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Norma cossetto.

Il massacro delle foibe.

Con l'espressione "foibe", si intendono gli eccidi ai danni della popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia,occorsi durante la seconda guerra mondiale e nell'immediato dopoguerra. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati molti dei corpi delle vittime, che nella Venezia Giulia sono chiamati, appunto, "foibe".Per estensione i termini "foibe" e il neologismo "infoibare" sono diventati sinonimi di uccisioni che in realtà furono in massima parte perpetrate in modo diverso: la maggioranza delle vittime morì nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi.

La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell'armistizio dell'8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti.Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano 'nemici del popolo'. Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l'Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di Chiesa, donne, anziani e bambini. Lo racconta Graziano Udovisi, l'unica vittima del terrore titino che riuscì ad uscire da una foiba. È una carneficina che testimonia l'odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l'italia e la Jugoslavia.

Nel febbraio del 1947 l'Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l'Istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignora: non suscita solidarietà chi sta fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell'URSS, in cui si è realizzato il sogno del socialismo reale. La vicinanza ideologica con Tito è, del resto, la ragione per cui il PCI non affronta il dramma, appena concluso, degli infoibati. Ma non è solo il PCI a lasciar cadere l'argomento nel disinteresse. Come ricorda lo storico Giovanni Sabbatucci, la stessa classe dirigente democristiana considera i profughi dalmati 'cittadini di serie B', e non approfondisce la tragedia delle foibe. I neofascisti, d'altra parte, non si mostrano particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della seconda guerra mondiale nei territori istriani. Fra il 1943 e il 1945 quelle terre sono state sotto l'occupazione nazista, in pratica sono state annesse al Reich tedesco.

Il riconoscimento di alcuni cadaveri di quello sterminio ,per decenni dimenticato, perpetrato dai comunisti in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia e che dal 1943 al 1947 era costato la vita a oltre 20mila italiani. Tra questi cadaveri tre alunni del seminario di Zara, nudi, con le mani legate con il filo spinato, la corona di spine in testa e i genitali in bocca.

Un italiano assassinato dai partigiani comunisti al quale, prima di “infoibarlo”, avevano strappato gli occhi, servendosi di un cucchiaio acuminato come “leva”…ancora nel 1996 i postcomunisti quando si parlava di questi orrori rispondevano seccati: “Ma parliamo di cose serie!”.

Una delle tante vittime da ricordare è Norma Cossetto.Norma dopo essersi diplomata, brillantemente, nel 1939, presso il Regio Liceo Vittorio Emanuele III di Gorizia, si iscrisse all'Università di Padova. Poi, come avveniva a quel tempo, a partire dal 1941 alternò lo studio a supplenze scolastiche nei paesi di Pisino e Parenzo, mentre aveva deciso di aderire ai Gruppi Universitari Fascisti di Pola.

L'estate 1943 la passò a preparare la sua tesi di laurea che doveva intitolarsi “Istria Rossa” (riferita alla terra ricca di bauxite dell'Istria) seguita dal professor Arrigo Lorenzi. Nelle calde mattine e negli afosi pomeriggi girava per municipi e canoniche alla ricerca di archivi che le consentissero di sviluppare la sua tesi di laurea.

E proprio mentre viaggiava in bicicletta, un giorno, fu fermata e arrestata dai partigiani, era il 27 settembre. Per gran parte dell'estate tutto era scorso tranquillo anche se verso la fine dell'estate l'atmosfera iniziò a farsi pesante e dopo l'8 settembre, la famiglia, come molte altre, cominciò, ad avere minacce armate, ricorda la sorella Licia: “Ci hanno portato via tutto. Si sono presi anche le divise di papà, che in seguito hanno indossato cucendoci sopra la stella rossa!...Una volta hanno anche sparato in casa. La mamma era terrorizzata e anche noi ragazze. Tuttavia, Norma era un po' più ottimista e sperava che tutto questo disordine anche morale si dissolvesse presto”.

Poi, il giorno prima dell'arresto, il 26 settembre 1943 un giovane partigiano di nome Giorgio si era recato a casa dei Cossetto convocando Norma al Comando partigiano nell'ex caserma dei Carabinieri di Visignano. Qui, era stata interrogata, e poi le era stato chiesto di entrare nel movimento partigiano. “No” era stata la sua risposta, secca, decisa. I partigiani guardandosi tra di loro gli avevano indicato l'uscita.

Norma fu arrestata insieme ad altri civili che avevano rifiutato di collaborare. Furono confinati tutti nell' ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo per essere poi trasferiti nella scuola di Antignana dove i partigiani si erano spostati per sentirsi più sicuri vista l'avanzata tedesca che avevano occupato Visinada.

Lì, in quella scuola trasformata in prigione, dove magari avrebbe potuto insegnare, fu divisa dagli altri prigionieri. Legata nuda ad un tavolo, fu seviziata e stuprata dai suoi carcerieri a turno, per diversi giorni.

La sorella Licia ricorda che dopo la morte di Norma una signora che volle restare anonima gli si avvicinò dicendogli, a bassa voce: "Signorina non le dico il mio nome, ma io quel pomeriggio, dalla mia casa che era vicina alla scuola, dalle imposte socchiuse, ho visto sua sorella legata ad un tavolo e delle belve abusare di lei; alla sera poi ho sentito anche i suoi lamenti: invocava la mamma e chiedeva acqua, ma non ho potuto fare niente, perché avevo paura anch'io". La trovarono supina, nuda, le esili braccia legate dal fil di ferro, entrambi i seni pugnalati, il volto pieno di lividi, il corpo sfregiato e un pezzo di legno conficcato nella vagina.

il Tenente Graziano Udovisi, nato a Moncalvo presso Pola il 6 luglio 1925. Infoibato dai partigiani titini il 14 maggio 1945 dopo 9 giorni di sevizie, riuscì a sopravvivere. E' morto il 10 maggio 2010 a Reggio Emilia.

Secondo le recenti stime, il numero delle vittime sarebbe compreso tra 5.000 e 11.000 persone. Nel dopoguerra quindi la vicenda delle foibe è stata a lungo trascurata, tanto che nel 2007, nel Giorno del ricordo delle foibe, celebrato il 10 febbraio, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato: "Va ricordato l'imperdonabile orrore contro l'umanità costituito dalle foibe e va ricordata la "congiura del silenzio", la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell'oblio. Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell'aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell'averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali".

Il giorno del ricordo, per commemorare le vittime delle foibe, è stato celebrato per la prima volta nel 2005 ed è stato istituito con la Legge numero 92 del 30 marzo 2004. Si è scelta come data il 10 febbraio in ricordo del trattato di Parigi firmato nel 1947, che ha assegnato alla Jugoslavia le aree occupate durante la guerra dall'armata di Tito.

Foiba di Basovizza.

Mi fecero marciare sulle sterpaglie a piedi nudi, legato col filo di ferro ad un amico che dopo pochi passi svenne e così io, camminando, me lo trascinavo dietro. Poi una voce in slavo gridò: "Alt!". Abbassai lo sguardo e la vidi: una fessura profonda nel terreno, come un enorme inghiottitoio. Ero sull'orlo di una foiba. Allora tutto fu chiaro: era arrivato il momento di morire.

Tutto è incominciato il 5 maggio 1945. La guerra è finita, depongo le armi e mi consegno prigioniero al comando slavo. Vengo deportato in un campo di concentramento vicino Pola. Prima della tragedia c'è l'umiliazione: i partigiani di Tito si divertono a farmi mangiare pezzi di carta ed ingoiare dei sassi. Poi mi sparano qualche colpo all'orecchio. Io sobbalzo impaurito, loro sghignazzano.

Insieme ad altri compagni finisco a Pozzo Vittoria, nell'ex palestra della scuola. Alcuni di noi sono costretti a lanciarsi di corsa contro il muro. Cadono a terra con la testa sanguinante. I croati li fanno rialzare a suon di calci. A me tocca in sorte un castigo diverso: una bastonata terrificante sull'orecchio sinistro. E da quel giorno non ci sento quasi più.

Eccoci a Fianona. Notte alta. Questa volta ci hanno rinchiuso in un ex caserma. Venti persone in una stanza di tre metri per quattro. Per picchiarci ci trasferiscono in una stanza più grande dove un uomo gigantesco comincia a pestarmi. "Maledetti in piedi! " strilla l'Ercole slavo. Vedo entrare due divise e in una delle due c'è una donna. Poi giro lo sguardo sui i miei compagni: hanno la schiena che sembra dipinta di rosso e invece è sangue che sgorga. "Avanti il più alto", grida il gigante e mi prende per i capelli trascinandomi davanti alla donna. Lei estrae con calma la pistola e col calcio dell'arma mi spacca la mascella. Poi prende il filo di ferro e lo stringe attorno ai nostri polsi legandoci a due a due. Ci fanno uscire. Comincia la marcia verso la foiba.

Il destino era segnato ed avevo solo un modo per sfuggirgli: gettarmi nella voragine prima di essere colpito da un proiettile. Una voce urla in slavo "Morte al fascismo, libertà ai popoli!", uno slogan che ripetono ad ogni piè sospinto. Io, appena sento gli spari dei mitra mi tuffo dentro la foiba (Basovizza).

Ero precipitato sopra un alberello sporgente. Non vedevo nulla, i cadaveri mi cascavano addosso. Riuscii a liberare le mani dal filo di ferro e cominciai a risalire. Non respiravo più. All'improvviso le mie dita afferrano una zolla d'erba. Guardo meglio: sono capelli! Li afferro e così riesco a trascinare in superficie anche un altro uomo. L'unico italiano, ad essere sopravvissuto alle foibe. Si chiamava Giovanni, "Ninni" per gli amici. È morto in Australia qualche anno fa.

foiba di basovizza.

La cosiddetta "Foiba di Basovizza" è in origine un pozzo minerario: esso divenne però nel maggio del 1945 un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, da parte dei partigiani comunisti di Tito, dapprima destinati ai campi d'internamento allestiti in Slovenia e successivamente giustiziati a Basovizza.

Le vittime destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, venivano prelevate nelle case di Trieste, durante i 40 giorni di occupazione jugoslava della città (dal 1 maggio 1945). A Basovizza arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l'orlo dell'abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate.

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