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Figlio di una famiglia benestante proveniente dalla Galia Cisalpina, si trasferisce a Roma attorno al 60 A.C, dove entra subito in contatto con gli ambienti frequentati dai personaggi influenti dell'epoca, arrivando così a stringere amicizie significative con molti personaggi noti, tra cui Cornelio Nepote, primo estimatore dei suoi scritti, a cui Catullo dedicherà il carmina d'apertura del Liber Catulliano.
I poetae novi si differenziano per i temi trattati nelle loro opere, come l'amore e l'affetto.
Opere che a loro volta si differenziano per la loro metrica.
La maggior parte dei carmi presenti vengono chiamati nugae da Catullo stesso.
Il termine è stato coniato da Cicerone con una connotazione esplicitamente dispregiativa, causata dallo spicatta indole innovativa dei giovani poeti.
Modello poetico:
I principali concetti poetici della scuola dei poetae novi prevedono un distacco netto dalla poesia epica, la quale è sempre stata alla base del mos maiorum.
Questo distacco comporta anche un cambiamento radicale delle tematiche affrontate nei vari carmina, che in questo caso sono episodi di vita quotidiana, l'amore e i sentimenti in generale.
Segue poi una cura quasi maniacale degli scritti, tanto che, nel caso di Catullo, i carmina vengono definiti expolitum, ovvero levigati.
Il liber Catulliano è composto da 116 carmina, divisi in tre sezioni:
La raccolta si apre con un carmen dedicato a Cornelio Nepote, che viene ringraziato dal poeta per aver apprezzato i suoi scritti.
Gli epigrammi e le nugae sono carmina dedicati prevalentemente a Lesbia (Clodia), nonchè amante di Catullo.
Nei carmina docta, invece, è possibile notare una figura più composta e classica del poeta, affiancato da una scelta più elaborata e consapevole dei termini per la composizione dei versi.
Figlia di Appio Claudio Pulcro, Clodia è riconosciuta come l'amante di Catullo, il quale le affibbia il nome di Lesbia per parlare di lei nei suoi scritti, paragonandola alla scrittrice e poetessa greca Saffo.
Descritta come una donna colta, intelligente e sensuale, si pensa che sia stata amante di più personaggi di spicco a Roma.
A chi dono questo elegante nuovo libretto
levigato or ora con l’arida pomice?
Cornelio, a te: e infatti tu solevi
pensare che le mie cosucce valessero qualcosa,
già allora quando osasti, unico tra gli Italici,
raccontare tutta la storia in tre libri,
dotti, per Giove, e faticosi.
Perciò eccoti questo libretto, qualunque esso sia
e qualunque sia il suo valore: e questo, o vergine patrona,
possa durare perenne per più di una generazione.
Cui dono lepidum novum libellum
arida modo pumice expolitum?
Corneli, tibi: namque tu solebas
meas esse aliquid putare nugas
iam tum, cum ausus es unus Italorum
omne aevum tribus explicare cartis
doctis, Iuppiter, et laboriosis.
quare habe tibi quidquid hoc libelli
qualecumque; quod, o patrona virgo,
plus uno maneat perenne saeclo.
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio ed amo. Come lo faccia, forse chiedi.
Non so, ma sento che accade e mi tormento.
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt;
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum;
dein, cum milia multa fecerīmus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.
Viviamo, o mia Lesbia, e amiamoci,
e le dicerie dei vecchi severi
consideriamole tutte di valore pari a un soldo.
I soli possono tramontare e risorgere;
noi, quando una buona volta finirà questa breve luce,
dobbiamo dormire un'unica notte eterna.
Dammi mille baci, poi cento,
poi ancora mille, poi di nuovo cento,
poi senza smettere altri mille, poi cento;
poi, quando ce ne saremo dati molte migliaia,
li mescoleremo anzi no, per non sapere (il loro numero)
e perché nessun malvagio ci possa guardare male,
sapendo che ci siamo dati tanti baci.