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" Il fenomeno mafioso non é la solita criminalitá. Il fenomeno mafioso é qualcosa di piú importante della criminalitá. É la criminalitá piú l'intelligenza e piú l'omertá. É una cosa ben diversa."
Tommaso Buscetta
- Totó Riina
- Gaetano Badalamenti
- Leoluca Bagarella
- Bernardo Provenzano
- Bernardo Brusca
- Matteo Messina Denaro
Si puó dire no alla mafia?
Si puó combattere la mafia?
Alcuni uomini ci hanno dimostrato che é possibile, anche a costo della loro vita.
Peppino Impastato
Peppino Impastato nacque a Cinisi nel 1948, in una famiglia mafiosa. Fin da piccolo, Peppino prese le distanze dal padre, dal quale fu cacciato di casa. Fonda "Radio Aut, radio libera" dai cui microfoni deride la mafia e i suoi boss, in particolare Gaetano Badalamenti, da lui soprannominato "Tano seduto" e la cui casa distava cento passi dalla sua.
L'uccisione
Peppino Impastato fu ucciso, per ordine di Badalamenti, il 9 maggio 1978. L'hanno ucciso in modo che la sua morte sembrasse un suo tentativo di attentato contro lo stato. La madre e il fratello hanno lottato a lungo perché venisse riconosciuto che Peppino era morto per mano della mafia. Nel 1997, finalmente, é stato riconosciuto l'omicidio mafioso ed é stato emesso l'ordine di cattura per Gaetano Badalamenti .
Mario Francese
Mario Francese nacque a Siracusa nel 1925. Nel 1960 fu assunto dal “Giornale di Sicilia” come cronista di cronaca nera e giudiziaria. Fin dall’inizio, si occupò di eventi che vedevano il coinvolgimento della mafia. Il giornalista con i suoi articoli rompeva il silenzio attorno a Cosa nostra e ne raccontava la nuova struttura.
Ben presto, il cronista cominciò a occuparsi del rapporto mafia-appalti.
L'assassinio
Era la sera del 26 gennaio 1979, Mario Francese aveva finito la sua giornata alla redazione del “Giornale di Sicilia”. Arrivato sotto casa, scese dall’auto e fece pochi passi, quando il killer di Cosa nostra, Leoluca Bagarella, gli sparò numerosi colpi d’arma da fuoco alle spalle.
Piersanti Mattarella
Piersanti Mattarella nacque a Castellamare del golfo il 24 maggio 1935. Fu eletto presidente della regione Sicilia il 9 febbraio 1978. Poco dopo l'omicidio di Peppino Impastato, Mattarella si recò a Cinisi per la campagna elettorale comunale pronunciando un durissimo discorso contro Cosa nostra. Nel 1979 Mattarella riconobbe la collusione tra politica e mafia nella gestione dei contributi agricoli regionali.
L'assassinio
La domenica del 6 gennaio 1980, in Via della Libertà a Palermo, appena entrato in macchina insieme con la moglie, i due figli e la suocera per andare a messa, un sicario si avvicinò al finestrino e lo uccise a colpi di pistola. Inizialmente fu considerato un attentato terroristico, poiché subito dopo il delitto arrivarono rivendicazioni da un gruppo neo-fascista. Solo dopo la morte di Falcone nella strage di Capaci, l'uccisione di Mattarella venne indicata esclusivamente come delitto di mafia da alcuni collaboratori di giustizia tra cui Tommaso Buscetta che indicó come mandante Totó Riina.
Carlo Alberto Dalla Chiesa
Carlo Alberto Dalla Chiesa nacque a Saluzzo il 27 settembre 1920. Partecipò alla Resistenza. Dopo la guerra combatté il banditismo prima in Campania e quindi in Sicilia. Divenuto generale di brigata a Torino dal 1973 al 1977, fu protagonista della lotta contro le Brigate Rosse; fu lui a fondare il Nucleo Speciale Antiterrorismo. Nel 1982 fu nominato prefetto di Palermo nella speranza di ottenere contro Cosa nostra gli stessi brillanti risultati ottenuti contro le Brigate Rosse.
L'assassinio
Il 3 settembre 1982, a Palermo, l'auto sulla quale viaggiava il prefetto, guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro, fu affiancata da un'auto dalla quale partirono alcune raffiche di Kalashnikov che uccisero il prefetto e la moglie. Nell'agguato fu ucciso anche l'agente della scorta. Per i tre omicidi sono stati condannati all'ergastolo come mandanti i vertici di Cosa Nostra, tra cui i boss Totò Riina e Bernardo Provenzano.
Rocco Chinnici
Rocco Chinnici nacque a Misilmeri il 19 gennaio 1925. Entró in magistratura nel 1952. Nel 1970 gli fu assegnato il caso della cosiddetta "strage di viale Lazio". Chinnici ebbe l'idea di istituire una struttura collaborativa fra i magistrati dell'Ufficio, poi nota come pool antimafia, conscio che l'isolamento di magistrati e poliziotti li esponesse all'annientamento e li rendesse vulnerabili, poiché, uccidendo chi indaga da solo, si seppelliscono con lui anche le sue indagini. Entrarono a far parte della sua squadra alcuni giovani magistrati fra i quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il primo grande processo a Cosa nostra, il cosiddetto maxi processo di Palermo, è il risultato del lavoro svolto da Chinnici.
L'assassinio
Rocco Chinnici fu ucciso il 29 luglio 1983 con una macchina imbottita con 75 kg di esplosivo parcheggiata davanti alla sua abitazione a Palermo. Accanto al suo corpo giacevano altre tre vittime raggiunte in pieno dall'esplosione: i due componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile. Il processo per l'omicidio ha individuato come mandanti i cugini Nino e Ignazio Salvo. Il giudice Antonino Saetta inflisse ai sicari di Rocco Chinnici dure condanne. Fu anche lui ucciso dalla mafia, insieme al figlio Stefano, in un tragico attentato il 25 settembre 1988 a Caltanissetta.
Giovanni Falcone
Giovanni Falcone nacque a Palermo il 18 maggio 1939. Entró in magistratura nel 1964. A partire dal 1966 lavoró dodici anni al tribunale di Trapani. Nel 1978 ritornó a Palermo e nel 1979 entró nel Pool di Chinnici alla cui morte subentró Caponnetto che diede vita al Pool antimafia. Scoprí i collegamenti tra la mafia americana e la mafia siciliana. Falcone e i suoi colleghi diedero il via al primo grande processo contro la mafia: il "maxiprocesso di Palermo". Nel 1991, dietro sua richiesta perché osteggiato da alcuni suoi colleghi e da alcuni politici di Palermo, venne trasferito a Roma dove avrebbe voluto dar vita a una "Procura antimafia nazionale".
Maxiprocesso di Palermo
Il "maxiprocesso di Palermo" inizió il 10 febbraio 1986 e terminó il 16 dicembre 1987 e si concluse con 360 condanne. Fondamentali furono le rivelazioni dei "pentiti", primo fra tutti Tommaso Buscetta che scelse come suo interlocutore Giovanni Falcone.
Le rivelazioni di Tommaso Buscetta si concentrano fondamentalmente su due aspetti:
L'assassinio
Falcone venne assassinato in quella che comunemente è detta strage di Capaci, il 23 maggio 1992. Stava tornando a Palermo lungo l'autostrada A29, quando all'altezza di Capaci, furono fatti esplodere 1000 kg di tritolo che erano stati sistemati in un cunicolo di drenaggio sotto l'autostrada. Con lui morirono la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Mandante della strage fu il boss Totó Riina.
Paolo Borsellino
Paolo Borsellino nacque a Palermo nel 1940. Nel 1963 entró in magistratura. Nel 1980 entró nel pool di Chinnici lottando, poi, contro la mafia sotto la direzione di Caponnetto. Il 19 dicembre 1986 Borsellino chiese e ottenne di essere nominato Procuratore della Repubblica a Marsala. Durante il suo periodo a Marsala si occupò anche del caso della Strage di Ustica, e del caso del triplice rapimento e omicidio di tre bambine avvenuto nel 1971 a Marsala, noto con il nome di Mostro di Marsala.
L'assassinio
Dopo la morte di Falcone, in un'intervista, Borsellino citó la frase di un poliziotto ucciso dalla mafia: "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano".
Il 19 luglio, Paolo Borsellino fu ucciso, da un'auto imbottita di tritolo insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita. Dopo la morte di borsellino lo stato reagisce e attua il cosiddetto "decreto Falcone": i mafiosi vengono trasferiti in carceri di massima sicurezza e in regime di carcere duro (41 bis).
Anche la gente reagisce.
Palermo si ribella
Per le strade di Palermo la gente manifesta con striscioni e ai balconi vengono appese lenzuola con scritte indignate. Su uno striscione che apre un corteo é attaccato il seguente manifesto:
Rita Atria
Rita Atria nacque a Partanna nel 1974 in una famiglia mafiosa. Dopo l'uccisione del padre e del fratello decide di seguire l'esempio della cognata e, a soli diciassette anni, diventa "collaboratore di giustizia". Il primo a raccogliere le sue rivelazioni è il giudice Paolo Borsellino con cui stabilisce un intenso legame di fiducia. Le deposizioni di Rita e della cognata, unitamente ad altre testimonianze, permettono di arrestare numerosi mafiosi e di avviare un'indagine sul sindaco di Partanna colluso con la mafia. Una settimana dopo la strage di via D'Amelio, in cui perde la vita il giudice Borsellino, Rita Atria si uccide a Roma, dove viveva in segreto e dove viene ritrovato un suo scritto.
Don Pino Puglisi
Pino Puglisi nacque a Palermo nel 1937. Nel 1960 fu ordinato sacerdote. Nel 1990 venne nominato parroco nel suo quartiere, a Brancaccio, che era controllato dalla mafia, in particolare dal boss Leoluca Bagarella. Qui Don Puglisi inizia la sua lotta antimafia e fonda il centro di aggregazione "Centro Padre Nostro" con l'intento di offrire ai giovani una scelta alternativa a quella mafiosa. Egli non tentava di portare sulla giusta via coloro che erano già mafiosi, ma cercava di non farvi entrare i bambini che vivevano per strada e che consideravano i mafiosi degli idoli, persone meritevoli di rispetto. Egli infatti, attraverso attività e giochi, faceva capire loro che si può ottenere rispetto dagli altri anche senza essere criminali, semplicemente per le proprie idee e i propri valori.
L'assassinio
Il 15 settembre 1993 Don Puglisi venne ucciso davanti al portone di casa sua. Secondo la ricostruzione fatta da Spatuzza, uno dei due esecutori dell'omicidio, mentre lui gli si era posto dinanzi per bloccarlo, l'altro, alle sue spalle, gli ha sparato. Spatuzza ha anche raccontato che quando Don Puglisi lo ha visto gli ha detto "Me lo aspettavo" e gli ha anche sorriso.
Don Giuseppe Puglisi è ricordato ogni anno il 21 marzo nella Giornata della Memoria e dell'Impegno di Libera, la rete di associazioni contro le mafie, che in questa data legge il lungo elenco dei nomi delle vittime di mafia.
Il 25 maggio 2013 é stato proclamato Beato.
Secondo alcuni degli eroi che hanno combattuto la mafia, quest'ultima si puó combattere con l'educazione e la cultura.
Paolo Borsellino ha detto:
"Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo."
Peppino Impastato ha scritto, a tal proposito, una bellissima poesia.