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IL MATRIMONIO ROMANO
Nell'antica Roma, l’identificazione sessuale, e le leggi che regolavano i rapporti sessuali, si basavano non sul fatto che ''l’oggetto del desiderio'' fosse una persona del sesso opposto o dello stesso sesso, ma sul fatto se quella persona ricopriva un ruolo attivo, associato alla virilità e alla mascolinità, oppure uno passivo. Agli antichi romani era peraltro sconosciuto il concetto moderno di omosessualità, proprio per il fatto che l’identificazione sessuale avveniva in base al ruolo svolto durante il rapporto sessuale. A Roma bisognava necessariamente distinguere almeno due periodi storici in cui spesso cambia la visione dei rapporti omosessuali: Periodo della monarchia e repubblicano antecedente la conquista della Grecia; e il periodo della conquista della Grecia e della sua cultura
Nel periodo repubblicano antecedente alla conquista della Grecia i rapporti omosessuali venivano visti con sospetto. I Romani identificavano infatti il rapporto tra persone dello stesso sesso come il vizio dei Greci, sostenendo che nei loro antenati non esisteva l’omosessualità ritenendola un’offesa al costume degli avi
I romani, praticavano l’omosessualità solamente con gli schiavi e con i liberti. La Lex Scatinia dal 149 a.C. condannava espressamente l’adulto nel caso di rapporti omosessuali tra adulto e puer ( ragazzi ancora non maturi sessualmente, quindi si parla di pedofilia) mentre nel caso di rapporto omosessuale tra cittadini liberi adulti veniva punito quello che tra i due assumeva il ruolo passivo, con una multa di 10.000 sesterzi. Anche uomini come Giulio Cesare, o imperatori come Adriano praticavano rapporti omosessuali: l’omosessualità, di Cesare è testimoniata da Cicerone, mentre l’imperatore Adriano ebbe per anni come amante il giovane schiavo Antinoo.
A Roma il matrimonio era strettamente legato al diritto e in quanto istituto civilmente riconosciuto faceva riferimento a tutta una serie di leggi. Lo ius connubi, la capacità di contrarre un matrimonio, inizialmente era destinato solo ad individui della stessa classe sociale. Una importante innovazione fu la Lex Canuleia, del 445 a.C., la prima a ritenere valido il matrimonio fra patrizi e plebei.
Prima del matrimonio era necessario un periodo di fidanzamento che iniziava quando i due padri procedevano con la rettifica della promessa di matrimonio. Le tipologie di matrimonio sono caratterizzate dall’ottenimento della “manus” (cum manus ) della donna. Un matrimonio “sine manus” non concedeva al marito alcun tipo di potere sulla donna, che restava legata alla propria famiglia e, quindi, non poteva avere nessuna aspettativa ereditaria dalla famiglia del marito.
La cerimonia degli sposi è descritta da vari autori romani: il giorno stabilito la fidanzata, dopo essersi vestita, riceve il fidanzato, la famiglia e gli amici di lui: tutti assieme sacrificano un animale agli dei nell’atrium della casa o presso un tempio vicino. Quando il sacrificio della pecora o di un maiale è stato compiuto, l’ auspex e i testimoni, solitamente una decina, pongono il loro sigillo sull’atto di matrimonio. L’ auspex, che non è un sacerdote né un funzionario, esamina le interiora per vedere se gli dei gradiscano quanto è stato celebrato: se così non fosse il matrimonio sarebbe annullato.L’auspex dunque annuncia il favore degli dei e gli sposi pronunciano una formula matrimoniale: Ubi tu Gaius, ego Gaia. A questo punto la cerimonia è conclusa e gli invitati e i parenti festeggiano gli sposi innalzando grida augurali: feliciter (La felicità sia con voi) e si inizia il banchetto nuziale che dura sino al tramonto. Quindi la sposa viene condotta a casa dello sposo con una processione aperta da suonatori di flauto mentre si cantavano canzoni gioiose. Durante il cammino la sposa lancia ai ragazzini delle noci come quelle con cui giocava da bambina.
La Confaerratio era un rito di carattere religioso; prevedeva un' offerta da parte dei due sposi di una focaccia di farro alla presenza dei sacerdoti di Giove
La Coemptio, era rito di carattere civile e prevedeva una vera e propria simulazione di una compravendita, dove la moglie era la merce e il marito l’acquirente.
Nella Roma antica il divorzio era ammesso e poteva avvenire o per un accordo tra i due coniugi o per volere di uno dei due partner. In ogni caso non occorreva una precisa motivazione per procedere ad un divorzio e non era necessario che intervenisse un’autorità giuridica . In genere costituivano motivi validi per una separazione la mancanza di figli o il desiderio di voler intraprendere una relazione con un’altra persona. Di solito tutto si risolveva in una questione legata alla proprietà o ai beni, per esempio il marito era tenuto a restituire la dote ( È il complesso di beni che la donna porta al marito per sostenere gli oneri del matrimonio) della moglie, a meno che non ci si trovasse nel caso in cui fosse provato un adulterio da parte della donna.
In questo caso il marito poteva tenere per sé la dote della moglie per intero o in parte. Se fosse stato l’uomo a commettere adulterio, invece non subiva alcun danno. Tra l’altro in caso di divorzio i figli rimanevano col padre. Il numero dei divorzi a Roma cominciò ad aumentare a partire dal primo secolo a. C. Nella maggior parte dei casi la decisione di procedere al divorzio veniva presa dal marito, ma non era raro che anche una donna decidesse di separarsi.