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CASTELLI DEL TRENTINO
Il Castello del Buonconsiglio, formato da diversi edifici addossati alle duecentesche mura cittadine, fu la residenza dei principi vescovi di Trento dalla seconda metà del XIII secolo fino alla fine del principato (1803).
Era un punto importante di controllo e di comunicazione tra l’area mediterranea ed il centro Europa.
Il vescovo Giorgio di Lichtenstein collegò al castello la Torre dell'Aquila, preposta al controllo del lato orientale della città, al cui interno fece affrescare da Mastro Venceslao il celebre Ciclo del Mesi, capolavoro del gotico internazionale.
Il nucleo più antico, Castelvecchio, sorse come roccaforte militare sulla cima di un dosso roccioso intorno al mastio cilindrico - detto Torre d'Augusto - e risale alla prima metà del Duecento.
Ancora oggi nella struttura massiccia dell’edificio, nella facciata in parte realizzata con pietre squadrate a vista, si possono notare elementi difensivi come le feritoie, la porta gotica ferrata e il collegamento ottenuto sopra l’antico ponte levatoio
L'aspetto attuale di Castelvecchio si deve alle trasformazioni volute dal principe vescovo Johannes Hinderbach (1465 - 1486), che fece erigere da maestranze venete il cortile interno a loggiati sovrapposti e la grande loggia, che rese il palazzo più luminoso ed elegante.
La struttura architettonica del Castello rimase inalterata sino al tardo Seicento, quando il principe vescovo Francesco Alberti Poja (1677 - 1689) fece costruire la Giunta Albertiana, con la quale vennero congiunti i due corpi di fabbrica del Magno Palazzo e di Castelvecchio.
Bernardo Cles, principe vescovo dal 1514 al 1539, affiancò all'antico edificio il Magno Palazzo, una maestosa residenza ispirata ai canoni rinascimentali, iniziando anche la costruzione di una nuova cinta muraria verso la città.
Nel refettorio si trovano alcuni preziosi affreschi decorativi; da qui era anche possibile accedere alle cucine e alle cantine.
Nel fossato retrostante il castello, ebbero luogo l’esecuzione capitale di Battisti, impiccato per alto tradimento e la fucilazione di Filzi e Chiesa. Il luogo, denominato Fossa dei Martiri, ospita, accanto ai tre cippi commemorativi degli irredentisti, un’epigrafe che ricorda i ventuno italiani qui fucilati durante le lotte per l’indipendenza del 1848 e le vittime dell’insurrezione trentina di quell’anno.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale, il castello fu utilizzato come caserma. Nel 1916, nelle celle costruite nella loggia rinascimentale, furono imprigionati:
Cesare Battisti
Fabio Filzi
Damiano Chiesa
Arroccato sulla sommità di uno sperone del Monte Vignola, il Castello di Avio o di Sabbionara domina dall’alto la Val Lagarina e il borgo di Avio. Tra i più noti castelli del Trentino, presidio militare già in epoca longobarda, fu appartenuto quasi ininterrottamente alla nobile famiglia dei Castelbarco che, nel corso del Medioevo, lo trasformò in una piccola corte feudale, meta di artisti e intellettuali. Dal 1977 il castello è un Bene del FAI, che vi ha realizzato un’attenta opera di restauro.
porta-torre coronata da merli a coda di rondine.
Mastio del XI secolo, con all’interno la stanza dell’amore ed eleganti decorazioni di gusto cortese, con strali che trafiggono il cuore di una dama elegantemente abbigliata e di un cavaliere appassionato. Amore cavalca un impetuoso destriero infondendo a tutto l’ambiente un ritmo vivace.
Una delle cinque torri del castello, chiamata così perché sulla terrazza venivano impiccati i condannati.
All'interno del palazzo si trova la Casa delle Guardie con gli affreschi della “parata dei combattenti”, capaci di offrire un autentico spaccato della vita cavalleresca del tempo
Storia del castello
Il Castello di Rovereto fu edificato nel XIV secolo dai Castelbarco. Esso era posto a presidio della valle dell'Adige in una posizione che permetteva il controllo del passaggio del Leno e delle vie che arrivavano a Rovereto, la Vallagarina e la Vallarsa. Da Rovereto era così possibile presidiare le comunicazioni tra l'Italia e la Germania.
Nel 1487, durante la guerra tra la Repubblica di Venezia e l’arciduca d’Austria, il castello fu assediato e gravemente danneggiato. I Veneziani lo ricostruirono e lo trasformarono in una fortezza militare con funzione difensiva, dotata di quattro possenti bastioni. Nel 1509 Rovereto passò all'Impero d'Austria, che lo controllò fino al termine della Grande Guerra. Nei secoli il castello perse importanza e venne utilizzato come ricovero per mendicanti, prigione e, infine, caserma.
Al termine della Prima guerra mondiale fu restaurato e, dal 1921, ospita il Museo storico italiano della guerra.
Il castello è caratterizzato dalla presenza di numerosi cunicoli sotterranei, che collegano i vari ambienti e sistemi fortificati.
In epoca medievale le mura del castello erano costruite con dei sassi ed erano più sottili e prive di feritoie per far sparare ai cannoni e di torri angolari a base quadrata. L'evoluzione tecnica in campo bellico aumentò il potere di fuoco delle artiglierie tra la fine del Medioevo e la prima età moderna. Si rese quindi necessario rivedere i sistemi di difesa muraria delle fortificazioni, dotando i muri perimetrali di possenti terrapieni, per attutire la potenza dei colpi di canone. Nel caso del castello di Rovereto venne realizzato un possente terrapieno, della profondità di alcuni metri, a difesa del fossato.
Il torrione, posto sull’angolo nord-ovest del castello, prende il nome dal podestà Paolo Malipiero che lo fece realizzare nel 1489. È una possente struttura organizzata su tre livelli di cannoniere. Le torri rotonde offrivano minore superficie al tiro delle artiglierie: il profilo sfuggente permetteva di deviare i colpi e il perimetro circolare riduceva il cosiddetto “angolo morto”, precluso al tiro della difesa. All’interno i torrioni offrivano capacità di manovra per le artiglierie. Dal 1925 al 1961 il torrione ha ospitato la Campana dei Caduti
Il torrione venne realizzato nel 1492 dall’ingegnere militare Jacopo Coltrino. Posto sull’angolo orientale del castello, è alto circa 25 metri e presenta quattro livelli di cannoniere. Gli oggettI attualmente qui esposti testimoniano come si combatteva tra ‘500 e ‘700: la fanteria, armata di picche, alabarde e spiedi riusciva a contrastare la cavalleria pesante. A partire dal ‘500 si diffuse l’arma da fuoco. Sui campi di battaglia il moschetto e l’archibugio si rivelarono l’arma vincente.
La più grande fortezza della regione, punto nevralgico a sud di Trento a guardia della Vallagarina e della strada degli altipiani di Folgaria. È noto dal 1171, legato alla famiglia dei da Beseno; passa poi nei secoli ai Castel Barco e infine ai Trapp, che nel 1972 lo donano alla Provincia autonoma di Trento.
Nel 1487 la fortezza fu testimone della famosa Battaglia di Calliano, in cui si scontrarono le truppe tirolesi e l’esercito veneziano, che fu duramente sconfitto.
Il complesso fortificato, costituito da più nuclei, subì nel tempo profonde trasformazioni: le strutture difensive medievali, in particolare, furono adattate alle nuove esigenze della guerra rinascimentale (come l'uso di cannoni).
Oggi, Castel Beseno è un museo e ospita manifestazioni culturali e rievocazioni storiche.
http://sentierodeifuochifatui.blogspot.com/2015/07/castel-beseno.html
Il palazzo comitale domina verso sud la corte d’onore.
Qui si affacciano una serie di caseggiati che ospitavano ambienti destinati allo svolgimento della attività quotidiane: le cucine, i forni, le cantine, il pozzo e la cisterna per la raccolta dell’acqua piovana all’interno del cosiddetto “Palazzo di Marcabruno”.
Un altro caseggiato, che introduce al bastione sud, aveva forse funzioni giudiziarie. Tra i poteri dei signori del castello rientrava infatti anche quello di amministrare la giustizia: ne sono testimonianza le due anguste celle, cui si accede sul lato occidentale.
La Porta Scura introduce al primo cortile, dove una costruzione, detta un tempo ajone (granaio), ospita oggi il bookshop del museo. Da qui è possibile accedere e percorrere il camminamento di ronda.
Dal primo cortile, attraverso una porta ad arc flamboyant dotata di archibugiere e caditoia, si accede alla Piazza Grande dominata dal Palazzo Comitale.
Sulla facciata è ancora riconoscibile la merlatura che coronava un antico edificio medioevale.
Alle linee di mura più esterne appartengono la prima porta in pietra e la seconda porta, dotata di un locale per il corpo di guardia; sulla destra si estende il cosiddetto “campo dei tornei”, uno spazio in realtà destinato a garantire la migliore difesa della struttura sul lato più esposto ad eventuali attacchi nemici.
Proseguendo lungo la strada che si snoda ai piedi dell’imponente fortezza edificata sulla roccia, si fiancheggia il massiccio bastione nord, costruito come gli altri nel Cinquecento.
A nord del bastione si apre la terza porta, detta “scura”, un tempo dotata di saracinesca. La funzione difensiva di questo ingresso è ulteriormente sottolineata dalla sua profondità e dalla presenza di tre porte, disposte in stretta successione su un terreno in pendenza e con un’angolazione tale da impedire all’attaccante la necessaria visibilità.
La Rocca è caratterizzata da pareti di pietra o di malta, quattro torri angolari, il piccolo ponte d’ingresso sul canale.
Icona e simbolo della città, il Castello di Arco è riprodotto in innumerevoli codici e dipinti, fra cui, famosissimo, l’acquerello di Albrecht Dürer conservato al Louvre di Parigi.
Alle spalle della torre Grande sorgono i resti di una torre più piccola; un suo locale ha fortunosamente mantenuto il pavimento in cotto originale e un vasto ciclo di affreschi di argomento profano del Trecento, in cui rivivono personaggi e scene di corte: dame e gentiluomini che giocano a scacchi, S. Giorgio che uccide il drago, l’investitura di un cavaliere e la dama che intreccia ghirlande di rose.
https://www.fondazionecastelpergine.eu/architettura-e-arte/
Castel Pergine domina dall'alto del colle Tegazzo tutta l'Alta Valsugana, tanto che si presume che questo luogo fosse la sede di un castelliere romano o addirittura di epoca retica. Trasformato nel XIII secolo in una vera e propria fortezza medievale, appartenne per tanto tempo ai duchi d’Austria. Nel 1531 Bernardo Clesio, cardinale di Trento, acquisì la Giurisdizione di Pergine e il castello rimase a lungo proprietà dei Principi Vescovi di Trento.
Nel 900 il castello venne ristrutturato, acquistato e trasformato in parte in un albergo e in parte in un museo. Nel 2018 il maniero è stato rilevato dalla Fondazione CastelPergine Onlus, diventando il primo bene storico d'Italia di proprietà collettiva.
È la parte più antica, il mastio, costruita sul punto più elevato del colle. È massiccia e merlata, sovrasta la scarpata e raccorda le due cinte murarie: era il punto nodale del sistema difensivo.
In passato, infatti, la torre era in comunicazione visiva con gli altri castelli e i dossi del circondario e da essa venivano fatte segnalazioni con fuochi.
Alcune finestre e feritoie sono originali, mentre le altre aperture, bordate di calcare rosso, sono state fatte nei lavori d’inizio secolo, che l’hanno notevolmente modificata.
Qui i prigionieri erano costretti a rimanere seduti con le mani fissate a degli anelli e la testa immobilizzata, a subire il supplizio della goccia: da un foro nella volta una goccia d’acqua cadeva con regolarità inesorabile sul capo del condannato, che moriva tra atroci dolori.
Si trova nel piano nobile; qui sono dipinti gli stemmi dei principi vescovi che abitarono il castello.
Nella Sala delle Armi, o Sala delle Guardie, sulle vele del Pilastro Ottagonale si vedono gli stemmi e gli emblemi del Vescovo Clesio e dei Firmian, oltre a tre quasi scomparsi.
Si entra nel castello attraverso la Torre di Guardia...
...Fino alla torre rotonda, detta anche torre delle torture: qui, secondo la tradizione, si trovavano la stanza e gli strumenti riservati alla tortura.
...Si segue la cinta muraria, composta da dodici merli con feritoie...
Il castello di Drena, nonostante le evoluzioni subite in epoca tardo medievale, è giunto fino a noi nella forma più semplice e comune della fortificazione: un recinto murato con torre centrale. Questa struttura molto lineare fa pensare che il castello fu inizialmente pensato semplicemente come un rifugio di proprietà comunitaria contro le invasioni barbariche e non come un elemento di una difesa organizzata di proprietà feudale. Nel XII secolo il castello, divenuto oggetto di furibonde contese che videro protagoniste le due famiglie contrapposte dei Sejano e gli Arco, fu oggetto di una vera e propria opera di fortificazione, i cui principali responsabili furono presumibilmente i Sejano.
Anche se attualmente è diroccato, sono ancora visibili la torre circondata dalle vaste mura perimetrali di forma rettangolare. Mentre piani e soffitti sono purtroppo ormai da tempo crollati.
Il palazzo baronale, slanciato in verticale con tre torrette a cuspide gotica, rappresenta la parte più antica del castello, costruita sulla viva roccia. L’atrio è nella vecchia torre gotica; vi si possono ammirare un grande stemma dei Thun-Kónigsberg con la data 1585 dipinto sulla volta, tracce di affreschi quattrocenteschi e un recipiente per l’olio, scavato nella pietra.
La porta spagnola è costruita con un bugnato in pietra forse visto in Spagna e qui imitato; decorata con lo stemma dei Thun, dà accesso al ponte levatoio.
La torre della biblioteca, in un grande locale a soffitto con stucchi barocchi, ospitava diecimila volumi e numerosi incunaboli.
La cappella del castello, dedicata a S. Giorgio conserva un interessante ciclo di affreschi di scuola tedesca risalenti alla seconda metà del XV secolo.
Varcata la porta dei ponte levatoio, ci si trova nel più singolare ingresso dei castelli trentini. Si tratta dei Colonnato dominato dalle due torri medievali merlate dette delle prigioni. La singolare tettoia, sostenuta da 18 massicce colonne di pietra, serviva per riparare i cannoni dalle intemperie. Di fronte al Colonnato, il palazzo baronale.
Le fasi architettoniche del castello iniziarono nel Duecento e proseguirono fino al XVI secolo. Tra il 1230 e il 1235, per volere di Rambaldo ed Arnoldo da Cagnò, fu realizzato il primo nucleo, una torre a cinque piani, utilizzata per il controllo della valle ma anche come residenza. Nel 1464 la “casa torre” passò alla famiglia Thun che la ampliò, conferendo all’edificio l’aspetto attuale.
La cappella, dedicata alla Natività di Maria ed affrescata da Elia Naurizio, è esterna agli edifici anche se comunque all'interno delle mura che lo circondano.
Nella torre del castello è presente una sala completamente affrescata chiamata la prigione di Olinda. Secondo la leggenda la contessina Marianna Elisabetta Thun vi fu rinchiusa da suo padre Redemondo per impedire il matrimonio con Arunte, menestrello di corte, di cui si era innamorata. La contessina vi morì per amore e si dice che gli affreschi siano opera sua.
Gli interni di Castel Caldes, a seguito dell'opera di restauro, appaiono oggi in tutta la bellezza di pareti con affreschi e rivestimenti in legno e soffitti a volte, tra cui si distinguono la stanza del conte e la sala da ballo.
Una leggenda narra il contrastato amore di Aliprando di Toblino con Ginevra, la bella castellana di Stenico. Una notte, mentre Aliprando rincasava cavalcando lungo un sentiero, fu ucciso da Graziadeo di Castel Campo, suo rivale in amore.
Il castello deve la sua fama, oltre che alla bellezza dell'ambiente, alle numerose leggende che ha suscitato.
Il luogo, ancor prima di avere un ruolo strategico o di rappresentanza, pare avesse una funzione magico-religiosa. Bisogna tornare indietro di circa 2000 anni, quando il livello del lago era più alto di circa due metri e il lembo di terra, su cui oggi sorge il castello di Toblino, era un'isola nel mezzo del lago. Gli antichi abitanti del luogo credevano che quel luogo fosse sacro. Nel III secolo infatti lì venne edificato un tempietto dedicato al culto dei Fati, antiche divinità romane capaci di predire il destino. Lo "certifica" una lapide murata nel portico del castello che l’archeologo Paolo Orsi definisce "unica nel suo genere nella realtà epigrafica romana".
Secondo una leggenda, Toblino sarebbe stato nel XVII secolo luogo di amore tra Claudia, figlia di Lodovico Particella, oriundo di Fossombrone, con Carlo Emanuele Madruzzo, principe vescovo di Trento e ultimo dei Madruzzo. Risultate vane le suppliche al Papa onde ottenere lo scioglimento dei voti sacerdotali, il prelato si sarebbe abbandonato ad una peccaminosa relazione con la ragazza.
La struttura è arroccata su una piccola e protetta penisola bagnata dall'omonimo lago. La sua collocazione ha evidenti motivi di strategia difensiva che qui sfrutta sia le condizioni naturali del terreno, sia la presenza dell'importante nodo stradale di collegamento tra Trento e le valli del Sarca e del Chiese.
La struttura ha un aspetto diverso da quello che doveva avere l´originaria fortezza medievale: una volta perse le caratteristiche militari e difensive viene trasformato in una dimora nobiliare cinquecentesca, grazie a importanti lavori di ammodernamento e abbellimento promossi dai Principi Vescovi Clesio e Madruzzo. La forma quadrangolare del complesso trova uno dei segni di maggior interesse nel grande mastio di forma circolare, certamente la più evidente delle preesistenze medievali. L'ampia cinta merlata che circonda l'intero complesso e il grande parco circostante la residenza aggiungono un ulteriore carattere distintivo.
Storia del castello
Arroccato su un dosso roccioso da cui si domina la conca delle Giudicarie esteriori, il castello di Stenico è un simbolo del potere dei principi vescovi di Trento in questa regione.
Fortificazione di origine altomedioevale, il primo documento che menziona Castel Stenico risale al 1163, a partire dal XIII secolo divenne residenza estiva e sede del capitano, il funzionario a cui era affidata l’amministrazione del territorio.
All’esterno si presenta come una fortezza medievale severa e imponente, mentre all’interno decorazioni scultoree e pregevoli affreschi gli conferiscono l’aspetto di elegante residenza. Gli interventi più significativi risalgono ai principati di Johannes Hinderbach, attento umanista, e di Bernardo Cles, una delle figure più importanti della storia trentina, uomo di potere e raffinato mecenate.
Gli ambienti sono oggi elegantemente arredati con raffinati mobili, intagliati e intarsiati, pregevoli dipinti, armi bianche e da fuoco, antichi utensili d'uso quotidiano in rame, in ferro e in legno, provenienti dalle collezioni del Castello del Buonconsiglio.
Oltrepassato il portale sormontato dall’elegante loggia rinascimentale si accede al secondo cortile e da qui al Palazzo Nuovo. È un austero edificio in pietra ingentilito da bifore e trifore ad arco, risalente ai tempi del principe vescovo di Trento Federico Vanga (inizi XIII sec.).
A pianterreno la cupa e suggestiva Sala del Giudizio era destinata all’amministrazione della giustizia del territorio; una sopraelevazione della sala doveva infatti ospitare i giudici.
L’ambiente è illuminato unicamente da feritoie che denunciano l’originaria destinazione difensiva dell’edificio.
Al piano superiore, raggiungibile da un’imponente scala esterna, l’ampia e luminosa Sala del Consiglio era invece un ambiente di rappresentanza del castello. Un affresco del Quattrocento, con le figure di Carlo Magno, del patrono di Trento san Vigilio e del principe vescovo Adelpreto, narra simbolicamente la storia del territorio concesso dall’Impero Germanico ai signori trentini.
Sull’antica casa murata, prima proprietà vescovile all’interno del castello, si sviluppa l’edificio voluto dal principe vescovo Georg von Liechtenstein alla fine del XIV secolo e il cui aspetto originario è documentato nella rappresentazione del mese di gennaio nel celebre Ciclo dei Mesi affrescato in Torre Aquila a Trento.
A pianterreno sono visitabili le cantine, suggestivi ambienti voltati oggi destinati all’esposizione di una ricca collezione di chiavi e serrature dall’epoca medioevale all’Ottocento; al primo piano, raggiungibile attraverso il Palazzo Hinderbach, è l’antica cucina con la grande cappa, arredata con mobili e utensili in rame e in legno;
al secondo piano la Sala dei Medaglioni, così denominata per l’elegante decorazione pittorica cinquecentesca in cui Allegorie e personificazioni di Virtù si affacciano da finti oculi, opera di un raffinato pittore al servizio del principe vescovo Bernardo Cles.
Nell’antica torre, che si innalza accanto al Palazzo Nuovo, era ricavata una prigione: sul pavimento una botola era l’unico ingresso per la cella sottostante dove i prigionieri erano condannati a morire di stenti.
Nelle vicinanze è visibile la cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, che consentiva l’approvvigionamento idrico al castello.
Sul lato meridionale del Secondo cortile, accanto alla Torre dei Birri, si innalza un edificio risalente alla seconda metà del XII secolo e rimaneggiato nei secoli successivi.
Gli ambienti del pianterreno ospitano la collezione di manufatti in ferro battuto; al piano superiore, raggiungibile attraverso la loggia cinquecentesca e la Sala delle Guardie, la Sala dei Fiori è abbellita da fregi pittorici floreali risalenti al Quattro e Cinquecento.
Addossato alla Casa Vecchia, il palazzo fu costruito nel 1477 dal principe vescovo di Trento Johannes Hinderbach, il cui stemma campeggia sopra l’ingresso.
Un’elegante scala, in cui si alternano scalini in pietra rossa e bianca, conduce alla Sala dei Putti, decorata da un fregio pittorico rinascimentale, e da qui, passando per l’antica cucina, alla Stanza del Vescovo, ambiente intimo dotato di un curioso “gabinetto a scomparsa”.
Al piano superiore la Sala del Camin Nero, abbellita da un fregio rinascimentale con scene di battaglia, prende il nome dall’imponente camino in pietra nera di Ragoli.
Le decorazioni pittoriche risalgono agli interventi voluti dal principe vescovo Bernardo Cles, committente a Trento del rinnovamento urbano e della costruzione del sontuoso Magno Palazzo.
I restauri eseguiti negli anni Ottanta hanno portato in luce uno straordinario ciclo pittorico (inizi del XIII secolo) nella cappella, un ambiente risalente all’epoca carolingia (VIII sec) e successivamente inglobato nella costruzione del Palazzo di Nicolò.
Sulla parete settentrionale, quella meglio conservata, si succedono episodi della vita di Gesù – Annunciazione, Natività e Crocifissione- una scena apocalittica e figure di santi. Il ciclo, una rara testimonianza della pittura romanica in Trentino, si è fortunatamente conservato grazie all’addossamento di un muro costruito per rendere più possente la cinta muraria agli attacchi
Sulla parete dell’altare si sono conservati affreschi trecenteschi.
Castel Restor doveva presentarsi originariamente con un impianto piuttosto simile alle altre fortificazioni dei conti d’Arco, quali il Castello di Drena e il Castello di Castellino: una torre quadrangolare circondata da una cinta muraria curvilinea.
Il complesso presenta un doppio sistema di mura con la cinta muraria esterna piú massiccia e a forma irregolare per adattarsi alla pendenza del terreno.
All'esterno delle mura dovevano essere presenti tre edifici e cinque o sei edifici all'interno .
La torre, con funzione di mastio, aveva un’altezza di circa quindici metri.
Le mura sono costituite da due muri contrapposti riempiti da materiale di contenimento come sassi e pietre, osservando bene si nota che le mura sono state innalzate in due tempi successivi.
Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, Castel Pietra fu teatro di importanti battaglie combattute tra i francesi di Napoleone e gli austriaci. Nel 1796 Napoleone Bonaparte fece trasportare alcuni cannoni a metà del Cengio Rosso e le truppe austriache non poterono fare altro che arrendersi, non potendo difendersi da un bombardamento dall'alto.
L'origine esatta di Castel Pietra non è databile ma già nel XII secolo alcuni documenti citano "la Pietra", appellativo dato dagli abitanti del luogo al castello. Il nome richiama i macigni caduti in tempi remoti dal sovrastante Cengio Rosso, sui quali il maniero è stato costruito ed ampliato nei secoli, come avvenne per la parte gotica nel XIV secolo. È evidente al primo sguardo che la finalità è la difesa ed il controllo del territorio. L'importanza storica di Castel Pietra deriva soprattutto dalla posizione strategica: qui il fiume Adige formava una grande ansa e la Strada Imperiale passava nel punto più stretto della Vallagarina.
Per molti anni e fino alla sconfitta definitiva di Venezia nei primi anni del XVI secolo il castello si è trovato al confine tra il Tirolo e la Repubblica di Venezia. La famosa battaglia di Calliano del 10 Agosto 1487 in cui le truppe veneziane comandate dal generale Sanseverino furono pesantemente sconfitte fu solo una di una lunga serie di combattimenti che vide Castel Pietra come protagonista. Il "murazzo", un possente muro che dal castello arrivava fino alla riva del fiume, bloccava il passaggio e solo dopo aver pagato il dazio si poteva passare dall'enorme portone che si trovava nel mezzo del muro.
Durante la Grande Guerra Castel Pietra fu severamente danneggiato nel lato est da alcune cannonate italiane sparate dal vicino fronte. Anche i bombardamenti della II Guerra Mondiale portarono distruzione: le bombe destinate alla vicina ferrovia colpirono invece un rifugio pieno di sfollati ubicato all'interno delle mura. Fortunatamente la solida struttura salvo' le persone che avevano cercato riparo al suo interno nonostante un parziale crollo.
La stanza è completamente affrescata e deve il suo nome alla probabile presenza di un tribunale nel breve periodo nel quale Castel Pietra ebbe una propria giurisdizione. Gli affreschi risalenti al XV secolo furono scoperti solo nel 1926 poichè ricoperti da uno spesso strato di calce che nei tempi passati serviva per disinfettare gli ambienti dopo le pestilenze. Il pavimento ed il soffitto in legno fanno da splendido contorno alle pareti affrescate.
SITOGRAFIA
http://www.castellideltrentino.it/I-castelli/Elenco-siti
https://www.visittrentino.info/it/guida/da-vedere/castelli/
https://it.wikipedia.org/wiki/
https://www.buonconsiglio.it/
https://www.museodellaguerra.it/visita/castello/