella quale le armate con fede salda e cuore sicuro
arginano sul fiume e sui monti l’ira nemica, facendo echeggiare quel grido di “Savoia!” che è
sempre stato squillo di vittoria, io voglio che l’esercito sappia che i nostri giovani fratelli della
classe 1899 hanno mostrato di essere degni del retaggio di gloria che su essi discende.».
Chi erano dunque questi ragazzi? Erano l’espressione autentica della società civile nelle sue
differenze sociali e nei suoi squilibri che venivano miracolosamente annullati al fronte nel comune
combattere e spesso nel comune morire: ricchi e poveri, colti e analfabeti, tutti condividevano gli
stessi rischi e la stessa avventura, gli stessi ideali, lo stesso desiderio di vedere un’Italia unita e
vittoriosa, capace di camminare a testa alta e di dare al popolo la possibilità di dirsi fieramente italiano.
Giovani del '99 a riposo nei pressi di San Bonifacio(VR)
Vincenzo Rabito, ragazzo del '99, racconta alcune vicende a Riva destra del Piave, all'altezza dell'ansa di Zenson (TV) il 15 giugno 1918.
"Così, a tutte ci hanno botato a mienzo quella crante vampa verso il Piave. Così, tutte li altigliarieie sparavino tutto nello alcine del Piave per non fare passare altre forze nuove dela parte di dove c'erimo noie. Così, socesse un vero macello. E così, come dice la Storia, si hanno destinto li ragazze del 99, che ci hanno portato tutte nel Piave cridanto: “Di qui non zi passa!” Perché noi ciovene del 99 erimo più sencere per fare la querra, perché l'abiammo defeso per davero la padria, perché quelle che avevino fatto 2 anne di querra erino più furbe per scapare per non si fare ammazare, come hanno scapato nella retrata di Caporetto."
Testimonianza che fà notare e capire l' amor di patria dei giovani del '99.
Storia di un ragazzo, che all' età di 17 anni si arruolò nell' esercito e dopo soli due anni prese 2 medaglie al valore.
L' anziano intervistato è della classe 1894, e partecipò alla guerra quando aveva circa 21 anni. Dalla sua testimonianza e dalle sue parole, si può notare l' orrore e il disprezzo per la guerra vissuta, "la guerra era morte....".
All'inizio del Novecento, i bambini iniziarono ad essere visti come dei potenziali lettori e consumatori di beni. Nacquero così i primi giornalini a loro dedicati e venne avviata la produzione in serie dei primi giocattoli che riscossero un notevole successo. Fu perciò piuttosto facile, nel 1915, riconvertire queste due novità in chiave patriottica in modo da coinvolgere anche i più giovani nella partecipazione alla Grande Guerra.
Le giovanissime reclute sono da ricordare in quanto nella prima guerra mondiale, dopo la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917), in un momento di gravissima crisi per il Paese e per il Regio Esercito, rinsaldarono le file sul Piave, del Grappa e del Montello, permettendo all'Italia la riscossa nel '18 a un anno esatto da Caporetto con la battaglia di Vittorio Veneto
Il "Corriere dei Piccoli", probabilmente il più celebre giornale dei ragazzi della storia d'Italia
Sitografia
http://it.wikipedia.org/wiki/Ragazzi_del_%2799
http://www.frontedelpiave.info/public/modules/Fronte_del_Piave_article/Fronte_del_Piave_view_article.php?id_a=319&app_l2=45&app_l3=319&sito=Fronte-del-Piave&titolo=Ai-Ragazzi-del-99
http://www.liceoclassiconovara.it/materiale/documenti/90_ANNI_FA_CAPORETTO.pdf?PHPSESSID=9528baacdca8255d8141ddf87f9cb7e4
http://www.formiche.net/2014/07/03/la-leggenda-dei-ragazzi-del-99/
http://espresso.repubblica.it/grandeguerra/index.php?page=estratto&id=289
Questa è la testimonianza di Delfino Borroni, ultimo reduce della prima guerra mondiale(classe 1998), morto nel 2008 all' età di 110 anni.
di Lorenzo Galli