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L'espressionismo tedesco deve la sua origine principalmente alla fondazione del movimento Die Brücke ("il ponte"). Lo scopo dei fondatori di questo movimento infatti è quello di unire la pittura classica neoromantica e un nuovo stile che si definirà in seguito come "espressionismo". Costituito a Dresda nel 1905 e sciolto a Berlino nel 1911, utilizza l'immagine come forma di denuncia politica e sociale ed i soggetti prediletti sono gli emarginati e la gente comune.
L'espressionismo tedesco è un movimento caratterizzato dalla ricerca della realtà soggettiva che li circonda. Le metropoli, la vita di strada, il circo, stimolano riflessioni sulla solitudine dell'uomo, sull'alienazione dell'individuo, sull'immoralità.
II colori densi, che sembrano incrostati sulla tela, danno una spiacevole sensazione che si lega alla bruttezza ed al degrado umano.Il segno incisivo e la gamma cromatica acida e accentuata divengono tratti distintivi di questo movimento. Gli impressionisti cercavano di fissare un'impressione sulle loro tele, e si dedicavano alla realtà esteriore, l'espressionismo invece si dedica all'emozione, alla sensualità, al raggiungimento di una espressione efficace, capace di stimolare, impressionare l'osservatore.
Guerra
Alcuni degli espressionisti guardano alla guerra come alla possibilità di un nuovo ordine sociale. Un conflitto mondiale può essere il colpo di spugna da loro desiderato per far nascere un nuovo stile di vita: si auspica la purificazione dell'Europa, il tramonto di tutte le antiche strutture di potere. Molti artisti, animati da questi principi, si arruolano e combattono al fronte come volontari, ma il risultato è quello di prender coscienza degli orrori della guerra, che li sconvolgono al punto di portarli in qualche caso a smettere di dipingere. In altri casi, la guerra diventa contemporaneamente fonte di ispirazione, incubo, ossessione.
Dopo la guerra l'espressionismo assume connotazioni esasperatamente realistiche, che si spingono fino all'estrema durezza, alla brutalità, alla rappresentazione dell'orripilante. Otto Dix (1891-1969), Max Beckmann (1884-1950) e George Grosz (1893-1959) sono i protagonisti di questa evoluzione
George Grosz, "L'esposione" 1917
Max Beckmann, "Die Nacht", 1918/19
Fra i principali esponenti dell'Espressionismo tedesco sono i pittori Ernst Kirchner, Erich Heckel, Emil Nolde, che elaborano in forme originali, le influenze avute dal loro ambiente artistico romanico e gotico.
Die Brücke recupera l'arte dei primitivi, riutilizzando le tecniche ed i materiali della tradizione popolare tedesca.
Kirchner, si mette in evidenza come il maggior esponente del gruppo e si considera un rivoluzionario come Otto Dix e George Grosz, che esprimono la loro protesta contro la società che sta preparando la Seconda Guerra Mondiale.
Anche due artisti austriaci, Oscar Kokoschka e Egon Schiele, contribuiscono allo sviluppo del movimento espressionista; le opere della corrente hanno un tale impatto emotivo da rappresentare un pericolo per il regime nazista che obbliga alcuni pittori espressionisti a smettere di dipingere o ad emigrare negli Stati Uniti.
Esauritosi come movimento, l'espressionismo permase, mescolato ad altre componenti, come atteggiamento prepotentemente volitivo di fronte alla realtà. In Germania il gruppo Blaue Reiter ne sviluppò le premesse spiritualistiche in senso simbolico-astratto e la corrente Nuova Oggettività ne riprese in modo più esplicito la polemica sociale. In Francia, la scuola di Parigi realizzò per opera di artisti come Soutine e M. Chagall, la fusione tra fauvisme e Die Brücke. Tale fusione venne raccolta in Italia dai movimenti della Scuola Romana , dei Sei di Torino , di Corrente . Nel secondo dopoguerra l'esasperazione dell'attitudine espressionista sfociò negli Stati Uniti nell'espressionismo astratto di action painting e si protese oltre, nella pop art.
Munch
1863-1944
Precedenti diretti dell’espressionismo sono stati Gauguin, Van Gogh, Ensor e soprattutto Munch.
Munch esercitò una forte influenza sull’espressionismo tedesco con il quale era stato in contatto diretto da quando il suo Fregio della vita, (una sequenza di dipinti sulle fasi della vita umana) esposto a Berlino nel 1892, aveva provocato uno scandalo tale che la mostra era stata chiusa dopo appena 8 giorni. Ciò aveva determinato, da parte degli artisti locali che ne avevano difeso il valore, la costituzione della “secessione di Berlino”, ossia di un’associazione che voleva polemicamente separarsi dalla cultura ufficiale retriva per avviarsi verso un’arte nuova in grado di scoprire l’interiorità umana.
Sin dall'infanzia Munch si trova a dover convivere con le immagini della malattia del dolore della morte. La madre del pittore è infatti gravemente malata di tubercolosi e muore quando Edward ha solamente 5 anni. Pochi anni dopo anche la sorella Sophie che si era occupata di lui in assenza della madre muore all'età di 16 anni ma la malattia non è per Munch solamente un evento che colpisce le persone che lo circondano: varie infermità gli impediscono di frequentare regolarmente l'Accademia di disegno. Disegnare e dipingere si rivelano da subito per il giovane artista strumenti estremamente efficaci per ricordare e per portare di nuovo in vita quei morti che hanno riempito la sua vita e permettergli di convivere con questi fantasmi e con l'angoscia del dolore che gli procurano.
Nel frattempo il padre, per sopperire alle varie assenze fatte dal figlio a scuola per motivi di salute, avviò la sua formazione in ambito storico-letterario, introducendolo anche alla dimensione horror-psicologica dello scrittore Edgar Allan Poe.
Naturalismo -Max Liebermann
L'ambiente familiare influì di molto sulla sua arte: vari incubi e le numerose malattie, così come il comportamento quasi psiconevrotico del padre, lo segnarono profondamente, inculcandogli quella visione macabra del mondo che lo renderà poi celebre. Quest'interpretazione della realtà fu stimolata anche dalla pazzia di Laura, che iniziò ad essere affetta da crisi psichiche. Munch avrebbe poi scritto: «ho ereditato due dei più spaventosi nemici dell'umanità: il patrimonio della consunzione e la follia».
La paga percepita dal padre era molto bassa e mantenne la famiglia in uno stato di perenne povertà. Le primissime esperienze artistiche di Munch riprendono i disagi economici che affliggevano la famiglia, raffigurando gli interni di quegli appartamenti degradati dove erano costretti a vivere.
Nel 1879, Munch iniziò a frequentare un istituto tecnico per studiare ingegneria, Fu qui che il giovane Edvard familiarizzò con il disegno di prospettiva.
"Il padre in preghiera"
Durante la permanenza alla Scuola d'Arte e Mestieri, Munch fuse varie influenze, fra cui quelle esercitate dal Naturalismo e dall'Impressionismo; non a caso, molte delle sue prime opere ricordano molto da vicino quelle di Monet.
In questo periodo Munch entrò in contatto anche con i circoli bohémien della città, presieduti dall'amico Hans Jæger, scrittore dallo spirito anticonformista ed anarchico che esortava i discepoli con l'imperativo «Scrivi la tua vita!». Munch prese questa massima alla lettera: trasse proprio da questa cerchia di intellettuali ribelli lo spirito autobiografico che avrebbe poi permeato la sua attività artistica, mezzo con il quale riscrisse la propria vita.
La Bohémienne, ritratto di Pierre-Auguste Renoir,
L'uomo e il
suo dramma esistenziale
Centro dell'interesse di Munch é dunque l'uomo, il dramma del suo esistere, del suo essere solo di fronte a tutto ciò che lo circonda: con i propri conflitti psichici e le sue paure.
Tutto ciò non può essere disgiunto dalla formazione nordica del pittore. Per quanto riguarda sia l'antica tradizione popolare, sia i rapporti con la cultura a lui contemporanea tra cui Ibsen, Strindberg e Kierkegaard.
L'opera più rappresentativa é l'urlo.
L’episodio che ha portato alla nascita dell’urlo viene narrato dallo stesso artista all’interno del proprio diario: Edward stava camminando all’interno di un parco con un paio di amici, ma ad un certo punto, si sentì terribilmente stanco e fu costretto ad appoggiarsi ad una palizzata, mentre i suoi due amici procedevano nella camminata.Dal punto in cui si era fermato, Munch riusciva a scorgere il fiordo in lontananza, mentre il tramonto che circondava la città si stava trasformando in delle lingue di fuoco e, proprio in quel momento, l’artista dentro di sè, sentiva l'urlo straziante.
Il titolo è significativo: non indica qualcosa che sta accadendo, né un luogo, ma l’espressione interiore attraverso il grido. Il grido non è l’articolazione logica di un pensiero o di un sentimento; il grido è la reazione istintiva, l’«urlo originario», primordiale, antico come l’uomo, che esprime un complesso inestricabile di sentimenti, di paure e di angoscia.
Il dramma è visivamente espresso dalla prospettiva del Ponte, tesa e obliqua, dagli urti cromatici dall'ondeggiare delle linee curve che partendo dalla forma della testa e dalla posizione delle mani e delle braccia dell'uomo si propagano intorno come ondate estendendosi all'acqua alla terra e al cielo con andamenti eccentrici in contrapposizioni di concavità e convessità quasi in un'amplificazione sonora dell'Urlo così che questo superando la dimensione del singolo individuo diventa grido universale.
Data 1893 - 1910
Tecnica olio, tempera, pastello su cartone
Dimensioni 91×73,5 cm
Ubicazione Galleria Nazionale, Oslo
Nella scena rappresentata dall’artista, in primo piano si scorge un uomo che sta lanciando un fortissimo urlo, e nell’atto di voler dare quanta più forza possibile al proprio grido, porta le mani attorno al volto, arrivando quasi a schiacciarselo.
Ponendo attenzione proprio su quest’uomo in primo piano, è possibile notare che è privo di qualsiasi elemento di riconoscimento: la sua pelle ha un colorito giallo/verdognolo, il suo corpo è serpentiforme, la sua testa è allungata, quasi come se non avesse ossa al proprio interno, le labbra sono nere, gli occhi sbarrati e le narici dilatate dal fortissimo urlo.
Il protagonista dell’opera non è propriamente l’uomo appena descritto, ma piuttosto, l’urlo che emette: la spiegazione è da rintracciare nel pessimismo di fine Ottocento, dove l’incertezza dell’essere umano costituiva un punto di spunti e di ricerche, ed a tal proposito, in questi anni cominciarono ad avere maggiore rilevanza gli studi che stava effettuando Freud sull’inconscio umano.
Spostando lo sguardo sulla sinistra dell' urlo, è possibile notare due sagome (probabilmente i due amici a cui Ewvard faceva riferimento nel proprio racconto), molto lontane dall’essere in primo piano: i due uomini sembrano voler prendere le distanze dall’urlo lanciato e che sta distorcendo l’intera natura; il loro volersi allontanare dal protagonista, probabilmente simboleggia la falsità dei rapporti umani.
Sulla destra della composizione, si nota un paesaggio naturale, caratterizzato dalla presenza di uno specchio d’acqua, poco limpido e che sembra piuttosto una grande macchia d’olio. Il cielo, invece, è costellato da gigantesche lingue di fuoco.
Contrasti visivi
I colori utilizzati nella parte superiore del "l'urlo" sono essenzialmente caldi, ponendosi in netto contrasto con la parte fredda inferiore; allo stesso modo, proprio attorno all’essere in primo piano, si nota che i colori più chiari si vedono attorno al suo volto, così da metterlo in risalto.
Inoltre, guardando l’urlo di Munch, è possibile notare che tutta la composizione è pervasa da linee curve, mentre i parapetti del ponte sono rigidi e perfettamente geometrici, esattamente come le sagome in lontananza; questo contrasto visivo, potrebbe alludere al fatto che i due uomini sono ancorati alla realtà, e non vogliono lasciarsi trascinare dai drammi della vita, che invece dominano il protagonista in primo piano.
Litografia
Schizzo
Di questo soggetto esistono anche altre versioni realizzate dallo stesso Munch.
Come tanti dipinti divenuti
delle icone dell’arte anche
quest’opera è stata più volte
ripresa negli ultimi tempi.
La ritroviamo nella copertina
del numero 157 di Dylan Dog,
come maschera dell’assassino della saga di Scream, come
ispirazione della locandina di
Mamma, ho perso l’aereo! e di
un episodio dei Simpson.
Nel film Looney Tunes, back
in action, nella scena ambientata a Parigi, Bugs e Duffy,
inseguiti da Taddeo, entrano
nel dipinto. Bugs schiaccia
un piede a Taddeo che urla
come l’uomo.
Angoscia
il letto di morte
Uomo che passeggia di notte
L’angoscia, la tristezza, il dramma
esistenziale sono i temi di quasi tutta la pittura di Munch; per rendersene conto è sufficiente osservare i titoli
di alcuni suoi quadri: "Il letto di morte" ,"La madre morta", "La morte nella stanza della ragazza", "La bambina malata", "Odore di morte", "Angoscia". A dominare è sempre un senso di forte solitudine, presente anche se raffigura più personaggi. A
isolarli e fissarli nella loro esperienza di sofferenza psichica è il loro sguardo fisso su chi osserva il quadro che potrebbe
rappresentare un elemento di speranza, ma invece mostra
soltanto la resa a una forza ostile, provocata dall'ambiente circostante.
La disperazione
Lo spunto de La fanciulla malata è decisamente autobiografico. Nel dipingere la bambina sopraffatta dalla malattia, infatti, Munch prende spunto dalla tragica morte della sorella Sophie, morta nel 1877 a causa di una feroce tubercolosi.La fanciulla malata è il dipinto che apre la fase matura della produzione di Edward Munch, che proprio a tal proposito scrisse: «in quest'opera si possono trovare numerosi elementi sui quali in seguito ho fondato la mia arte».
Il dipinto raffigura Sophie vista di profilo, stesa su un letto e con le spalle appoggiate a un enorme cuscino bianco; la giovane fanciulla ha la testa coronata di capelli rossi, il corpo protetto da una coperta verde e lo sguardo vacuo rivolto al panneggio verde alla sua destra. Accanto a Sophie, inginocchiata, vi è una figura femminile che - sopraffatta dal dolore - congiunge le proprie mani con quelle della bambina, in un gesto di saluto estremo; quest'intreccio di mani, che non è descritto analiticamente bensì appena accennato (come se fosse un'evocazione), costituisce il vero e proprio centro geometrico dell'opera.
Data 1885-1886
Tecnica olio su tela
Dimensioni 120×118.5 cm
Ubicazione Varie collocazioni
La testa china della donna cerca di penetrare nella chiusura del cuscino, che inquadra la figlia, ma lo sguardo di essa trascende quello della madre e si perde nell'infinito. Col capo sospeso al centro del cuscino, la fanciulla è al di là dell'attrazione della gravità, senza peso, immateriale. Per contrasto, il capo della madre si piega sotto l'intero peso del dolore terreno, ancora assoggettato alla legge della vita che controlla la scura stanza dell'inferma.
La stanza è stretta e brulicante di oggetti: vi sono, infatti, un comodino, un panneggio verde che pende a sinistra, un bicchiere d'acqua nell'angolo. Comprimendo in questo modo le dimensioni della camera, Munch intende far partecipare l'osservatore all'agonia della sorella, facendogli sentire «l'odore della malattia, il senso di chiuso, gli aromi acuti delle medicine». In questo modo, la malattia non tormenta solo la fanciulla, bensì coinvolge anche le qualità stilistiche, cromatiche e luministiche del dipinto; la materia pittorica della Fanciulla malata è infatti corrosa, graffiata, sofferente essa stessa, e sembra disfarsi sotto gli stessi occhi dell'osservatore. L'apparato luminoso invece regge su toni scuri, colori freddi e strane luci, provenienti dal cuscino e dal volto pallido della ragazza; questi ultimi, tuttavia, più che riflettere sembrano emanare autonomamente una propria luminosità spettrale.
Questa ineluttabile putrefazione della materia coinvolge anche le due figure umane. Munch non intende descrivere i corpi delle figure, bensì i loro spiriti, resi magistralmente con abbozzi di colore; in questo modo «la loro presenza viene fatta sentire come grumi fatti di sentimenti, di passioni, talmente intensi da diventare concreti». Quest'audacia compositiva, tuttavia, venne accolta poco calorosamente dalla critica e dal pubblico; la mancanza di un disegno, del chiaroscuro, furono intesi infatti come una sciattezza pittorica, e non come il frutto di una scelta compositiva ben precisa e interiorizzata. Le critiche non risparmiarono neanche le mani intrecciate delle due figure, che vennero comparate alla «purea di aragosta»
Donna
Madonna
Munch vede la donna come epicentro di uno sconvolgente mistero sessuale, di cui avverte tutta la profondità e le molteplici stratificazioni, senza però poterlo sondare perché privo degli strumenti “analitici” o per meglio dire “psicoanalitici”, di cui invece dispongono i grandi romanzieri del ‘900 come Proust e Joyce.
Una profondità, dunque, che evoca attraverso miti e figure simboliche che, per il fatto stesso di non poter analizzare e quindi possedere razionalmente la realtà sessuale, risulteranno invariabilmente improntati da un senso di minaccia e di crudeltà divorante.
La donna rappresenta il piacere e l’inizio della vita, ma si trasforma in qualcosa di straziante e malinconico come il dolore e il sopraggiungersi della fine di tutto attraverso la morte.
Nasce così l’identificazione tra la donna e l’immagine mostruosa
del vampiro. L’uomo è preso da un senso
di consunzione ed esce infranto e disfatto
dall’incontro con la donna.
Donna alla finestra
"La Pubertà"
Pubertà, realizzato nel 1894 presenta un’adolescente nuda seduta sul letto in una stanza vuota. L’espressione assorta, la posa protettiva, il nudo, rinviano a una metafora erotica della paura di questa bambina del suo destino di donna. È una composizione essenziale, ma c’è un forte senso di squallore e di inquietudine, come un presentimento di qualcosa di molto spiacevole che sta per succedere. Si coglie il senso di solitudine e abbandono, il timore di trovarsi piccoli, inermi davanti alla vita e al suo rovescio: la morte. Questo è mostrato attraverso il contrasto tra la figura delicata, fragile della ragazzina immobile e l’ombra nera, incombente, che sembra uscire da lei e ondeggiare minacciosamente.
Data di realizzazione: 1894-1895
Dimensioni: 151,5×110 cm
Dove si trova: Galleria Nazionale, Oslo
La protagonista dell’opera è un’adolescente, seduta su un grande letto che occupa la zona inferiore dell’opera.Non ha alcun vestito addosso e cerca di coprirsi come meglio può mettendo le sue braccia sul basso ventre, mentre i suoi occhi sono fissi sull'osservatore. Inizialmente appare statica ma Munch non ritrae questa ragazza in modo perfettamente frontale, anzi, è leggermente inclinata verso destra. Le sue mani, non sono appoggiate in modo perfettamente simmetrico sulle sue gambe, proprio come accadrebbe nella realtà.
L'ambiente è completamente vuoto, è un quadro caratterizzato dall’assenza di dettagli e dalla presenza di questo muro dipinto con un marrone chiaro ed un pavimento sempre dello stesso colore, soltanto molto più scuro.
La mancanza di dettagli secondari e l’utilizzo di tonalità così pesanti e marcate danno la sensazione che la protagonista si trovi all’interno di una stanza di prigione piuttosto che in una camera da letto. Questo amplifica il senso di disagio e solitudine provate dalla protagonista spezzare la monotonia di questi colori scuri e pesanti è quel grande letto bianco su cui è seduta la ragazza.
Anche un altro colore che risalta in modo evidente in più parti della scena: il rosso
"La donna vampiro"
La descrizione del dipinto mostra nella sua interezza una dolce e flebile ragazza dai capelli rossi che abbraccia un uomo nella sua completa totalità. Questo gesto colpisce particolarmente agli occhi dello spettatore perché è in grado di trasmettere un grande senso di amorevolezza e consolazione. L’uomo tra le sue braccia, e coperto dalla sua rossa chioma fluente, sembra sentirsi al riparo da qualsiasi amarezza che possa colpire l’intera l’umanità. In realtà lo sfondo buio e cupo del dipinto, forse ambientato in una stanza, sottolinea la trappola mortale in cui l’uomo sta per essere trascinato. La donna, a primo impatto, manifesta dolcezza e beatitudine, ma osservando con più attenzione si scorge un’ondata di mistero capace di ammaliare con un fascino al limite del demoniaco. Quella che sembrerebbe una fanciulla attenta al bene dell’altro, in realtà è una figura enigmatica, il volto nascosto nell’incavo del collo e le labbra nascoste preannunciano il morso, è facile immaginare i denti della donna vampiro pronti a succhiare non solo il sangue dell’uomo, ma la sua vitalità residua.
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(1893 - 1894)
Oslo, Munch Musset
L’uomo, stretto nell’abbraccio pericoloso si lascia travolgere dal potere della donna vampiro, sapientemente evocato da Munch mediante la cascata di capelli rossi che avvolge l’intera composizione e cola sul capo di lui come gocce di vivido sangue
Della figura maschile non si riesce a delineare perfettamente il volto, in questo modo l’artista vuole sottolineare lo stato di sottomissione dell’uomo rispetto alla donna. Nel Vampiro di Munch la luce domina la scena, è posta frontalmente per enfatizzare le braccia di lei, che catturano lui in tutta la sua totalità, e la nudità carnale femminile. Lo sfondo cupo suggerisce un’idea di soffocamento e oppressione. I colori, scuri e tetri, si alternano a linee circolari dal colore più chiaro sottolineando il dramma dell’umanità per precipitare nel rosso intenso e profondo. Fanno da contrasto il magnetico e caldo colore dei capelli simili al sangue, soggetto non mostrato della tela, e il bianco e smorto pallore del braccio della donna.
«I suoi capelli rosso sangue si erano impigliati in me, si erano avvolti intorno a me come serpenti rosso sangue, i loro lacci più sottili si erano avvolti intorno al mio cuore.» – “Diario. Scritti sull’arte e sull’amore” di Edward Munch
La tela rappresenta una inquietante metafora dell’ossessione e si evidenzia per la potenza delirante delle tinte, la carica violenta dal colore e gli effetti spettrali della luce. Gli andamenti linea predominanti sono circolari e ruotano attorno ad un grande ovale caratterizzato dall’imponente macchia scura in alto che scende a sinistra percorrendo in parallelo il movimento dei capelli e la linea del braccio, sino a chiudersi in basso, confondendosi con il braccio stesso, il gomito, la spalla e il vestito dell’uomo, per poi risalire in alto a destra ricongiungendosi con il punto di partenza. All’esterno di questo grande ovale si notano altre linee circolari dal colore biancastro, che creano vortici, mentre l’interno raffigura in piccolo le stesse linee dell’esterno, che si può definire come una proiezione ingigantita della testa della donna, dei suoi capelli e del suo braccio. L’effetto raggiunto è potente e toccante perché crea un suggestivo dinamismo all’interno del quadro, determinandone il centro focale nei capelli della donna. Tale centro, che impedisce ogni linea di fuga all’occhio dello spettatore, ingigantendo in tal modo i corpi in primo piano.
INFLUENZE
OPERE
Egon Schiele nacque nel 1890 a Tulln, in Austria. Figlio di un capostazione delle ferrovie dell'impero austro ungarico, a quindici anni restò orfano del padre che soffriva di disturbi mentali.
Nel 1906 si iscrisse all'Accademia di Belle Arti di Vienna e nel 1907 conobbe Gustav Klimt che lo stimolò nel miglioramento della tecnica del segno e del contorno e lo introdusse nel Wiener Werkstätte (Vienna Workshop), fondato nel 1903. Schiele, che considerò Klimt suo padre spirituale, si formò anche nell'ambito della pittura di Hodler e sviluppò, ben presto, uno stile del tutto personale. Nel 1909 lasciò l'Accademia di Vienna e fondò, con altri artisti, il Neukunstgruppe.
Nel 1912 fu accusato di aver sedotto una minorenne e, in seguito al ritrovamento di "disegni pornografici" nel suo appartamento, fu arrestato e detenuto per tre giorni. La dichiarata convivenza con la modella Wally Neuzil e i suoi dipinti e disegni di ragazze minorenni lo mantennero sempre ai margini dalla società tradizionale austriaca.
Nel 1915 sposò Edith Harms e, quattro giorni dopo il matrimonio, fu costretto ad arruolarsi, dopo aver tentato inutilmente di farsi assegnare il compito di artista ufficiale di guerra; inviato a Praga, fu assegnato al controllo dei prigionieri di guerra russi. Tornò a Vienna nel luglio dello stesso anno.
MATRIMONIO
Grande rappresentante dell'espressionismo austriaco ed uno dei più brillanti disegnatori di tutti i tempi, Egon Schiele spinse fino a livelli drammatici l'erotismo moderato di Klimt, tanto che con Schiele, per la prima volta, entrò nella pittura la crudezza del sesso, fatta di nudi estremamente magri e sfiniti.
Vissuto gran parte della sua vita in miseria, nel 1918, sei mesi prima della morte, una grande retrospettiva, organizzata nell'ambito della Secessione Viennese, rivalutò la sua opera e l'originalità e l'incisività del suo segno, consacrandolo al successo.
MORTE
Nell'autunno del 1918 la moglie, in stato di gravidanza, morì di febbre spagnola; tre giorni dopo, il 31 ottobre 1918, contagiato dalla stessa malattia, Egon Schiele si spense, a Vienna, a soli 28 anni.
Fra il 1910 e il 1911 Egon trascorre lunghi periodi nella città di Böhmisch Krumau, nella Boemia del sud, dove affronta temi quali la città, i bambini, e torna a dedicarsi al paesaggio. Risalgono a questo periodo anche una serie di composizioni simboliche nelle quali prevale il tema della morte ed entusiasmato dalla lettura delle poesie di Rimbaud si dedica egli stesso alla poesia. Nel 1911 Schiele incontra la diciassettenne Wally Neuzil, con la quale intreccia una relazione sentimentale e che gli fa da modella per alcune delle sue opere migliori.
Schiele e Wally decidono di lasciare Vienna per cercare ispirazione in campagna. Dapprima si stabiliscono nella piccola città boema di Krumau, la città natale della madre di Schiele, ma gli abitanti del posto li costringono dopo breve tempo alla partenza, disapprovando fortemente il loro stile di vita, perché non sono sposati. Si recano allora nel paesino di Neulengbach, non lontano da Vienna. Nel 1912 Schiele è accusato da un certo Von Mosig, ufficiale della marina in pensione, di aver sedotto sua figlia Tatjana Georgette Anna, non ancora quattordicenne[2].
Egon Schiele, Quell'arancia è stata l'unica luce, 1912. Scrive Schiele di questo quadro:
«Ho dipinto il letto della mia cella. In mezzo al grigio sporco delle coperte un'arancia brillante che mi ha portato è l'unica luce che risplenda in questo spazio. La piccola macchia colorata mi ha fatto un bene indicibile.»
Schiele viene così rinchiuso in prigione per un breve periodo, con l'accusa di avere traviato la minorenne, di aver avuto rapporti con lei, nonché di averla rapita. Alla fine del processo, è ritenuto colpevole soltanto di aver esibito le sue opere, considerate pornografiche dall'autorità. Tuttavia i giorni trascorsi in cella si trasformano in un'esperienza traumatica e il processo si rivela pieno di rischi: in caso di condanna gli sarebbero toccati lunghi anni di segregazione. Schiele narra la vicenda assumendo il ruolo di vittima della società gretta e ostile:
Egon Schiele. Prison. "I Feel Not Punished but Purified", 1912
Su di lui pesavano le accuse di diffusione di disegni "immorali", per quell'erotismo sfacciato e struggente, animalesco e tragico, così come le accuse, poi ritirate, di rapimento e stupro di una minorenne (la quattordicenne Tatjana).
Il Diario dal carcere di Schiele, prezioso nel lasciar scoprire l'aura romantica del suo essere artista, viene pubblicato da Skira in occasione della mostra "Schiele e il suo tempo", ospitata a Palazzo Reale del Leopold Museum di Vienna. Una sorta di appendice straordinaria che arricchisce il percorso di conoscenza ravvicinata del grande e controverso artista austriaco traghettatore impietoso e suggestivo dell'estetica secessionista nell'eresia figurativa espressionista.
A raccontarlo, i quaranta lavori tra dipinti, acquerelli (tecnica superba per lui) e disegni che ne illustrano la parabola artistica accanto ad una selezione di opere di Gustav Klimt (1862-1918) patriarca e maestro indiscusso della secessione viennese, decorativo fino al midollo osseo, che canta la donna come icona da idolatrare, e Oskar Kokoschka (1886-1980) coetaneo di Schiele passionale e iconoclasta, oltre ai vari Gerstl e Moser, per documentare la trasformazione monumentale delle avanguardie dall'Art Nouveau all'espressionismo appunto in una Vienna all'alba del Novecento, che vede la nascita della psicanalisi freudiana, che fa da sfondo ai malinconici destini intrecciati da Schnitzler o da Musil, e che stimola le rivoluzionarie sinfonie di Schonberg.
Dura, ansiogena, nervosa, psicologicamente agonizzante appare l'arte "degenerata" di Schiele che infonde tensione disumana nelle sue femmine imberbi - ragazzine, spudorate lolite tutte ossa, occhi e genitali, dedite all'autoerotismo maniacalmente immortalato come esercizio solitario che diventa per Schiele un gesto estremo di desolazione e inerzia - nei nudi femminili condannati a pose quasi innaturali, negli autoritratti, e nei ritratti animaleschi, struggenti, disadattati, picchi di virtuosismo psicologico, così come nei meno noti paesaggi dove Schiele rinuncia a qualsiasi connotazione topografica, rinnegando la prospettiva, tanto da ridurli a una giustapposizione di forme geometriche. Opere che sanno raccontare la compassionevole condizione umana, attraverso una figurazione emotivamente carica.
EGON SCHIELE AND HIS WIFE WALLY NEUZIL 1912
Nel 1914 la terza e ultima importante modella della sua vita, Edith Harms, figlia di un fabbro, pone come condizione per divenire sua moglie l'essere l'unica sua musa ispiratrice ed esige l'interruzione del rapporto con Wally. Schiele lascia allora quest'ultima, che morirà in seguito al fronte come crocerossina, e sposa Edith. Il matrimonio gli dona una serenità che muta la sua ispirazione: una composta forza emerge dai dipinti di questa nuova fase, in parte anche per l'influenza delle opere monumentali di Ferdinand Hodler.
Portrait of Edith Schiele with striped dress, 1915
Egon ed Edith Schiele nell'estate del 1918
Ritratto di Wally Neuzil, 1912.
AUTORITRATTO EGON SCHILE 1914
Un definitivo trasferimento lo conduce, nell'aprile del 1918, al museo militare di Vienna, anno in cui un mutamento di stile gli frutta fama e riconoscimenti; inoltre partecipa con successo alla quarantanovesima mostra della Secessione Viennese; nello stesso anno, tiene esposizioni di successo a Zurigo, Praga e Dresda. La stabilità di questo periodo si rispecchia in alcune opere quali La famiglia, dove si scorge un tentativo di riunione delle componenti figurative e del dipinto stesso, che però non riesce a essere definitivo.
Nell'autunno del 1918 l'epidemia di influenza spagnola, che provocò più di venti milioni di morti in Europa, raggiunge Vienna. Edith, incinta di sei mesi, contrae la malattia e muore il 28 ottobre. Durante l'agonia della moglie Schiele la ritrae più volte. Egon non scampa al contagio e tre giorni dopo, il 31 ottobre, muore a 28 anni.
Egon Schiele, Agonia, 1912. Monaco, Neue Pinakothek
Schiele tuttavia, si staccò presto dalla Secessione per avvicinarsi all' Espressionismo; in particolare conobbe da vicino l'opera di Vincent Van Gogh nel 1909, grazie ad un suo amico che aveva acquistato la "Camera dell'artista ad Arles".
La grande influenza dell'artista olandese si rese visibile soprattutto nella "Camera dell'artista a Neulengbach" e nei "Girasoli".
Comunque Schiele interpretò liberamente l'Espressionismo, dando vita ad uno stile molto personale e non catalogabile: accanto a ritratti di amici ed autoritratti, viene rappresentata la fisicità del corpo attraverso un’aggressiva distorsione figurativa.
In questo modo la sessualità diventa ossessione erotica che, accanto al tema della solitudine angosciosa ed inquieta, assume un’altissima tensione emotiva.
GIRASOLI EGON SCHIELE 1908
GIRASOLI VAN GOGH 1888
Schiele non fu mai interessato a replicare la realtà apparente nella sua arte e questo è particolarmente evidente nei suoi girasoli. Schiele aveva una particolare familiarità con questo soggetto che era stato, com'è noto, ampiamente esplorato da Van Gogh, e questo è il primo dipinto della serie dei girasoli di Schiele. Di sicuro deriva dalla tradizione decorativa degli artisti della Secessione, ma aggiunge delle note personali e distintive.
Un’amicizia tra titani
Egon Schiele. Gustav Klimt in Blue Smock, 1913
Amici, colleghi e mai rivali – forse per via dei 28 anni che li separano – Klimt e Schiele si incontrano nel 1907 al Cafè Museum di Vienna. Un momento decisivo, destinato a cambiare la vita del secondo che si ritrova, appena diciottenne, a esporre le proprie opere in una mostra personale alla Wiener Werkstätte, cuore pulsante della creatività della capitale.
Sebbene Klimt continui ad aiutare l’amico a più riprese procurandogli modelle e commissioni, ciascuno ha una propria identità ben definita: l’uno imperatore dello Jugendstil, artefice di un linguaggio prezioso ed elegante che fonde influssi del passato, del presente e delle culture lontane con cui l’Occidente viene a contatto; l’altro dotato di straordinaria originalità, forza espressiva e introspezione psicologica, che dalla Secessione lo proiettano verso l’Espressionismo.
A unire artisticamente i due amici sono l’interesse per le fantasie più oscure della psiche, l’attrazione verso il corpo e l’eros, figli di un tempo segnato da Freud e Nietzsche e dal liberarsi, nella rigida società austriaca, dei fantasmi dell’inconscio e dell’irrazionale. Ma sono anche gli scandali che puntualmente seguono la presentazione di opere audaci, autentici oltraggi senso del pudore dei contemporanei. E infine la morte, che li raggiunge entrambi nel 1918: mentre un’epoca si chiude con il crollo dell’Impero austroungarico, Klimt è colpito da un ictus, Schiele si lascia portar via dall’influenza spagnola, tre giorni dopo aver visto morire sua moglie Edith.
L'ABBRACCIO
Egon Schiele, L'abbraccio, 1917
Come già accennato, entrambi partono da una concezione artistica molto simile, con una particolare attenzione per il corpo umano. In Schiele è certamente presente ed evidente l’influenza del maestro, ma arriverà ad abbandonare il punto di partenza per scegliere una propria interpretazione della figura rappresentata, indagando su di essa in maniera molto diversa rispetto a Klimt. Lì dove il maestro gioca sull’armonia delle parti, delle cromie e dei motivi decorativi, l’allievo insiste quasi morbosamente sulle dissonanze e le spigolosità. Anche il tratto diventa nervoso, mettendo in risalto corpi ossuti e nodosi che ben si discostano dalle forme piene ed equilibrate tipiche del padre della secessione. Entrambi affrontano i grandi temi della vita dell’uomo, ma con uno spirito in certi casi quasi opposto che salta all’occhio anche cromaticamente: ai toni vivaci ed impreziositi dall’uso della foglia d’oro di Klimt si contrappongono i toni cupi con cui emergono le inquietudini che accompagnano Schiele per tutta la sua breve vita.
È curioso pensare che i due, nonostante la grande differenza d’età, siano venuti a mancare nello stesso anno, il 1918. E rimasero legati fino all’ultimo, in quello che è stato un fortissimo desiderio di mostrare al mondo due diverse, ma complementari, letture della vita umana.
Gustav Klimt, L'abbraccio 1905-1909
UN BACIO PROIBITO
Non ci vuole particolare perspicacia per notare un parallelismo fra le due opere. Il primo livello è quello figurativo in cui si osserva l’assonanza nella posizione dei due soggetti inginocchiati l’uno di fronte all’altra e chiusi in un abbraccio. Il livello concettuale, invece, si differenzia notevolmente. È evidente che l’opera sia più una rivisitazione caricaturale de Il Bacio klimtiano. Per prima cosa vi è l’identità dei soggetti: un cardinale e una suora. Appunto.
Inoltre quest’ultima è rivolta verso lo spettatore come se avesse paura di essere scoperta, mentre il cardinale sembra fregarsene altamente e cerca di riportarla a sé prendendola per una spalla. Il forte contrasto fra il nero e rosso delle tonache rappresenta il differente atteggiamento dei due e aumenta la tensione sfruttando il dualismo e l’opposizione. I confini dei corpi, segnati solo dal colore, si perdono senza alcun riguardo per la prospettiva. A chi glielo fece notare, Schiele rispose:
“E’ un delitto porre dei vincoli a un artista, sarebbe come uccidere una vita nascente”.
Vien da chiedersi come mai Schiele abbia voluto scimmiottare il maestro. In realtà non è esattamente così per due motivi: il primo è che, a quanto pare, non suona strano che un allievo replichi l’opera del proprio maestro; il secondo è che Schiele voleva dare un messaggio preciso, una forte critica alla società viennese, in particolare alla classe borghese bigotta e ipocrita.
L’immagine è quella di un amore proibito e sacrilego. I volti sembrano quelli dello stesso autore e della sorella, quella che abbiamo visto essere la sua prima modella.
I piedi sono lo specchio del tremore interiore di Schiele: la loro forma alterata esprime tutta la drammaticità del suo animo, i suoi conflitti e le sue emozioni controverse.
Insomma, è più probabile che Il Bacio del maestro sia stato solo una scusa, il trampolino per un’opera che viaggia da sola e fra mille sfaccettature.
Schiele dimostra dunque, per l’ennesima volta, di avere una personalità sì influenzata da Klimt, ma capace di discostarsene e di imboccare vie diversificate e autonome. Capacità questa che lo porterà alla creazione di qualcosa di completamente diverso sia nello stile con l’abbandono dell’Art Nouveau, sia come tematica più concentrata sull’uomo e sui suoi moti interiori.
Egon Schiele, Cardinale e suora, 1912
Gustav Klimt, Il bacio, 1907-1908
Egon e Wally: l’amore, il sesso e l’abbandono ai tempi del pudore
EGON SCHELE, Donna distesa 1917
Egon Schiele, Donne distese 1915
Egon Schiele,Morte della madre 1910
RITRATTI
Donna seduta con ginocchio alzata
1917
Fu lo stesso Klimt a presentargli Wally Neuzil, sua ex modella. Della ragazza si diceva che avesse una reputazione “fumosa”: ancora minorenne, era andata in cerca di fortuna, finendo probabilmente in qualche casa chiusa. Amareggiata e disillusa, chiuse quel capitolo e, quando incontrò il giovane pittore, ne aprì uno nuovo totalmente tinto di rosa. Egon Schiele non scelse Wally. Lui “la riconobbe”. Vede nei suoi occhi lo specchio del proprio tormento, un doppio di se stesso, l’inquietudine che mai prima di allora aveva potuto condividere.
La donna rappresentata è seminuda, contorta e monca. Questo sottolinea il rapporto complicato che l’artista ha con il sesso femminile. Quindi, il sesso diventa un’ossessione, una tensione emotiva contro l’inquietudine della solitudine. Per questo, il dipinto manca chiaramente d’armonia, si basa sulle forme contorte degli arti, sulle pose scomode, perché si tende sempre a riempire freneticamente il vuoto, come fanno i bambini quando hanno paura del buio. Questi nudi scabri, aciutti, ruvidi sono speculari all’amore tra Wally ed Egon: urlato nel silenzio, un usarsi e disfarsi per non rimanere soli. Un non fingersi superuomini, ma palesarsi come corrotti esseri mortali, amanti disperati.
Lo stile di Schiele scava nelle viscere dell’uomo descrivendo, al contrario della tradizione, pose tutt’altro che naturali o “belle”: le sue figure appaiono esili ma tese e nervose allo stesso tempo, forme carnali che sembrano prigioniere di qualcosa o di se stesse, come testimonia l’autoritratto preso in considerazione.
L’autore compie una ricerca su se stesso, che è anche ricerca del segno che solca la forma e della pittura che si stende sulla tela come un velo trasparente. È evidente il contrasto tra la marcatura della descrizione del volto e della mano con il bianco dello sfondo e della veste, un bianco che esalta e schiaccia al contempo il soggetto umano.
Nel dipinto l’artista traccia una rappresentazione spietata di sé raggiungendo una forte drammaticità.
Attraverso il suo volto sfatto, la sua carne emaciata, l’artista comunica uno stato interiore estremamente provato da disagio e sofferenza. La massa scura della carne si rivela con una tecnica pittorica apparentemente trascurata, con pennellate marcanti che sembrano voler inseguire la struttura ossea del volto. La stesura che si alterna tra pennellate trasparenti e materiche, ci fa immaginare il gesto dell’artista che opera in modo nervoso ribadendo un tipo di contrazione della pelle e dei muscoli facciali. Lo sguardo sembra minaccioso, un’impressione data dagli occhi che compiono uno sforzo nel guardar se stessi a causa della posizione inclinata del capo.
Autoritratto con la testa inclinata
Egon Schiele, 1912
Egon Schiele, Autoritratto con braccio intorno alla testa, 1910
Autoritratto con alchechengi ,1912
Egon Schiele
L'alchechengi produce bacche rosse e polpose. Di un rosso e di un polposo che ritorna nella bocca e sulle guance di Egon. L'alchechengi, dietro il pittore, si piega quasi a giocare col bianco che lo circonda. Il corpo di Egon non ha linee curve, il suo busto nero - un trapezio rovesciato - svetta potente, ma sono il suo collo piegato e il volto reclinato, quasi a seguire la curva della pianta, a farla da padrone.
Qui, non c'è bisogno di dire che l'alchechengi è la metafora dell'autoritratto. Qui, l'alchechengi è Egon: entrambi hanno lo stelo e il busto scuri, entrambi hanno il collo piegato verso la destra dello spettatore, entrambi hanno foglie e zazzera al vento, le quali, con una spinta feroce, quasi fossero due ballerini che si muovono all'unisono, delineano una netta traiettoria da sinistra a destra. Non ci vuole molto a capire che Schiele si sente come un alchechengi, come una fragile pianta piegata dalle intemperie e dai capricci della natura, ma in grado di produrre succosi frutti rossi, frutti che si mangiano, frutti che ancora oggi noi mangiamo. In più rispetto alla pianta, però, Egon ha qualcosa: ha quegli occhi piantati addosso a chi guarda, con uno scorcio impareggiabile, stupendo, che mette ancor più in evidenza la curiosità, l'ingenuità, la presa di coscienza dei vent'anni
Egon Schiele – Kneeling Girl Resting on Both Elbows (1917)
É un corpo, uno tra i tanti che ha dipinto Schiele. É solo in uno sfondo indefinito. Non è contestualizzato, è come se questa donna fosse nei suoi pensieri, fosse un ritratto di se stessa, è accovacciata sui gomiti offrendosi nuda al nulla che gli è alle spalle. Il vestito le cade lasciando scoperto il sedere e i capelli le si arricciano tra le braccia. La pelle non ha forme tonde, non è come una scultura o un dipinto classico, rappresenta un corpo maturo, in decadenza, come se stesse per morire; la ragazza non sembra anziana, al contrario è giovane, ma il suo corpo è quasi distrutto dalle forme irregolari.
Questa volta, rispetto a molti altri lavori, il corpo è integro se non fosse per le dita, mischiate tra loro quasi sino a perdersi; il vestito è arruffato e le gote sono rosse. Schiele ha dipinto un’anima, non un corpo.
Il corpo non può rappresentare un limite, è disposto a tutto, un corpo. É lì che si offre a qualsiasi cosa, potrebbe essere un atto sessuale, potrebbe essere qualsiasi cosa. È l’anima che si mostra timida negli occhi della ragazza. Sono quegli occhi che mostrano i limiti degli uomini, che sono solamente di tipo morale, di tipo spirituale.
Schiele sceglie di mostrarci il tormento che sale dal basso. La ragazza guarda in basso, ma in basso non c’è niente. Il suo sedere è in alto, in un nulla immaginario. I rapporti tra spirito, attenzione e attesa è ribaltato. Il sedere aspetta qualcosa dall’alto, non qualcosa di divino, perché l’aspetta con il corpo, e guarda in basso, non qualcosa di fisico, perché lo fa con gli occhi. Schiele ribalta la prospettiva, non è il corpo il limite, il corpo è aperto e in attesa, il limite è lo spirito.
È l’anima che guarda in basso ed è tormentata. È tormentata forse dal corpo rivolto verso l’alto, decadente e rovinato, disponibile, in attesa.
È appoggiata sui gomiti perché è ancora il corpo che sostiene quello sguardo verso la parte inferiore del dipinto.
Cosa voglia dirci Schiele non posso certo saperlo, questa è ovviamente una interpretazione soggettiva, la “critica dell’arte ufficiale” magari dirà altro, ma quegli occhi parlano più di quanto si possa credere, e la ragazza non ha la bocca, non può comunicare in altro modo che non siano quegli occhi devastanti per chi li osserva, magari passando in un museo, magari in basso rispetto alla tela.
Circa 80 quadri di città e paesaggi di Egon Schiele, il geniale esponente dell’Espressionismo austriaco, sono al centro di questa mostra. Quasi la metà dei dipinti di Schiele sono vedute di paesaggi e di città, soprattutto le visioni di Krumau (Cesky Krumlov), una cittadina sulla Moldava. Grazie ad esse si può ben comprendere l’evoluzione artistica dell’artista. Numerosi altri lavori completano il giudizio e consentono di capire il valore fondamentale del paesaggio per la visione globale di Schiele.
I quadri sono contraddistinti dalla decadenza e dalla morte. Nei suoi lavori successivi l’inquietante tonalità di base dei primi quadri di città si sposta sulla natura incontaminata.
La famiglia
La famiglia è un dipinto a olio su tela (152,5x162,5 cm) realizzato nel 1918 dal pittore Egon Schiele. È conservato nel Museo Österreichische Galerie Belvedere di Vienna.
La figura maschile è Egon Schiele in un autoritratto proiettato nel futuro perché la moglie dell'autore, al momento del dipinto, era incinta. Rappresenta l'idea di famiglia e le sue aspettative. Il bambino è stato inserito nel quadro in un secondo tempo. Inizialmente il titolo di questo dipinto era Coppia accovacciata, dopo la morte della moglie Edith, incinta di sei mesi, e di Schiele, entrambi morti nel 1918 di Febbre spagnola, al quadro venne conferito il titolo La famiglia[1].
EGON SCHIELE, LA FAMIGLIA 1918
LA SPOSA DEL VENTO
VITA
OSKAR KOKOSCHKA
ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE
RITRATTO DI ADOLF LOOS
PRODUZIONE TEATRALE
NATURA MORTA CON AGNELLO MORTO
Oskar Kokoschka naque il 1 marzo 1886 da una famiglia di modeste origini. Studiò in una scuola nella quale prevaleva l'insegnamento delle materie scientifiche alle quali Oskar non era appassionato, mostrando molto interesse nelle arti. Inizio a dipingere a quattordici anni e, dopo esserci trasferito a Vienna con la famiglia, studiò all'Accademia delle arti applicate dove venne influenzato in particolar modo dall'arte orientale, primitiva e dalle opere di Klimt.
L'artista ebbe il suo primo incontro con il pubblico nel 1908, dove la critica lo etichettò come un artista molto duro, il quale, attraverso i suoi lavori, eliminava qualsiasi filtro di bellezza, mettendo in primo piano le difficoltà e la rudezza dell’esistenza.
Forte di questo primo successo, nel 1910, venne convinto a lavorare per una rivista d’avanguardia a Berlino, dove divenne l’illustratore principale.
Trasferitosi a Berlino, oltre che lavorare per la rivista, egli cominciò a frequentare innumerevoli circoli artistici, grazie ai quali riuscì a conoscere i capolavori di Munch e cominciò a modificare progressivamente il proprio stile artistico.
Kokoschka partecipò alla prima guerra mondiale e venne ferito in battaglia; successivamente, venne congedato a causa di instabilità mentale.
Tra il 1917 ed il 1924, divenne insegnante presso l’Accademia di Dresda, parallelamente all’attività di insegnante continuò ad esporre le proprie opere; nel 1924 fece un viaggio in Africa ed Europa: tale esperienza gli permise di arricchire la sua produzione con dipinti molto colorati e, negli anni successivi, si dedicò anche alla drammaturgia.
Nel 1953 si stabilì in Svizzera, dove cominciò a dispensare lezioni che contribuirono alla formazione di molti nuovi artisti.
Morì a Montreux nel 1980.
Alma Malher
Nel 1912 Kokoschka conosce Alma Malher, moglie del compositore Gustav Malher scomparso da pochi mesi. Subito nasce tra loro una travolgente relazione. Alma ha trentadue anni, Oskar venticinque. L’artista concepisce per lei una passione tormentata.Alma incarna la donna-mantide, il personaggio aggressivamente erotico di Assassino speranza delle donne, una immagine di donna molto diffusa nella cultura austriaca di quegli anni che aveva già trovato espressione in alcuni capolavori giovanili di Klimt (Giuditta I).
La storia con Alma segnerà l’avverarsi dei tanti presagi già iscritti nel testo visionario di Assassino speranza delle donne a cui Kokoschka pensa di dare un seguito nel 1913 pubblicando un poema, illustrato con litografie, dal titolo Il colombo incatenato nel quale si celebra il trionfo del potere matriarcale e la minaccia contenuta nella promessa erotica femminile.
L’anno successivo l’eterno tema della conflittualità tra il principio maschile e quello femminile ispira all’artista una lirica Alos Màkar, titolo greco che significa “felicità è altro”, ma che è anche l’anagramma dei nomi Oskar e Alma.
La relazione tra i due continua tra litigi e accenti drammatici, provocati dalla furiosa gelosia di Kokoschka, geloso di tutti ma soprattutto del ricordo di Malher. Attrazione profonda e gelosia cieca si riversano nella pittura dell’artista, dando vita a dei capolavori che trascendono la dimensione privata da cui traggono ispirazione: Ritratto di Alma del 1912, Due Nudi del 1913 e, sempre dello stesso anno, Natura morta con putto e coniglio dipinto in evidente polemica con la decisione di Alma di interrompere una gravidanza in corso.
Durante la prima guerra mondiale fu ferito sul fronte orientale; dopo un ricovero all’ospedale militare, fu congedato per instabilità mentale. Dal 1917 al 1924 insegnò all’Accademia di Dresda, dove ebbe modo di studiare da vicino Rembrandt e la pittura antica. In questi anni espose alla Galleria Dada di Zurigo con Max Ernst, Paul Klee e Vasily Kandinsky, e partecipò alla Biennale di Venezia. Kokoschka non accettò mai completamente le tendenze astrattiste: dietro alla sua convulsa espressione della realtà è sempre avvertibile la drammaticità del suo segno a spirale, di ispirazione barocca e con profonde influenze di Paul Cézanne. A partire dal 1924 viaggiò in Europa e in Africa, dipingendo i paesaggi che incontrava attraverso disegni vibranti con colori accesi.
Dopo la guerra insegnò presso l’Accademia di Dresda e cominciò una serie di viaggi che lo portarono in varie parti del mondo, tra cui l’Italia, alla quale fu legato da intenso rapporto affettivo.
PSICOLOGIA DEL DISAGIO
La frammentazione delle linee, le forme angolose, tutto mostra come nell’animo dell’artista, specchio dell’anima del tempo, non ci sia posto per null’altro che una fragilità sempre presente e in vibrante mancanza di tranquillità.
Questa idea dell’uomo che viene proposta dalla sua arte. Un’umanità crudele, destinata alla morte.
Preoccupazione costante: questo è il respiro delle tele di un artista che con ellissi ed ermetismi estetici, mostra il profondo della psicologia dei soggetti che posano per lui. Penetrando oltre il semplice aspetto, i ritratti sono spesso deformati perché dai pochi caratteri accentuati, potessero essere espressi tutti i tratti dell’anima e della personalità di chi vi era rappresentato. Così, con questo stile arguto e attento, dalla resa formale forte e priva di censure, Kokoschka si aggiudica il titolo di uno dei maggiori esponenti della corrente espressionista.
IL DISEGNO
Da Klimt, Kokoschka eredita la convinzione che un buon artista debba essere un profondo conoscitore delle varie tecniche di esecuzione, prima fra tutti il disegno. Molte delle sue opere grafiche sono studi per successivi dipinti (in massima parte figure e ritratti) ma, anche in questo caso, hanno quella compiutezza che le rende opere perfettamente autonome e significanti.
In donna seduta, un delicato schizzo risalente forse al 1912, Kokoschka sintetizza le forme del personaggio con poche decine di segni dal tratto netto e deciso. Nonostante questa armonia grafica il corpo perde mirabilmente volume, anche grazie ai pochi tocchi di acquerello: grigio per i capelli, bruno e appena rosato per il volte ed il braccio sinistro, giallognolo per le lumeggiature del busto e delle gambe.
La Natura morta con agnello morto è un dipinto ad olio su tela di cm 84x114 realizzato nel 1909. L'opera, conservata all'Österreichische Galerie di Vienna, raffigura al centro un agnello morto, a destra c'è un vaso di fiori, in basso a sinistra c'è una tartaruga, alla sua destra un topo e una larva di salamandra.
Nel 1914, realizzò una delle immagini più suggestive di tutta la sua produzione, intitolata la sposa del vento (nota anche come "la tempesta".
L'opera rappresenta un uomo ed una donna (Alma Mahler, con la quale l'artista ebbe una relazione) abbracciati, i due soggetti presentano tratti psicologici molto marcati: l'uomo viene infatti raffigurato come un essere dubbioso che, nella dimensione notturna, veglia alla ricerca di un equilibrio impossibile tra ragione e sentimento; la donna ha invece l’abbandono sereno di chi vive il rapporto con la vita senza le ansie esistenziali create dai fantasmi notturni della propria psiche. E tutto ciò viene abilmente rappresentato da Kokoschka. La donna ha un aspetto sereno dove sia l’espressione del volto sia l’adagiarsi del suo corpo esprimono un appagamento fisico e psicologico. L’uomo ha invece gli occhi aperti segno di una inestinguibile nevrosi interiore che non solo gli impedisce di rilassarsi nel sonno ma gli deforma visibilmente il corpo in spigolosità e annodamenti nervosi.
Una delle grandi suggestioni del quadro è l’unione di un paesaggio notturno (fatto di monti, nubi, luna, vento) con le figure nude dei due protagonisti. Questa proiezione delle passioni umane nell’ambito di una natura che sembra partecipare al dramma esistenziale dell’uomo, carica il quadro di un simbolismo allegorico.
Quest’opera ebbe grande risonanza tra gli artisti del tempo, arrivando ad essere probabilmente, fonte d’ispirazione per la realizzazione dell’opera "l'abbraccio" di Schiele
Dipinta nel 1941, L'opera si presenta come una descrizione in chiave allegorica si una città sotto bombardamento: su uno sfondo si case incendiate e persone in fuga, l'artista pine in primo piano una donna che tiene in braccio un bambino che indossa una maschera antigas, tre uomini vestiti in abiti borghesi che si coprono rispettivamente occhi, bocca ed orecchie, ed infine Eva circondata da filo spinato che punta il dito verso lo spettatore.
L'accostamento degli eccentrici personaggi ed in particolare dei tre borghesi ha un chiaro messaggio simbolico: poichè nessuno sente, vede o parla la guerra continua a mietere vittime. Eva sembra chiedere la ragione di tutto ciò allo spettatore, che viene colpito dalla scena anche grazie al forte cromatismo dell'opera, che presenta toni accesi e contrastanti.
L'uovo rosso fu dipinto tra il 1939 e il 1941. È visibile nel caos apparente del quadro un pollo arrosto, che rappresenta la Cecoslovacchia. Vola via, deponendo sul piatto un uovo rosso, rosso acceso, rosso sangue. Sullo sfondo vi è Praga, dilaniata dall'incendio. Attorno al simbolico tavolo, siedono Mussolini ed Hitler, travolti da espressioni di terrore e sgomento. Sotto al tavolo si riconosce un gatto, con a fianco un cappello da Napoleone, a voler simboleggiare la grande potenza egemone francese dell'800. In questo quadro vengono affrontati svariati temi, specchio della realtà europea all'alba della seconda guerra mondiale, in preda ad un repentino logoramento. Devastazione e terrore aleggiano spensierati nel quadro, ne delineano i tratti, ne enfatizzano i significati.
Nelle tematiche e nel linguaggio mira all’esasperazione dell’immagine come espressione di un moto interiore.
La sua pittura si distacca dalla realtà esteriore, prende le distanze da ogni convenzione, si sforza di cogliere la dimensione psicologica e spirituale della sua tenebrosa indole, e non la realtà fisionomica; i paesaggi così cupi e visionari sono lo specchio dei suoi sentimenti, diventano espressioni del suo stato d’animo.
Il lungo percorso artistico lo portò ad una pennellata densa, materica e a un gesto impetuoso e violento, a un colore cupo dove si stemperano grigi e verdazzurri. In questo quadro aleggia e gioisce il dolore, come emblematico e simbolico protagonista. Il dolore come pesante fardello dell'umanità. Kokoschka rende l'idea della guerra in una modalità a noi forse poco chiara, con un tratto quasi profetico.
Il Ritratto di Adolf Loos è un olio su tela di cm 74x91 realizzato nel 1909. L'opera è conservata al Castello di Charlottenburg (Berlino). Al centro c'è Adolf Loos. Lo sfondo scuro mette molto in risalto il chiarore del viso e delle mani. Nei dipinti di Kokoschka si trova di solito la figura delle mani in risalto perché, secondo l'artista, esse mettono in evidenza la personalità del soggetto.
Kokoschka si fece interprete delle inquietudini dell'uomo e della continua lotta tra gli archetipi di Uomo e Donna alla ricerca dell"Uomo Nuovo" nella sua produzione teatrale, che subì un forte ostracismo in Italia a causa dello stile denso di ermetismi e complesse ellissi. Ognuna delle sue opere è scontro tra dualismi opposti (Uomo-Donna, Luce-Ombra), e non di rado la morte e la rinascita giocano ruoli fondamentali per la nascita di una nuova identità.
Le locandine degli spettacoli venivano realizzate dallo stesso artista.
Questo dramma, che viene considerato, a tutti gli effetti, il primo grande esempio di teatro espressionista, risulta fondamentale per comprendere gli sviluppi futuri dell’arte di Kokoschka e la relazione che essa mantiene con l’idea del rapporto uomo-donna.
L’azione si svolge di notte, in un castello. Un guerriero e la castellana si lanciano, a distanza, rabbiose minacce. Il guerriero fa marchiare a fuoco la donna; lei lo ferisce e lo fa prigioniero ma poi, attratta da lui, lo libera. Non appena il guerriero la tocca, la donna muore e cadendo rovescia una fiaccola che incendia il castello. Il guerriero uccide i guardiani e poi fugge alle prime luci dell’alba mentre, a distanza, risuona il canto del gallo.
L’azione è pervasa di simbolismi che sono proiezioni della parte inconscia dei due protagonisti. L’assassino è speranza e desiderio della donna. Il canto del gallo (riferimento al nome di Kokoschka che in ceco significa galletto) presagisce un’alba radiosa e solare, contrapposta al regno lunare e notturno della donna.
Kokoschka pensa dunque di risolvere l’eterno conflitto uomo-donna immaginando l’assassinio simbolico della donna da parte dell’uomo: la donna liberata, redenta, è la donna morta.
L’uscita del dramma è accompagnata da un manifesto, realizzato dallo stesso Kokoschka due anni prima, nel 1907, intitolato Pietà. Si tratta di un’orrida parodia della iconografia tradizionale della Pietà dove si vede una donna assassina che dilania una larva-uomo inzuppata di rosso. Scrive Kokoschka “l’uomo è rosso sangue, il colore della vita, ma egli è morto sulle ginocchia di una donna che è bianca, il colore della morte”
VITA
MARCELLA
SCENA DI STRADA BERLINESE
AUTORITRATTO DA SOLDATO
CINQUE DONNE PER STRADA
Nacque ad Aschaffenburg, in Germania, e fin da giovane particolare interesse per l'arte primitiva e africana, la pittura tedesca e per autori contemporanei come Gauguin e Van Gogh, di cui lo colpirono l'immediatezza espressiva e l'uso simbolico e psicologico dei colori. Ha una formazione che attinge all'incisione del cinquecento.Dal 1901 al 1905 studiò architettura a Dresda, dove divenne amico di tre studenti di architettura, con i quali nel 1905 fondò il gruppo Die Brücke (che in tedesco significa "il ponte"), uno dei primi nuclei dell'espressionismo tedesco. In questo periodo le opere di Kirchner, soprattutto paesaggi e ritratti, sono caratterizzate da semplificazioni formali, contorni marcati e colori accesi stesi in uno spazio non naturalistico e solo dopo il 1911 si riscontrerà un irrigidirsi del contorno in acri deformazioni e verranno trattati temi sempre più di attuali.
Kirchner visse a Dresda fino al 1911, poi si trasferì a Berlino, dove entrò in contatto con i pittori del Blaue Reiter. Successivamente si spostò a Monaco. Sarà questo il periodo più caratteristico della sua produzione con scene di strada, cabaret, ritratti dalla pennellata nervosa e sommaria e dalla caratterizzazione decisa e marcata; il suo stile diviene sempre più drammatico, con deformazioni violente e ritmi convulsi. In quest'evoluzione è rintracciabile il contatto con nuovi movimenti artistici, tra cui il cubismo e l’art nouveau.
Oltre ai paesaggi e ai ritratti dipinge immagini urbane, con ampie stesure di colori vigorosi che assumono valore autonomo, al pari delle forme e dei volumi, e che ricordano Gauguin e i selvaggi colpi di pennello di Van Gogh.
Nel 1913 il gruppo Die Brücke si sciolse a causa delle forti polemiche e rivalità sorte al suo interno. Con lo scoppio della prima guerra mondiale Kirchner si arruolò, ma nel 1915 fu colpito da un fortissimo esaurimento nervoso che influenzò il suo stile e i cui postumi lo avrebbero perseguitato per il resto della sua vita.
Al termine della guerra si trasferì a Davos, in Svizzera, dove continuò a soffrire di depressione malgrado il crescente successo delle sue esposizioni personali. In questi anni, a contatto con il solenne paesaggio alpino, il suo radicale espressionismo si ammorbidisce in uno stile che diventa sempre più astratto, non privo di allusioni simboliche.
Dopo la presa del potere dei nazisti in Germania, centinaia di sue opere furono sequestrate e rimosse dai musei; molte di queste furono dapprima mostrate nella mostra diffamatoria Entartete Kunst ("arte degenerata", in tedesco) del 1937 e poi distrutte.
Questi avvenimenti, a cui si aggiunse anche un forte aggravarsi delle condizioni fisiche, provocarono in lui un forte shock. Kirchner si suicidò il 15 giugno 1938 a Davos.
Marcella è un quadro di Kirchner, dipinto tra il 1909 e il 1910. È custodito al Moderna Museet di Stoccolma. La tela appare come chiaro richiamo all'opera di Edvard Munch La pubertà. In entrambi i quadri è ritratta una ragazza nuda seduta su un letto, con le mani incrociate sul pube. In Marcella (Marzella) il soggetto diventa chiaramente il ritratto di una giovane donna, giocato sui toni del verde acido, del viola e dell'arancione; i colori, benché acidi, si dimostrano eleganti.
l'artista propone dunque una visione più violenta, pessimistica, quasi scioccante della realtà. Se l'opera ispiratrice presenta tratti di ingenuità, qui c'è la malizia, dove lo sguardo sotto il pesante trucco fa trasparire la sua coscienza corrotta che accetta la propria condizione. L'ambiente rustico, rappresentato da Munch, qui diviene lussuoso tramite i cuscini e gli oggetti appesi. Kirchner nei suoi quadri voleva denunciare l'inquietudine dell'uomo moderno dell'ipocrisia della società contemporanea, corrotta, conservatrice, dominata da falsi valori.
Scena di strada berlinese è un dipinto a olio su tela di Kirchner realizzato nel 1913 e conservato a New York presso la Neue Galerie. Fa parte di una serie di tele che Kirchner dipinse tra il 1913 e il 1915, le cosiddette scene di strada, ambientate, per l'appunto, nel centro della vita notturna berlinese. Le scene di strada segnano per il pittore tedesco la via verso una pittura più emotivamente carica e drammatica. Ne è un esempio Scena di strada berlinese; il ricorso al primitivismo è qui quanto più evidente, in quanto non è solo formale e cromatico; l'artista infatti, nel rappresentare i volti delle due prostitute, che nelle scene di strada sono spesso presenti, e dell'uomo a destra, richiama le maschere africane che proprio ai primi del Novecento iniziano ad essere esposte nei musei, iniziando ad essere considerate come vere e proprie opere d'arte.
Oltre a voler essere una critica nei confronti della società borghese dell'epoca, quest'opera è servita anche a sviluppare il linguaggio pittorico dell'artista sempre più vicino al concetto di pittura "libera" dai tecnicismi della pittura accademica. Altro traguardo importante che raggiunge Kirchner è la rappresentazione dinamica e apparentemente rapida della composizione, quasi a voler sottolineare la frenesia della vita cittadina, avvicinandolo così anche ai futuristi, che operarono in quel periodo.
Autoritratto da soldato è un dipinto di Kirchner del 1915. Il pittore si raffigura nelle vesti di un soldato privato della mano destra. Alle sue spalle emerge un nudo femminile, il quale rappresenta l’arte. Il pittore si sente costretto a mostrarle le spalle, esprimendo il suo disagio interiore, il modo in cui si sentiva in quel periodo così soffocante
Egli si dipinse in divisa da soldato durante un permesso,a causa di disturbi di natura nervosa e depressione, mutilato della mano destra e senza gli occhi per rendere visibile il suo stato di smarrimento interiore. In seguito, nel 1916 verrà congedato. L'immagine è frammentata da linee e ricorda le sculture primitive. Questo dipinto è stato realizzato quando Kirchner era nell'esercito.
Cinque donne per strada è un dipinto a olio su tela di Kirchner, realizzato a Berlino nel 1913 e conservato a Colonia presso il Museo Ludwig.
Le cinque donne, forse prostitute, e l'ambiente in cui vivono vengono proposte attraverso colori acidi, stridenti, come il giallo acido e il blu scuro, ad esprimere la sofferenza dell'uomo moderno. Il quadro appartiene al periodo berlinese dell'artista, nel quale le pennellate e la struttura delle opere tendono a farsi ancora più violente e ad avvicinarsi all'acutezza formale dell'architettura gotica. L'ambientazione urbana è data per accenni ai margini della superficie, ma tende ad imporsi per lo sfondo dipinto in verde acido che tende ad inglobare le esili figure, rigide e inespressive. I valori della tradizione pittorica europea qui sono invertiti: in questo quadro l'artista vuole far apparire queste donne come uccellacci perché esse si prostituiscono, non a causa della miseria, ma soltanto per diventare ancora più ricche.