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L'urbanistica romana era il modo di impiantare la struttura di una città
nel mondo romano. Ancora oggi molte città europee e del bacino del Mediterraneo mostrano il retaggio dello schema romano
nel loro nucleo più antico.
«Mentre i Greci consideravano di aver raggiunto la perfezione con la fondazione di città, preoccupandosi della loro bellezza, della sicurezza,
dei porti e delle risorse naturali del paese, i Romani pensarono soprattutto
a quello che i Greci avevano trascurato: il pavimentare le strade, l'incanalare
le acque, il costruire fogne che potessero evacuare nel Tevere tutti i rifiuti
della città. Selciarono le vie che percorrevano tutti i territori [conquistati], tagliando colline e colmando cavità, in modo che i carri potessero raccogliere le mercanzie provenienti dalle imbarcazioni; le fogne coperte con volte fatte
di blocchi uniformi, a volte lasciano il passaggio a vie percorribili con carri
di fieno. Tanta è poi l'acqua che gli acquedotti portano, da far scorrere interi fiumi attraverso la città ed i condotti sotterranei, tanto che ogni casa ha cisterne e fontane abbondanti, grazie soprattutto al gran lavoro e cura di Marco Vipsanio Agrippa, il quale abbellì Roma anche con molte altre costruzioni.»
(Strabone, Geografia, V, 3,8.)
Libro p. 116 e p. 118
Libro pp.120-122
Più diffuso è lo schema organizzato su due assi principali ortogonali, il cardo maximus (asse nord-sud) e il decumanus maximus (est-ovest), che si incontrano al centro della città dove si trova il Forum. La forma della città poteva essere quadrangolare o anche, a seconda del territorio, irregolare, ma lo schema dell'impianto era piuttosto fisso. Un esempio ben conservato è Silchester in Gran Bretagna.
Questo schema urbanistico era probabilmente derivato dalla centuriazione romana. Nel foro si svolgevano le riunioni politiche, veniva amministrata la giustizia, si esercitava il commercio e si svolgevano le cerimonie religiose.
Libro p.127
Le strade sono fra le opere romane più resistenti al tempo. Erano mediamente larghe tre-quattro metri e si componevano di strati diversi, per una profondità di circa un metro e mezzo. Lo strato inferiore era formato da grossi ciottoli che permettevano il drenaggio dell'acqua, su cui si ponevano uno strato intermedio di sabbia e ghiaia e, in superficie, una fila di pietre levigate, ben battute sul letto sabbioso. Questo ultimo strato era realizzato secondo un profilo convesso, in modo da favorire lo scorrimento dell'acqua piovana lungo i margini laterali.
Costruzione delle strade 4'45''-7'09''
Ponte di Cesare sul Reno 2'38''-7'40''
Roma fu costruita nell'unico punto in cui era possibile unire con un ponte (il Ponte Fabricio) le due sponde del basso Tevere, e da qui dominava tutto il traffico fra l'Etruria e l'Italia meridionale. I romani eccellevano nella costruzione di ponti, e il loro sommo sacerdote, che assumeva il titolo di pontifex maximus, aveva la valenza di capomastro della costruzione dei ponti. Gli Etruschi furono i primi in Europa a realizzare ponti in muratura con grandi massi a secco; i Romani derivarono la loro tecnica dagli Etruschi ma ne divennero in breve i più grandi costruttori dell'antichità, per quanto si continuassero a costruire a Roma ponti in legno fino alla repubblica, quando si cominciarono a sostituire le strutture lignee con quelle di pietra. Con l'espandersi dell'Impero romano, in ordine all'importanza geopolitica delle grandi strade consolari e in base alla nova perizia nelle tecniche murarie, i ponti in pietra ebbero un grandioso sviluppo sia quantitativo, generalizzandosi quale fattore unificante dell'intero territorio dello Stato, sia qualitativo, perfezionandosi tecnicamente e anche architettonicamente la loro ideazione ed esecuzione. Gli archi, sempre a tutto sesto, aumentarono la luce; le pile vennero poi protette da speroni per evitare che l'accelerazione dell'acqua in prossimità dei passaggi corrodesse l'alveo creando sprofondamenti, e talora esse furono anche alleggerite con aperture sopra il pelo dell'acqua per aumentare la superficie di deflusso durante le piene. Per realizzare le fondazioni infine, in luogo dell'antico sistema di deviare il corso del fiume si adottarono le nuove tecniche delle palificazioni, come fece Cesare nella costruzione del Ponte sul Reno, e dei cassoni realizzati in luogo, riempiti di pietre o di calcestruzzo. Anche nei ponti l'architettura romana lasciò in tutto il territorio un patrimonio grandioso, che per molti secoli, dopo la caduta dell'Impero, non fu arricchito ma anzi devastato o lasciato andare in rovina.
Libro p.126
Romani hanno costruito numerosi acquedotti per portare acqua da sorgenti distanti nelle loro città, rifornendo thermae, latrine, fontane e abitazioni private. Le acque di scarico furono eliminate con complessi sistemi fognari e scaricate in corsi d'acqua nelle vicinanze, mantenendo le città pulite e prive di effluenti. Alcuni acquedotti fornivano acqua per le operazioni di estrazione o per la macinazione del grano.
Gli acquedotti spostavano acqua solo per gravità, essendo costruiti con una leggera pendenza verso il basso all'interno di condotti di pietra, mattoni o cemento.
Costruzione acquedotti 0'05''-2'15'' e 4'05-7'09''
Libro p.126
Erano veri e propri monumenti o addirittura piccole città all'interno della città stessa, esistevano due classi di terme, una più povera destinata alla plebe, e una più fastosa destinata ai patrizi.
Lo sviluppo interno tipico era quello di una successione di stanze, con all'interno una vasca di acqua fredda, la sala del frigidario, solitamente circolare e con copertura a cupola e acqua a temperatura bassa, seguita all'esterno dal calidario, generalmente rivolto a mezzogiorno, con bacini di acqua calda. Tra il frigidario e il calidario vi era probabilmente una stanza mantenuta a temperatura moderata, il tepidario, stanza adiacente al calidario in cui veniva creato un raffreddamento artificiale. Assieme al calidario veniva usata quella che ai nostri giorni viene chiamata la sauna finlandese, ovvero il passaggio repentino dal caldo al freddo e viceversa. Le natationes erano invece le vasche utilizzate per nuotare.
Attorno a questi spazi principali, si sviluppavano gli spazi accessori: l'apodyterium (uno spazio non riscaldato adibito agli spogliatoi), la sauna, la sala di pulizia, la palestra. All'interno delle terme più sontuose (come le Terme di Caracalla) si poteva trovare spazio anche per piccoli teatri, fontane, mosaici, statue e altre opere d'arte, biblioteche, sale di studio e addirittura negozi.
Nell'antichità era conosciuta per le sue terme costruite dai romani intorno al 43 d.C., anche se sembra esistesse un insediamento precedente: infatti da alcuni scavi compiuti risulta che delle terme più antiche fossero state costruite dai Celti e che nelle loro adiacenze fosse stato costruito un santuario dedicato al dio Sole. Pertanto
è possibile pensare che le acque sulfuree che scorrono sotto la città siano utilizzate da oltre 2500 anni. Le acque di queste terme vengono chiamate Aquae Sulis.
Nel corso degli anni, la città passò per vari conquistatori, finendo infine sotto il dominio dei Sassoni che le diedero
il nome attuale. Le Terme di Bath Spa (altro nome della città) sono le più importanti di tutta la Gran Bretagna.
Con una superficie di oltre 11.000 m² le Terme di Caracalla sono
uno degli impianti termali
più grandi dell’antichità.
Dal punto di vista strutturale, esse
si distinguevano dalle “grandi terme imperiali” (una tipologia edilizia assai diffusa: agli inizi del V secolo d.C.
se ne contavano ormai 856!)
per una sostanziale novità: il nucleo termale vero e proprio è nettamente separato da tutti gli altri ambienti secondari e di servizio, non balneari, che sono dislocati lungo tutto
il recinto.
Libro pp.124-125
I Romani utilizzarono il modello del teatro greco, apportandovi alcune modifiche essenziali. Il primo e più antico teatro romano in muratura è quello costruito in età tardo repubblicana a Bononia (attuale Bologna) verso l'88 a.C., con un emiciclo di circa 75 metri di diametro e gradinate in laterizio. Nel periodo precedente i luoghi degli eventi teatrali erano costruzioni di legno provvisorie spesso erette all'interno del Circo Massimo.
La novità architettonica di questo teatro era nell'avere una struttura totalmente autonoma e autoportante, fondata su una fitta rete di murature radiali e concentriche.
Originariamente conosciuto come Amphitheatrum Flavium, è il più grande anfiteatro (teatro doppio) del mondo.
L'anfiteatro è stato edificato in epoca Flavia
su un'area al limite orientale del Foro Romano. La sua costruzione fu iniziata da Vespasiano nel 72 d.C. ed inaugurato da Tito nell'80,
con ulteriori modifiche apportate durante l'impero di Domiziano nel 90.
Il nome "Colosseo" si diffuse solo nel Medioevo e deriva dalla deformazione popolare dell'aggettivo latino "colosseum" (traducibile in "colossale", come appariva nell'Alto Medioevo tra le casette a uno o due piani) o,
più probabilmente, dalla vicinanza
della colossale statua bronzea di Nerone
che sorgeva nei pressi. Presto l'edificio divenne simbolo della città imperiale, espressione
di un'ideologia in cui la volontà celebrativa giunge a definire modelli per lo svago
e il divertimento del popolo.
Edificazione del Colosseo 3'29-fine
Edificazione del Colosseo 0'00'-5'12''
Libro p.125
Libro p.125
Il percorso di gara aveva il fondo in sabbia (in latino arena) ed era costituito da due rettilinei paralleli, separati da una balaustra (chiamata "spina") che correva nel mezzo e raccordati da due strette curve a 180 gradi. All'interno di ciascuna curva, all'estremità della spina, vi era una colonna, chiamata meta, intorno alla quale i corridori dovevano girare..
La pista aveva quindi complessivamente la forma di un rettangolo molto allungato: uno dei due lati corti era arrotondato, mentre lungo l'altro si allineavano i carceres, ovvero i box dai quali prendevano il via i carri. Su tutto il resto del perimetro erano costruite le gradinate per il pubblico.L'edificio che ospitava i carceres era spesso monumentale, costituito da due torri, unite da una facciata solenne, e dai vari locali di servizio. Tra queste torri da portare come esempio quella rimasta del circo di Milano.
Si tratta del più grande edificio per spettacoli mai costruito, con una capienza che poteva arrivare fino a 250.000 persone e forse più. Il circo venne fondato, secondo la tradizione, dal re Tarquinio Prisco.
Per alcuni secoli le strutture del circo rimasero in legno; le prime opere in muratura vennero avviate dopo il II secolo a.C. quando, nel 174, furono costruiti delle strutture (carceres) da dove partivano i carri da corsa, sul lato corto occidentale, e furono collocate sulla spina le sette uova di pietra che servivano al conteggio dei giri. L’assetto definitivo del circo lo si ebbe nel 46 a.C., per l’intervento di Cesare, Augusto fece costruire, dalla parte del Palatino, il cosiddetto "palco imperiale", insieme con un'edicola dedicata al culto delle divinità che presiedevano agli spettacoli, e fece innalzare sulla spina l'obelisco di Ramsete II (questo obelisco è oggi visibile a Piazza del Popolo, portato lì e innalzato nel 1589).. Venne poi abbellito pressoché da tutti gli imperatori.
Il circo rimase in funzione al tempo di Teodorico e nel 549 furono svolte le ultime gare.
Circo massimo 0'30''-4'50''
La domus era una tipologia di abitazione utilizzata nell'antica Roma. Era un domicilio privato urbano e si distingueva dalla villa suburbana, che invece era un'abitazione privata situata al di fuori delle mura della città, e dalla villa rustica, situata in campagna e dotata di ambienti appositi per i lavori agricoli. La domus era l'abitazione delle ricche famiglie patrizie, mentre le classi povere abitavano in palazzine chiamate insulae.
La Domus Aurea ("Casa d'oro" in latino, proprio perché in essa si utilizzò molto di questo prezioso metallo[2]) era la villa urbana costruita dall'imperatore romano Nerone dopo il grande incendio che devastò Roma nel 64 d.C. La distruzione di buona parte del centro urbano permise al princeps di espropriare un'area complessiva di circa 80 ettari e costruirvi un palazzo che si estendeva tra il Palatino, l'Esquilino e il Celio.
La maggior parte della superficie era occupata da giardini, con padiglioni per feste o di soggiorno. Al centro dei giardini, che comprendevano boschi e vigne, nella piccola valle tra i tre colli, esisteva un laghetto, in parte artificiale, sul sito del quale sorse più tardi il Colosseo.
La villa, probabilmente mai portata a termine, fu distrutta dopo la morte di Nerone a seguito della restituzione del terreno su cui sorgeva al popolo romano.
Domus aurea 4'51-8'31
La decorazione a grottesche prende il nome dalla Domus Aurea a Roma.
Le grottesche sono un soggetto pittorico di decorazione parietale molto popolare a partire dal Cinquecento ed a cui il Vasari dedica il capitolo XXVII della sua Introduzione alle tre arti del disegno.
La decorazione a grottesca è caratterizzata dalla raffigurazione di esseri ibridi e mostruosi, chimere, spesso ritratte quali figurine esili ed estrose, che si fondono in decorazioni geometriche e naturalistiche, strutturate in maniera simmetrica, su uno sfondo in genere bianco o comunque monocromo. Le figure sono molto colorate e danno origine a cornici, effetti geometrici, intrecci e quant’altro, ma sempre mantenendo una certa levità e ariosità, per via del fatto che in genere i soggetti sono lasciati minuti, quasi calligrafici, sullo sfondo. L’illustrazione prevalentemente fantasiosa e ludica, non sempre persegue una funzione puramente ornamentale, ma riveste talvolta anche uno scopo didascalico ed enciclopedico, riproducendo inventari delle arti e delle scienze o raffigurazioni a carattere eponimo.
Il nome, come spiega Benvenuto Cellini nella sua autobiografia, deriva dalle grotte del colle Esquilino a Roma che altro non erano che i resti sotterranei della Domus Aurea di Nerone, scoperti nel 1480 e divenuti immediatamente popolari tra i pittori dell’epoca che spesso vi si fecero calare per studiare le fantasiose pitture rinvenute.
Quando un giovane romano cadde accidentalmente in una fessura sul versante del colle Oppio alla fine del XV secolo, si ritrovò in una strana grotta, piena di figure dipinte. Ben presto i giovani artisti romani presero a farsi calare su assi appese a corde per poter vedere loro stessi. Gli affreschi scoperti allora sono ormai sbiaditi in pallide macchie grigie sul gesso, ma l’effetto di queste decorazioni grottesche, per l’appunto, furono elettrizzanti per l’intero Rinascimento. Quando il Pinturicchio, Raffaello e Michelangelo s’infilarono sotto terra e furono fatti scendere lungo dei pali per poter studiare queste immagini, ebbero una rivelazione di quel che era il vero mondo antico. Essi, ed altri artisti che, lavoravano a Roma in quegli anni, si diedero a diffondere anche nel resto d’Italia tali “grottesche”.
Costruita tra il 118 e 138 d.C. da Adriano, la Villa si distribuì su un’area di almeno 120 ettari.
Per realizzare un complesso così grandioso Adriano decise di spostare la propria residenza fuori della capitale, scegliendo un territorio verde e ricco di acque, nei pressi di Tivoli, a 28 km da Roma
Le fonti letterarie ci tramandano che Adriano, personalità estremamente versatile, amò in particolar modo l’architettura, cui si dedicò personalmente; le caratteristiche dell’impianto della Villa, che si differenziano dalle consuetudini architettoniche dell’epoca, dimostrano fuori ogni dubbio questa sua partecipazione e competenza. A Roma, un esempio in tal senso può essere costituito dal Tempio di Venere e Roma, eretto nel Foro, ma anche il Pantheon, rifacimento del precedente tempio costruito da Agrippa, da alcuni studiosi attribuito ad Apollodoro di Damasco, architetto ufficiale dell’imperatore Traiano, fu costruito in forma nuova e con tecniche innovative. A Roma si conserva un altro importante monumento fatto erigere da Adriano, Castel Sant’Angelo, originariamente destinato a tomba dell’imperatore e successivamente trasformato in fortezza dello Stato Pontificio.
La Villa comprende edifici residenziali, terme, ninfei, padiglioni, giardini che si alternano secondo una distribuzione del tutto inusuale, che non rispecchia la consueta sequenza di ville e domus, anche imperiali. I vari edifici erano collegati fra loro, oltre che da percorsi di superficie, anche da una rete viaria sotterranea carrabile e pedonale per i servizi.
Straordinaria era la ricchezza della decorazione architettonica e scultorea della villa che è stata oggetto di frenetiche e sistematiche ricerche a partire dal Rinascimento. Le spoliazioni di marmi, avvenute già in età medioevale per reimpieghi di vario tipo, hanno determinato una dispersione tale dell’apparato decorativo della villa, che quasi tutti i principali musei e collezioni di Roma e del resto dell’Italia, nonché d’Europa, annoverano tra le loro opere esemplari provenienti da Villa Adriana.
Libro pp.145-147
Lo studioso tedesco August Mau classificò la pittura pompeiana in quattro stili basandosi sulla trattazione sulla pittura fatta da Vitruvio nel suo VII libro del De Architectura.
Sotto il termine pittura pompeiana si riassume tutta la pittura parietale presente nelle case di Pompei del periodo compreso tra la fine del II secolo a.C. e il 79 d.C.
Le opere murali pompeiane venivano eseguite a fresco, a tempera e ad encausto.
Il primo stile pompeiano, a incrostazione, è detto stile strutturale o dell'incrostazione e si colloca nel periodo a partire dall'età sannitica (150 a.C.) fino all'80 a.C.
Questa tecnica pittorica, diffusa sia negli edifici pubblici che nelle abitazioni, imita, utilizzando in alcuni casi anche elementi in stucco a rilievo, il rivestimento delle pareti in opus quadratum e con lastre di marmo, detto crusta, da cui il nome "stile dell'incrostazione".
Il secondo stile pompeiano, detta architettura in prospettiva, o stile architettonico, si colloca nel periodo che va dall'80 a.C. alla fine del I secolo a.C.
In questo tipo di pittura elementi come cornici e fregi con tralci vegetali cominciano ad essere dipinti invece che realizzati in stucco, riproponendo così, con abile gioco illusionistico di colori e ombre, ciò che durante primo stile si realizzava in rilievo.
Rispetto al primo stile, l'innovazione è fornita dall'effetto di trompe l'œil che si crea sulle pareti, dove al posto dello zoccolo si dipingono in primo piano podi con finti colonnati, edicole e porte dietro i quali si aprono vedute prospettiche.
In questo periodo nacque così anche la figura del paesaggista, che, a Pompei, dipingeva i particolari dei giardini, molto richiesti dai committenti.
Era anche in voga dipingere nature morte con cacciagione insieme a ortaggi e frutta; tali raffigurazioni si spiegano con l'usanza che c'era di inviare agli amici regali costituiti da generi alimentari crudi.
Il terzo stile pompeiano o stile ornamentale detto parete reale, dal punto di vista cronologico, si sovrappose al secondo stile ed arrivò fino alla metà del I secolo d.C., all'epoca di Claudio (41-54).
In esso vnne completamente ribaltata la prospetticità e la tridimensionalità caratteristiche dello stile precedente lasciando il posto a strutture piatte con campiture monocrome, prevalentemente scure, assimilabili a tendaggi e tappezzerie, al centro delle quali venivano dipinti a tinte chiare piccoli pannelli (pinakes) raffiguranti scene di vario genere.
Il quarto stile pompeiano o dell'illusionismo prospettico si afferma in età neroniana e si distingue dagli altri per l'inserimento di architetture fantastiche e di grande scenicità (Casa dei Vettii a Pompei e Domus Aurea a Roma).
Gran parte delle ville pompeiane furono decorate con pitture in questo stile dopo la ricostruzione della città a seguito del disastroso terremoto del 62, che provocò ingenti danni.
Il quarto stile si caratterizza per un revival di elementi e formule decorative già sperimentate in precedenza: tornano di moda le imitazioni dei rivestimenti marmorei, le finte architetture e i trompe-l'oeil caratteristici del secondo stile ma anche le ornamentazioni con candelabri, figure alate, tralci vegetali, caratteristici del terzo stile
In età arcaica, il tempio romano non consisteva in un particolare edificio, ma semplicemente in uno spazio quadrato tracciato dal sacerdote.
Col tempo però si preferì costruire, prima in legno e successivamente
in muratura, gli edifici dedicati agli dei e i templi assunsero un aspetto
più ricco e solenne.
I gradini per accedere al tempio romano erano sempre di numero dispari; questo perché, posando
il piede destro sul primo gradino, si potesse poi posarlo anche sull’ultimo: e ciò era considerato come buon augurio. Il colonnato era un elemento caratteristico della architettura dei templi, solitamente composto da fusti lisci per i capitelli tuscanici e compositi e scanalati per gli altri tipi.
Libro pp. 138-139
http://www.didatticarte.it/Blog/?p=2169
Il Pantheon fu fondato nel 27 a.C. dall'arpinate Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto. Fu fatto ricostruire dall'imperatore Adriano tra il 120 e il 124 d.C., dopo che gli incendi dell'80 e del 110 d.C. avevano danneggiato la costruzione precedente di età augustea.
L'edificio è composto da una struttura circolare unita a un portico in colonne corinzie (otto frontali e due gruppi di quattro in seconda e terza fila) che sorreggono un frontone. La grande cella circolare, detta rotonda, è cinta da spesse pareti in muratura e da otto grandi piloni su cui è ripartito il peso della caratteristica cupola emisferica in calcestruzzo. La cupola ospita al suo apice un'apertura circolare detta oculo, che permette l'illuminazione dell'ambiente interno. L'altezza dell'edificio calcolata all'oculo è pari al diametro della rotonda, caratteristica che rispecchia i criteri classici di architettura equilibrata e armoniosa. A quasi due millenni dalla sua costruzione, la cupola intradossata del Pantheon è ancora oggi una delle cupole più grandi di tutto il mondo, e nello specifico la più grande costruita in calcestruzzo non armato.
All'inizio del VII secolo il Pantheon è stato convertito in basilica cristiana (con l'editto di Costantinopoli) chiamata Santa Maria della Rotonda o Santa Maria ad Martyres, il che gli ha consentito di sopravvivere quasi integro alle spoliazioni inflitte dai papi agli edifici della Roma classica.
Pantheon 2'42''-fine
Pantheon inizio-2'31''
In origine, con la parola forum si indicava nella cultura di Roma antica lo spazio esistente intorno a una casa o a una tomba; successivamente, la parola andò a individuare un'area che costituiva il cuore della vita pubblica di un centro abitato, perché in essa vi si svolgeva la maggior parte delle attività politiche, amministrative ed economiche. Tutti gli insediamenti romani di una certa importanza ne possedevano uno, ma è certo che il più famoso ‒ tanto che infatti è conosciuto come il 'Foro Romano' per eccellenza ‒ è quello che si trova a Roma, nello spazio compreso tra piazza Venezia e il Colosseo e attraversato dalla via dei Fori imperiali, opera urbanistica che risale al 1931-33. Poiché quest'area archeologica, già di per sé enorme, prosegue senza soluzione di continuità sul Palatino, sul Campidoglio ed è unita anche all'area del Colosseo e dell'Arco di Costantino, il complesso archeologico costituito dal Foro Romano e dal Palatino è certamente il più grande e più importante al mondo.
In origine, con la parola forum si indicava nella cultura
di Roma antica lo spazio esistente intorno a una casa
o a una tomba; successivamente, la parola andò a individuare un'area che costituiva il cuore della vita pubblica di un centro abitato, perché in essa vi si svolgeva la maggior parte
delle attività politiche, amministrative ed economiche.
Tutti gli insediamenti romani di una certa importanza
ne possedevano uno, ma è certo che il più famoso ‒
tanto che infatti è conosciuto come il 'Foro Romano'
per eccellenza ‒ è quello che si trova a Roma, nello spazio compreso tra piazza Venezia e il Colosseo e attraversato dalla via dei Fori imperiali, opera urbanistica che risale
al 1931-33. Poiché quest'area archeologica, già di per sé enorme, prosegue senza soluzione di continuità sul Palatino, sul Campidoglio ed è unita anche all'area del Colosseo
e dell'Arco di Costantino, il complesso archeologico costituito dal Foro Romano e dal Palatino è certamente il più grande
e più importante al mondo.
Libro pp. 142-143
Lo spazio per erigere l’enorme complesso, essendo insufficiente l’area rimasta libera ai piedi dei colli, venne ricavato tagliando le pendici del Quirinale e del Campidoglio, Le opere di scavo furono probabilmente iniziate già sotto Domiziano, parallelamente alla sistemazione del Foro di Nerva. L’impresa fu proseguita da Traiano e finanziata con il bottino ricavato dalla conquista della Dacia (attuale Romania), condotta in due successive campagne militari e conclusa con la sconfitta e sottomissione dei Daci.
Architetto dell’opera fu Apollodoro da Damasco, ingegnere militare che aveva accompagnato l’imperatore nella guerra vittoriosa.
La pianta del Foro di Traiano si presentava più articolata e complessa rispetto a quella dei suoi predecessori: comprendeva, infatti, una vasta piazza, fiancheggiata da portici con retrostanti esedre, dominata da un lato dall’imponente Basilica Ulpia, alle cui spalle si ergeva la Colonna di Traiano, tra i due ambienti interpretati come biblioteche; sul lato opposto, la piazza era chiusa da un ampia sala a pianta trisegmentata (con settore centrale rettilineo e settori laterali obliqui verso l’interno), la cui monumentale facciata colonnata faceva da sfondo alla colossale statua equestre dell’imperatore, e, alle spalle del settore centrale di questa, da un cortile quadrangolare che doveva mettere il complesso in comunicazione con il Foro di Augusto.
Il monumentale complesso era utilizzato come sfondo solenne di cerimonie pubbliche, testimoniate in più occasioni dalle fonti antiche, e per l’erezione di statue, destinate ad onorare personaggi illustri nelle varie epoche.
Foro traiano 2'08''-6'51''
I Mercati di Traiano costituiscono un esteso complesso
di edifici di epoca romana nella città di Roma, sulle pendici del colle Quirinale.
Il complesso era destinato principalmente a sede delle attività amministrative collegate ai Fori Imperiali, e solo
in misura limitata a attività commerciali, che forse si svolgevano negli ambienti aperti ai lati delle vie interne.
Sorse contemporaneamente al Foro di Traiano, agli inizi
del II secolo, per occupare e sostenere il taglio delle pendici del colle Quirinale, ed è separato dal Foro per mezzo di una strada. Riprende la forma semicircolare dell'esedra del foro traianeo e si articola su ben sei livelli.
Le date dei bolli laterizi sembrano indicare che
la costruzione risalga in massima parte al regno di Traiano
e forse è da attribuire al suo architetto,
Apollodoro di Damasco.
La Basilica Ulpia fu inaugurata nel 112 d.C da Traiano ed era il luogo dove si svolgevano le attività giudiziarie; era un edificio alto quaranta metri e aveva due soli piani: al piano terra si svolgevano i processi mentre
al piano superiore si affollava il pubblico per assistervi. La Basilica come tutto il Foro di Traiano fu progettato dall'architetto Apollodoro di Damasco, le sue dimensioni ne fanno la più grande basilica
mai costruita a Roma.
Si affacciava sul Foro Traiano, all’interno era articolata in cinque navate, quattro laterali minori e una centrale maggiore, separate da file di alte colonne monolitiche in granito grigio d’Egitto; l'ordine inferiore era articolato in una serie di volte a botte che completavano le navate laterali che sostenevano dei matronei coperti.
Tecniche costruttive
Libro pp 130-131
Opus quadratum
Opus caementicium
Opus reticolatum
L'opera quadrata è una tecnica di costruzione della Roma antica, che consiste nella sovrapposizione di blocchi squadrati in forma parallelepipeda e di altezza uniforme,
che vengono messi in opera in filari omogenei con piani di appoggio continui.
L'opera cementizia è una tecnica edilizia inventata e ampiamente utilizzata dai Romani.
È caratterizzata dall'utilizzo del cementizio. La malta a sua volta è composta da calce mescolata con sabbia.
I romani realizzavano il calcestruzzo a partire dalla calce viva, bruciando pietra calcarea. Una volta sottoposta a spegnimento con acqua, la calce veniva mescolata con la cenere vulcanica (pozzolana); particolarmente resistente era quella estratta dalle regioni vulcaniche del golfo di Napoli. La malta che ne risultava veniva ancora mescolata col tufo vulcanico.
L'acqua di mare innescava immediatamente una reazione chimica a caldo. La calce veniva idratata, incorporando molecole di acqua nella sua struttura, e reagiva con la cenere per cementare l'intera miscela in un unico insieme.
L'opera reticolata (opus reticulatum o reticolatum) è una tecnica edilizia romana tramite cui si realizza il paramento di un muro in opera cementizia.
A Roma e nei dintorni fu utilizzata soprattutto a partire dalla prima metà del I secolo a.C. ("opera quasi reticolata") e in epoca augustea.
Opus mixtum
Opus incertum
Opus testaceum
L'opera mista (opus mixtum o opus compositum) è una tecnica edilizia romana tramite cui si realizza il paramento
di un muro in opera cementizia: consiste nella mescolanza di opera reticolata
con ammorsature agli stipiti e agli angoli
in opera laterizia. La tecnica è impiegata
a Roma e dintorni in particolare in epoca traianea e adrianea.
L'opera laterizia (opus latericium) è una tecnica edilizia romana che riguarda il modo in cui viene realizzato il paramento di un muro in opera cementizia, mediante lateres, o mattoni.
L'opera spicata (opus spicatum) è un tipo di paramento costituito da laterizi collocati di taglio secondo la disposizione di una lisca di pesce o di una spiga di grano, utilizzata in epoca romana antica.
L'opera incerta (opus incertum) è una tecnica edilizia romana che riguarda il modo in cui viene realizzato il paramento di un muro in opera cementizia. Venivano utilizzate pietre
di misura diseguale poste con le facce combacianti tra loro, dando come risultato un disegno irregolare e casuale.
Arco a tutto sesto
Volta a botte
La volta è una copertura arcuata di un ambiente che ha la funzione di scaricare lateralmente la spinta che deve essere contenuta dagli appoggi della volta stessa. È la successione infinita di archi a tutto sesto.
Viene utilizzata per coprire spazi rettangolari.
L'arco, in architettura, è un elemento strutturale a forma curva che si appoggia su due piedritti e tipicamente (ma non necessariamente) è sospeso su uno spazio vuoto.
È costituito normalmente da conci, cioè pietre tagliate, o da laterizio, i cui giunti sono disposti in maniera radiale verso un ipotetico centro: per questo hanno forma trapezoidale e sono più propriamente detti cunei; nel caso di una forma rettangolare (tipica dei mattoni) hanno bisogno di essere uniti da malta che riempia gli interstizi; essenzialmente l'arco con cunei non ha bisogno di essere sostenuto da malta, stando perfettamente in piedi anche a secco, grazie alle spinte di contrasto che si annullano tra concio e concio.
Il cuneo fondamentale che chiude l'arco e mette in atto le spinte di contrasto è quello centrale: la chiave d'arco, o, più comunemente detta, chiave di volta.
L'arco è una struttura bidimensionale e viene spesso utilizzato per sovrastare aperture. Per costruire un arco si ricorre tradizionalmente a una particolare impalcatura lignea, chiamata centina.
Volta a crociera
Cupola
La cupola è una volta a calotta con perfetta simmetria centrale, con base poligonale, circolare o ellittica e profilo a semicerchio, parabola oppure ovoidale. La cupola più tipica è a base circolare.
La volta a crociera non ebbe un largo utilizzo nell'architettura romana. La sua superficie è costituita quindi, nella forma più semplice, da un'ossatura di quattro archi perimetrali e due archi diagonali. Questi ultimi passano per il centro della volta e sono più grandi di quelli perimetrali. Il centro è chiuso da una pietra a forma di cuneo o tronco di piramide, detta chiave di volta: dopo la messa della chiave di volta, la struttura si autosorregge, scaricando il proprio peso sui sostegni (colonne, pilastri o altro). Gli spazi tra gli archi diagonali e quelli perimetrali sono detti spicchi o vele e, talvolta, sono separati da nervature che evidenziano le superfici architettoniche, dette costoloni. Se gli archi che compongono la volta sono a tutto sesto, la proiezione della volta avrà forma quadrata. Questo spazio è detto campata, delimitato dai quattro (o sei o più) piedritti sui quali si sostiene la volta.
Scultura
La scultura romana ha in parte origine dalla tradizionale scultura greca, conosciuta soprattutto grazie al contatto con l'area della Magna Grecia e all'importazione a Roma di pezzi scultorei ellenici, ampiamente studiati e riprodotti dagli scultori romani.
La scultura a Roma fu un importantissimo mezzo di comunicazione e di propaganda politica: l'immagine e la narrazione rappresentarono lo strumento privilegiato per raggiungere e convincere la massa analfabeta.
A parte la scultura a soggetto storico-politico, il genere maggiormente diffuso fu quello d'ambito religioso e cultuale.
Lo stile scultorio riscontrabile a Roma aderisce in gran parte alla maniera greca, attenta allo studio realistico delle forme e all'equilibrio compositivo: non è da ignorare però un primo ed importante influsso dell'arte etrusca nella scultura romana, soprattutto in merito all'arte funeraria.
La diffusione dell'Ellenismo e al conseguente classicismo si deve all'espansione romana verso la Magna Grecia e al richiamo di artisti greci per la decorazione delle ville private della nobiltà romana. Questo determinò il passaggio di testimone tra la tradizione etrusco-romana e il nuovo classicismo greco, che diede il via ad un'intesa stagione di copia e produzione ispirata ai pezzi scultorei greci.
Con la fase imperiale, lo stile romano si affermò pienamente sulle prime origini greche assumendo caratteri propri, nonostante il continuo e costante apprezzamento per l'arte classica. Il III secolo segnò la crisi dell'Impero romano, segnato da gravi problemi economici e da instabilità politica: le frequenti rivolte, gli imperatori-soldato e le forti pressioni barbariche influirono pesantemente anche sulla situazione culturale, già segnata dalla continua lotta tra il cristianesimo emergente e il paganesimo della tradizione.
Il ritratto con gli avi
Il ritratto politico
Libro p.132
Libro p.136
Il ritratto romano repubblicano è una forma artistica dell'arte romana, databile tra l'inizio del I secolo a.C. e il 50 a.C. circa. L'importanza di questa produzione artistica è dovuta alla novità, rispetto ai precedenti ritratti ellenistici, del cosiddetto "verismo", che esprime nella durezza del modellato tutta quella serie di valori tradizionali romani che accomunavano la classe patrizia romana.
Polibio descrive dettagliatamente la consuetudine del patriziato romano dello ius imaginum, riconosciuta e disciplinata, che consisteva nel privilegio di tenere immagini degli avi in una zona della domus posta di fronte all'atrium, Questo diritto di tenere ritratti degli avi era ad appannaggio anche delle donne. Per questo si replicavano molte volte, in periodi differenti, le immagini che originariamente erano di cera, poi di bronzo e di marmo.
La statua di Augusto di Prima Porta è stata rinvenuta nella villa di Livia, moglie dell’imperatore, a Prima Porta.
La figura dell’imperatore, alta 2,04 metri, è colta nel gesto dell’adlocutio (incoraggiamento ai soldati prima dello scontro),
per cui il braccio destro è alzato, nell’atto di richiesta del silenzio.
Augusto indossa la corazza riccamente adorna (con immagini iconologicamente scelte), che copre una corta tunica militare;
i fianchi sono avvolti dal paludamentum, mantello di solito indossato
dai generali quando comandavano l’esercito. Esso ricade sul braccio sinistro, la cui mano stringe una lancia.
L’imperatore ha il capo e i piedi nudi; un putto, a cavalcioni su un delfino, si appoggia sulla gamba destra: si tratta di Eros, figlio di Venere, per cui il delfino rappresenta un omaggio alla dea nata dal mare.
Il modello utilizzato per la statua è il Doriforo di Policleto e ciò è evidente sia nella torsione della testa, sia nei lineamenti più duri. A differenza del Doriforo, che è raffigurato nudo come i kuroi greci, Augusto è rivestito dalla sua corazza.
La simbologia è particolarmente elaborata: nella parte alta della corazza c’è la personificazione del Caelum, sotto il quale volteggia la quadriga di Sol preceduta da Aurora e Phosphorus; in basso è Tellus semisdraiata con due putti. Ai lati vi sono Apollo e Diana, rispettivamente su di un grifone e su di una cerva.
Al centro è rappresentata la restituzione, da parte del re Fraate IV di Parthia, delle insegne di Crasso. Vengono riconsegnate ad un generale romano, che quasi sicuramente è Tiberio. Ai lati sono personificate la Germania e la Pannonia, provincie vinte e “pacificate” da Tiberio tra il 12 e l’8 a.C. Infine, nella parte più bassa, sono presenti due vittorie alate.
Il ritratto era qualcosa di privato, ma nell'accezione romana, che comprendeva anche lo Stato come suprema famiglia, entro la quale ogni cives aveva un ruolo nella Res publica. Il ritratto assumeva così anche valenze politiche, legate al vanto di avere avi illustri ed all'esempio che le loro figure potevano dare ai giovani, spronati ad eguagliare le imprese più grandi per accrescere la potenza di Roma. La committenza dei ritratti era quindi legata indissolubilmente al patriziato ed ebbe il maggior splendore nell'età sillana.
Rende bene questa idea la statua del Togato Barberini, dove un personaggio mostra con orgoglio i ritratti dei propri antenati, evidenziando in questa usanza la propria casta ed esaltando la sua gens. La stessa statua dimostra anche come queste effigi non fossero ancora nello stile realistico tipico dell'epoca di Silla, ma seguissero il mite naturalismo ellenistico.
Busti e teste
Il ritratto equestre
Libro pp.152-153
Libro p.159
Ciò che importa no è più la rappresentazione dell'imperatore secondo le reali fattezze fisionomiche, come nelle epoche precedenti, ma il valore simbolico dell'immagine.
L'imperatore esprime con il proprio volto idealizzato il concetto della santità del potere imperiale: santità che nell'ambito della tradizione romana era il risultato della divinizzazione dell'imperatore, mentre in epoca cristiana era dovuta al fatto che l'imperatore era un'emanazione diretta della divinità.
La fissità del volto riflette tra le altre cose il rituale di corte che prevedeva che il principe dovesse essere immobile in quanto raffigurazione tangibile del divino
Questa testa colossale, originariamente, faceva parte di una statua colossale che raggiungeva i 10-12 metri di altezza
I resti furono portati alla luce nel XV secolo.
Dell’intera statua erano lavorate in marmo solo le parti scoperte del corpo, di cui si conservano i frammenti, esposti anch’essi nel Cortile. Il resto era costruito in altri materiali meno pregiati (elementi in stucco al di sopra di una intelaiatura lignea, che fungeva da corpo centrale e tessuti), secondo la tecnica dell’acrolito.
La più recente ipotesi ricostruttiva mostra la figura dell’imperatore seduto, con la parte superiore del corpo scoperta e il mantello adagiato sulla spalla; il braccio destro che impugna lo scettro ad asta lunga e la sinistra che sorregge il globo.
L’imperatore si presenta con le fattezze della più importante divinità della Roma antica, ossia Giove Ottimo Massimo; numerose sono infatti le immagini del dio con il busto parzialmente coperto da una veste e in analoga posizione.
Temi centrali della statua sono il potere e la grandezza divina, con l'imperatore raffigurato a grandezza reale e il braccio teso, un gesto che ricorda molto i ritratti di Augusto. In questo caso il gesto può essere inteso come un atto di clemenza: questa teoria, difesa da alcuni storici, si avvale della testimonianza di alcuni scritti medioevali che parlano di un prigioniero barbaro ai piedi della statua, a noi non pervenuto. Questa posa mostra l'imperatore come un dio e conquistatore. Tuttavia l'assenza di armi e armatura dà una sensazione di pace, una pace forse legata alla prosperità dell'Impero Romano durante il suo regno. Un'altra teoria ipotizza che nella mano vi fosse in precedenza un rotolo di pergamena, scomparso durante il medioevo.
Del monumento equestre dedicato all'imperatore Marco Aurelio (161-180 d.C.) non troviamo alcuna menzione nelle fonti letterarie antiche, ma è verosimile che esso sia stato innalzato nel 176 d.C., insieme ai numerosi altri onori tributatigli in occasione del trionfo sulle popolazioni germaniche, o nel 180 d.C., subito dopo la morte. In quei tempi a Roma le statue equestri erano molto numerose. Questa statua, tuttavia, è l'unico giunto sino a noi e in virtù della sua integrità ha assunto ben presto un valore simbolico per tutti coloro che intendevano proporsi come eredi dell'antica Roma imperiale. La statua di Marco Aurelio è giunta fino a noi perché all'epoca, secondo la tradizione, venne identificata dei cristiani con l'immagine di Costantino, imperatore convertitosi al cristianesimo, e per questo risparmiata.
https://www.sutori.com/story/arte-romana-scultura--F7PbpMDWu8xKYjyLjXkhnMHJ
Nella religione romana l'altare, chiamato più spesso con il termine latino ara, di derivazione incerta, ma che molti storici fanno risalire a ardeo ("brucio"), è generalmente di forma quadrangolare. Vitruvio prescrive che l'altare di un tempio deve essere rivolto a oriente e in posizione più bassa rispetto alla statua di culto, affinché chi prega guardi in alto verso la divinità. L'altezza dell'altare però varia a seconda del tipo di divinità al quale è dedicato e alla funzione finale dell'ara. Alcune are, si pensi a quella di Augusto, risultano monumentali.
La costruzione di archi e monumenti celebrativi lungo le strade delle città romane, in onore dei generali, risale al periodo repubblicano. Talvolta, le porte urbane potevano rivestire tale ruolo, arricchite da iscrizioni dedicatorie, sculture in rilievo ed elementi decorativi.
Gli imponenti archi di trionfo erano eretti nelle città per far da cornice ed onorare l’ingresso dell’imperatore o generale vittorioso (arco trionfale) oppure allo scopo di ringraziamento per importanti opere pubbliche realizzate per la collettività (arco onorario). Sin dall’inizio della storia di Roma, fino alla fine del I secolo a.C., venivano utilizzate strutture a carattere temporaneo, riccamente decorate, erette per celebrare i trionfi dei generali. In età augustea si inaugurò una tipologia imponente dell’arco di trionfo. La sua grande stazza e il suo apparente isolamento nel contesto urbano gli conferivano un valore monumentale che serviva a dare anche una funzione di decoro e, allo stesso tempo, permetteva di rappresentare il potere dell’Impero in Italia e nelle province. L’arco era spesso arricchito con rilievi in marmo o in bronzo che illustravano le imprese belliche. Originariamente semplici e ad una sola fòrnice, vennero via via concepiti con fòrnici laterali e rilievi decorativi, soprattutto in età tardo-imperiale si arricchirono. Sulla parte superiore (attico) erano solitamente poste statue e quadrighe guidate dall’imperatore. Tra il primo e il secondo secolo d.C., soprattutto in età traianea, l’arco perse il suo ruolo celebrativo del potere politico-militare, richiamando con più attenzione i programmi urbanistici e le grandi opere territoriali.
Oltre agli archi celebrativi venivano erette le colonne onorarie, innalzate nel foro o in luoghi di importanza simbolica allo scopo di celebrare un trionfo bellico. Esse sono interamente rivestite da rilievi scolpiti con scene che raccontavano le gesta militari. Secondo Plinio, questa pratica era in voga già nel terzo secolo a.C., al tempo delle prime conquiste di Roma. Le imponenti colonne di Traiano e di Marco Aurelio a Roma, sono un esempio del grande livello artistico e propagandistico che la civiltà romana raggiunse nella sua storia.
Agrippa
Augusto
Gaio
Sul lato est, sono stati riconosciuti con certezza lo stesso Augusto, coronato di alloro, i quattro flamines maiores, sacerdoti dal caratteristico copricapo sormontato da una punta metallica, Agrippa, raffigurato con il capo coperto dal lembo della toga e con un rotolo di pergamena nella mano destra ed infine il piccolo Gaio Cesare, suo figlio, che si tiene alle vesti paterne.
Agrippa è l'uomo forte dell'impero, amico e genero di Augusto, di cui ha sposato in seconde nozze la figlia Giulia. E' inoltre padre di Gaio e Lucio Cesari, adottati dal nonno e destinati a succedergli nel comando.
L'Ara Pacis Augustae, ovvero l'Altare della Pace di Augusto, celebrò la pacificazione nell'area mediterranea realizzata dall'imperatore Augusto dopo le vittoriose campagne di Gallia e di Spagna. “Quando, essendo consoli Tiberio Nerone e Publio Quintilio, io ritornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia, dopo le vittorie conseguite in quelle province, il senato decretò che per il mio ritorno si dovesse consacrare al Campo Marzio l’ara della Pax Augusta, e ivi dispose che magistrati e sacerdoti e le vergini Vestali celebtassero ogni anno un sacrificio” (Res Gestae divi Augusti).
Il monumento, commissionato dal Senato il 4 luglio del 13 a.C. e solennemente inaugurato quattro anni dopo,
il 30 gennaio del 9 a.C., era posto probabilmente in prossimità del limite sacro della città.
L'Ara Pacis si compone di un recinto rettangolare in marmo di m 11,65 x 10,62, elevato su un podio e fornito di due porte nei lati più lunghi, alle quali si accede tramite una scala. All'interno del recinto è situato l'altare vero e proprio, elevato su tre gradini, mentre altri cinque gradini permettevano al sacerdote di raggiungere la mensa, ossia il piano dell'altare sul quale si celebravano i sacrifici.
Il recinto è suddiviso in due registri decorativi: quello inferiore vegetale, quello superiore decorativo, separati da una fascia con motivo a svastica. La parte esterna è costituita da pannelli inquadrati da lesene marmoree con capitelli corinzi: la zona inferiore è identica su tutti e quattro i lati ed è costituita da una tessitura di girali di acanto che dipartono simmetricamente da un unico cespo disposto al centro di ogni pannello; la zona superiore, invece, si presenta più varia, con quattro quadri marmorei raffiguranti scene mitologiche ed allegoriche nei lati lunghi, ossia a fianco delle due porte, e due rappresentazioni di carattere storico nei lati brevi. Il primo quadro (sulla fronte del recinto, a sinistra della scala di accesso) reca la rappresentazione del "Lupercale", la grotta cioè dove la lupa della leggenda avrebbe allattato i gemelli Romolo e Remo. La scena è purtroppo quasi interamente scomparsa: restano parte di un personaggio a destra (probabilmente il pastore Faustolo) e la figura di Marte a sinistra, oltre a resti di piante palustri che caratterizzano il luogo dell'azione, la riva del Tevere presso il Velabro. Assai meglio conservata la scena posta alla destra della scala, dove appare Enea in atto di sacrificare la scrofa dai trenta porcellini..Davanti vi sono gli addetti al sacrificio (i camilli) ed a destra un altro personaggio appoggiato ad un bastone (forse Acate).
Sul versante opposto dell'Ara, ai lati dell'altra porta, il quadro di sinistra rappresenta la Pace (secondo alcuni rappresenterebbe la Terra), raffigurata come una donna fiorente con due bambini; il pannello è completato da un bue, una pecora, piante palustri, fiori e due figure femminili seminude, una seduta sopra un mostro marino, l'altra sopra un cigno e simboleggiano rispettivamente l'Acqua e l'Aria. Il quadro di destra invece è quasi completamente perduto: esso rappresentava la Dea Roma, ovvio parallelo della Pace.
Nei lati brevi troviamo invece la rappresentazione di due schiere di personaggi in un'ambientazione ancora incerta: secondo alcuni raffigurerebbe la processione che si svolse nel 13 a.C., in occasione del voto del monumento, secondo altri la cerimonia di accoglienza tributata ad Augusto al suo ritorno dalle campagne di Gallia e Spagna.
Il più importante è sicuramente il fregio posto ad est, nel quale si riconoscono i membri della famiglia imperiale disposti secondo un rigido ordine gerarchico.
Il lato ovest (nella foto 5, rivolto verso il Tevere), assai meno conservato in quanto mancano quasi tutte le teste dei personaggi, mostra il seguito della processione: si intravedono alcuni personaggi togati, sacerdoti ed un gruppo di donne e bambini, nel quale si identifica la rappresentazione delle vedove della famiglia imperiale.
Anche l'altare reca una decorazione scolpita: sullo zoccolo vi sono rappresentati personaggi femminili a rilievo, mentre la parte superiore, con le fiancate decorate da girali poggianti su leoni alati, è decorata con un piccolo fregio che gira tutt'intorno, sia internamente che esternamente e rappresenta il sacrificio che il 30 gennaio di ogni anno, nella ricorrenza della "consecratio" dell'altare, si compiva sull'ara. Il fregio è ben conservato solo sulla fiancata sinistra, dove sono rappresentati, all'interno, le Vestali ed il Pontefice Massimo ed all'esterno i sacerdoti ed i camilli con gli animali destinati ai "suovertaurilia" (il sacrificio del maiale, della pecora e del toro).
http://online.scuola.zanichelli.it/ilcriccoditeodoro4ed/protected/xteachx-docenti/opere-esemplari/CAP_08_Ara_pacis.mp4
Libro pp.1534-135
http://www.arapacis.it
Libro pp.148-149
Situata nel Foro di Traiano, questa colonna onoraria venne
inaugurata nel 113 d.C.
Alta 29,74 metri (40 metri se si considerano anche il basa-
mento e il capitello), la colonna è formata da 18 grandi tam-
buri sovrapposti (alti 1,5 metri con un diametro di 3,5 metri)
in marmo di Carrara scavati all'interno per realizzare una
scala a chiocciola che porta fino al piccolo terrazzo posto
sopra il capitello dorico. Alla sommità della colonna era po-
sta la statua di Traiano andata persa nel Medioevo e sosti-
tuita nel 1587 (all'epoca di papa Sisto V) con l'attuale statua
di San Pietro. La colonna poggia su un basamento a forma
di dado su uno zoccolo coronato da una cornice con agli an-
goli quattro aquilehe reggono dei festoni e ornato su tre
lati da rilievi di armi e insegne daciche. Sul quarto lato, quel-
lo principale, è posto un pannello retto da due Vittorie e re-
cante un'iscrizione dedicatoria. All'interno del basamento,
accessibile tramite una porta posta sotto l'iscrizione, era cu-
stodita l'urna d'oro contenente le ceneri di Traiano.
Lungo il fusto della colonna si svolge a spirale con 23 giri un
fregio a rilievo (lungo circa 200 metri per un'altezza che va-
ria, in funzione della prospettiva, dai 90 cm a 1,15 metri); que-
sto fregio illustra le fasi più importanti delle guerre condotte
da Traiano contro i Daci (che abitavano l'odierna Romania)
nel 101-102 e nel 105-106 d.C.
Il fregio, nel quale sono state contate circa 2500 figure (Traia-
no è presente in una sessantina di scene), è stato realizzato
come un rotolo che si svolge attorno al fusto della colonna
la cui visione era facilitata dalla vista che si poteva avere
dalle terrazze delle due biblioteche e della Basilica Ulpia,
poste ai fianchi della colonna.
http://www.nationalgeographic.it/speciali/2015/04/02/news/leggere_la_colonna_traiana-2543441/?refresh_ce
https://www.capitolivm.it/speciali/le-scene-sui-rilievi-della-colonna-traiana/
http://www.radicidelpresente.it/it/il-museo/contenuti-speciali/la-colonna-traiana.
http://online.scuola.zanichelli.it/ilcriccoditeodoro4ed/protected/xteachx-docenti/opere-esemplari/CAP_08_Colonna_Traiana.mp4
Analisi stilistica
Anche lo stile espressivo è nuovo, con un rilievo molto basso, per non alterare la linea architettonica della colonna, talvolta anche in negativo, spesso risaltato da un solco di contorno e ricco di variazioni espressive per rendere efficacemente l'effetto dei materiali più disparati (stoffe, pelli, alberi, corazze, fronde, rocce, ecc.).
Il realismo domina nella narrazione e l'unico elemento simbolico è la personificazione dell'imponente e solenne Danubio barbato che, emergendo dal suo letto, invita i Romani a passare (scena 4). Nella rappresentazione dello spazio e del paesaggio, nelle scene d'azione piene di dinamismo, nel naturalismo cui è improntata la rappresentazione della figura umana si sente ancora viva la tradizione dell'organicità naturalistica greca. Tipicamente romana è poi la narrazione, chiara e immediata, secondo i caratteri dell'arte plebea. La realizzazione non può però dirsi "plebea", per via della grande varietà di posizioni e atteggiamenti, che evita sempre le composizione "paratattiche", cioè le figure isolate semplicemente accostate.
Studiata è la ricerca di variazioni nelle scene analoghe che si ripetono; la costruzione degli episodi, soprattutto quelli di battaglia, è sapientemente progettata con linee spezzate che movimentano l'insieme; la figura dell'imperatore è esaltata nella sua personalità razionale e cosciente, ma non è mai sovrumana.
Gli abbondanti e precisi riferimenti al paesaggio, i particolari realistici di ponti, fortini, accampamenti, la rappresentazione di fiumi o di accampamenti a volo d'uccello ha probabilmente dietro di sé la tradizione romana delle “pitture trionfali", cioè di quei pannelli illustrati che, portati in processione nei trionfi dei generali vittoriosi, mostravano al popolo le scene più salienti delle campagne militari.
Artifici e convenzioni rappresentative che permettono lo scandire del continuum delle scene sono talvolta le prospettive ribaltate o a volo d'uccello, l'uso di utilizzare una scala diversa per i paesaggi e costruzioni, rispetto a quella delle figure, ecc. Un bordo irregolare e mosso e un bassissimo rilievo alludono alle stoffe
Libro pp.150-151
Nel cuore di Roma si trova una colonna onoraria che racconta le gesta di un grande imperatore impegnato in alcune campagne militari: il pensiero di tutti, ora, andrebbe alla famosa Colonna Traiana. Eppure non parliamo di essa ma di un monumento molto simile a quello dedicato al conquistatore della Dacia: la Colonna di Marco Aurelio in Campo Marzio, oggi al centro della piazza alla quale dà il nome, piazza Colonna.
La sua costruzione fu probabilmente decisa nel 176 d.C. dopo le campagne sarmatiche, per celebrare le vittorie dell’imperatore sul Danubio. Ci si ispirò alla Colonna Traiana, seguendo però un tratto dei rilievi diverso, realizzandola con lo stile popolare che si stava cominciando ad affermare in quegli anni. Alla scomparsa dell’imperatore, nel 180, i lavori per la costruzione della Colonna furono ultimati dal figlio e successore Commodo, nel 187-192.
Le scene, a differenza della Colonna di Traiano, non erano poste in ordine cronologico.
Dal punto di vista stilistico è possibile fare comunque delle considerazioni: la colonna Aureliana risente molto di una certa ansia propagandistica, come il continuo ricorso a scene di dedicationes e captivi, che comportano la trascuratezza di elementi ambientali a vantaggio di elementi esaltanti la presenza imperiale. La rappresentazione è comunque più semplice e più facilmente leggibile nel suo insieme. L’uso del trapano, lieve nella Colonna Traiana, qui è molto più ampio e non si limita ai contorni, ma si estende invece proprio alla realizzazione delle singole figure. Il progetto fu unico con quello dei rilievi aureliani (oggi sull’Arco di Costantino), seppur si tratta di due linguaggi artistici differenti (uno narrativo, l’altro allegorico); l’esecuzione è ad opera di più mani che non furono coordinate nelle realizzazione (aspetto notabile nelle congiunture delle differenti scene).
Come nella Colonna Traiana, le scene di combattimento sono alternate a trasferimenti delle truppe e ad altre scene. Sul rilievo si ricorre spesso alla ripetizione di figure e di gesti, e il frequente uso del trapano nelle barbe e nei particolari evidenzia la volumetria delle figure. Inoltre le composizioni sono agevolate, con messaggi più immediati; la figura dell’imperatore è spesso frontale, in posizione centrale rispetto ai suoi dignitari. Rispetto alla Colonna Traiana il racconto diviene più crudele, più efferato e angosciante, tra scene di morte e distruzione.
Libro pp.160-161
Per celebrare la battaglia vittoriosa di Costantino contro Massenzio a ponte Milvio, il 28 ottobre 312 d.C., venne eretto un arco monumentale nella valle del Colosseo, alle pendici del Palatino. Il monumento, dedicato dal Senato e dal popolo romano, come sottolinea la grande iscrizione sull’attico, fu probabilmente inauguratonel 315 d.C.
L’arco si trovava a far parte integrante di una ‘topografia della vittoria’, che lungo il percorso dell’adventus si manifestava in una serie cospicua di monumenti: ai lati della via percorsa dalla pompa trionfale che si snodava tra il Campo Marzio, il Foro e il Campidoglio si ergevano antichi templi decorati da spoglie e dedicati agli dei della vittoria, statue colossali, trofei di guerra.
All’arco è stata assegnata dalla critica moderna la funzione di sintetizzare in forma monumentale i cambiamenti dell’era costantiniana. Sia nei dettagli iconografici del programma figurativo sia nella grande iscrizione che compare, identica, sull’attico di entrambe le facciate, si cercano indizi per ricostruire gli eventi del 312, e per individuare i simboli della precoce conversione di Costantino e del rifiuto dell’imperatore all’ascesa tradizionale come scena conclusiva del trionfo, presso il tempio di Giove Capitolino. Nel monumento si vede una volontaria ambiguità figurativa, che rifletterebbe l’attuarsi di un compromesso tra la fede cristiana dell’imperatore e le consuetudini di Roma pagana.
Dal punto di vista dello stile, il linguaggio formale dei rilievi è stato interpretato come una commistione di modi rappresentativi: tra lo stile plebeo dei rilievi costantiniani – espressione del ‘volto’ provinciale dell’arte tardoantica –, il classicismo dei tondi adrianei, il naturalismo movimentato dei fregi traianei si troverebbero esemplarmente rappresentate le tendenze tardoantiche di un’estetica ‘cumulativa’, realizzata tramite una combinazione di elementi diversi per epoca e qualità formali, e l’uso massiccio degli spolia, elementi antichi, il cui accostamento con i nuovi produrrebbe sullo spettatore l’effetto di un sincretistico assemblaggio. Accanto ai sostenitori di un ‘uso ideologico’ degli spolia si fa strada una tendenza che vuole mettere in luce l’aspetto puramente funzionale del reimpiego, dettato dalla carenza di marmi che doveva già gravare sulle officine della Roma dell’epoca. In studi recenti si cerca di chiarire il ruolo di committenti e destinatari, e le caratteristiche comunicativo-retoriche dei rilievi del monumento, espresse in un messaggio che assume le connotazioni di una sorta di panegirico-discorso tenuto dal Senato davanti all’imperatore e ai sudditi.
In senso generale, il fine rappresentativo ‘ufficiale’ dell’arco sembra sintetizzato dalla definizione dei suoi stessi committenti nella grande iscrizione dedicatoria: «insigne triumphis», ovvero decorato con lo strumentario di immagini adeguate in base a una lunga e consolidata tradizione idonea a rappresentare il trionfo imperiale come manifestazione della vittoria romana. I motivi sono però plasmati e adattati al contesto specifico, alle caratteristiche del tempo e dell’ambiente sociale di committenti e destinatari tra l’adventus e il 315 d.C. Il programma dell’arco è una rappresentazione ‘storica’, in quanto rispecchia i caratteri del tempo. I suoi ideatori non traducono però semplicemente in immagini ideologie astratte. La forza semantica del monumento è determinata dal suo essere radicato nel luogo e nello spazio: i suoi rilievi assumono senso e valore, se ambientati in un contesto topografico sacrale, espressivo di una mitologia del potere imperiale, e non solo nei modi di rappresentazione tipici delle pratiche trionfali mantenute attuali nelle cerimonie dell’adventus.