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L'età barocca e Caravaggio

Il Barocco

Barocco è il termine utilizzato per indicare una temperie estetica, ideologica e culturale sorta a Roma tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo, e dall'Italia propagatasi ovunque nel mondo delle arti, come in letteratura, filosofia, arte e musica. Il termine "barocco" si riconduce a una duplice origine, infatti in portoghese si chiamava “barroco” una perla non perfettamente sferica, in latino invece, il termine baroco indicava un sillogismo tipico della filosofia scolastica, ovvero un discorso molto fumoso ma privo di contenuti.

Il barocco

L’epoca barocca presenta caratteristiche nuove e differenti da quelle che la precedono. Infatti tra la cultura del rinascimento e la cultura del barocco si compie una brusca rottura. Rottura che non fu netta, ma bensì fu graduale, a tal punto che potremo riconoscere un ulteriore periodo storico, detto manierismo, un epoca che non presenta delle caratteristiche proprie ma delle caratteristiche miste tra il rinascimento e il barocco, e per questo viene principalmente riconosciuto come una fase di transizione. Inoltre la rottura che ritroveremo in tale passaggio storico è causata dal sapere tradizionale, cioè l’insieme di conoscenze che a lungo erano state date per scontate, che si rivela non più sufficiente a spiegare una realtà fortemente cambiata ed entra perciò in una crisi profonda e irreversibile.

Tale crisi è inoltre causata anche da un senso di precarietà e solitudine che caratterizza l’animo della società del tempo, e a dimostrazione di ciò ci sarà l’utilizzo di immagini che richiamano la morte, come il teschio, o del tempo, come l’orologio, utilizzate per richiamare la caducità del tempo e della vita, quindi la fugacità dell’esistenza.

Il Seicento è il periodo della controriforma cattolica, una grandissima importanza nella diffusione di massa delle idee controriformiste ce l’ha l’arte. In questo periodo a causa dello scandalo delle indulgenze, la chiesa ha una grande perdita di fedeli, e l’arte ha il compito di riavvicinarli nuovamente ad essa, con l’architettura, la scultura e la pittura. Infatti nel diciassettesimo secolo troviamo un eccesso artistico, simboleggiato dalla ricchezza e della monumentalità delle costruzioni.

Nel 1600 all’architettura si sovrappone anche la pittura e la scultura, infatti troviamo una decorazione delle chiese sia all’interno, che all’esterno, e le facciate eccessivamente decorate hanno lo scopo celebrativo e scenografico. La decorazione inoltre non la troviamo solamente nelle chiese, ma in tutta la città, e in questo periodo si sviluppa anche il giardino, un’espressione monumentale già nata nel periodo del tardo Rinascimento e del Manierismo.

Michelangelo Merisi

Se la vita di Caravaggio fosse stata un romanzo, sarebbe stata una storia di duelli, fughe, improvvise ascese e rovinose cadute, dove l’autore aveva esagerato con i colpi di scena. Però sappiamo perfettamente che quella di “Caravaggio” è una storia vera, che passa da arte e violenza in un lampo. Michelangelo Merisi, detto “Caravaggio” nacque nel 1571 a Milano da una famiglia originaria di Caravaggio. Sin da giovane si notano le sue abilità nel dipingere nature morte e scene di genere: le nature morte rappresentavano composizioni con soggetti inanimati, mentre le scene di genere erano composizioni rappresentate in ambienti comuni. Caravaggio riceve la prima formazione presso il cavalier D’Arpino, nella sua bottega lavora per qualche tempo distinguendosi dagli altri per il suo innato talento, che però non può mostrare del tutto poiché in bottega la sua mansione principale era quella di fare pulizie generali e solo talvolta si dilettava nel disegnare. Nel 1595 passa dalla bottega del cavalier D’Arpino a diventare uno dei preferiti del Cardinale Francesco Maria Del Monte.

Caratterialmente era un uomo gentile, altruista ma non di ottimo temperamento. Era incline alle risse, amava frequentare le osterie dei quartieri malfamati, le bettole e trascorrere le notti in compagnia di prostitute o giocando d’azzardo, ma la sua aggressività nasceva spesso per difendere i più umili. Era anche uno spirito irrequieto tormentato dall’idea della morte che aveva conosciuto in tenera età (Il padre, lo zio ed il nonno morti di peste). Caravaggio è anche conosciuto come il maestro delle luci e delle ombre, poiché nelle sue opere è capace di portare questo effetto con notevole capacità. La vita di Caravaggio cambiò drammaticamente nel 1606, quando uccise in una rissa Rinuccio Tommasoni. Pare che l’alterco fosse sorto per un banale fallo subito durante una partita di pallacorda. L’artista, secondo le leggi in vigore nello Stato Pontificio all’epoca, fu condannato alla decapitazione.

Dopo essere stato condannato a morte a causa dell’omicidio commesso Caravaggio è costretto a fuggire da Roma e per fare ciò egli fu aiutato dalla famiglia Colonna che, testimoniando la presenza di Caravaggio in varie città, fecero perdere le sue tracce e di conseguenza Michelangelo potè mettersi in salvo. In seguito, nel 1606, Caravaggio si trasferì a Napoli dove rimase per circa un anno e dove visse un periodo davvero felice e in questo periodo egli compose vari dipinti ed è proprio per questo motivo che a Napoli nacquero moltissimi esponenti del barocco che si ispiravano a Caravaggio. Dopo il breve ma intenso anno trascorso a Napoli, nel 1607, Caravaggio partì per Malta dove entrò a far parte dell’ordine dei cavalieri di San Giovanni poiché aveva l’obiettivo di diventare un cavaliere in modo da ottenere l’immunità e di conseguenza non poter più essere condannato a morte, tuttavia anche qui ebbe dei problemi, infatti fu arrestato per aver avuto un duro litigio con un cavaliere di rango superiore al suo e per questo fu rinchiuso nel carcere di Sant’Angelo. Nonostante ciò egli riuscì ad evadere e si rifugiò a Siracusa e rimase in Sicilia per un breve periodo. In seguito, alla fine dell’estate del 1609, tornò a Napoli, qui a causa di un litigio rimase ferito e cominciò a circolare la notizia della sua morte. Dopo poco il papa revocò la condanna a morte di Caravaggio e per questo motivo Caravaggio si mise in viaggio per andare a Porto Ercole dove avrebbe atteso il condono definitivo da parte del papa, tuttavia, a causa di una malattia, una volta giunto a Porto Ercole morì nella Chiesa di Sant’Erasmo il 18 Luglio 1610.

La Canestra di Frutta

La canestra di frutta è una delle prime opere mai dipinte dal Caravaggio, gli è stata commissionata dal Cavalier del Monte, che l’ha successivamente donata al cardinale milanese Federico Borromeo. Si tratta di un olio su tela, realizzata su una superfice di piccole dimensioni tra il 1595 e il 1596. Il quadro rappresenta una natura morta con una semplice canestra di vimini intrecciata. La composizione, che al primo sguardo può risultare improvvisata, è studiata nei minimi dettagli, infatti la canestra viene rappresentata in visione perfettamente frontale ed occupa un diametro equivalente al lato inferiore del dipinto.

Canestra di frutta

La canestra viene rappresentata in modo che sporga leggermente dal ripiano su cui è posta, e questo è stato necessario per due fattori: il primo è quello della prospettiva, che viene accentuata dal gioco di luci ed ombre che si verifica tra la canestra e il ripiano, il secondo è un simbolismo, in particolare la canestra sta a simboleggiare la chiesa, che si pone sempre verso i bisognosi.

La percezione dello sfondo è minima, dato che è inondato da una luce calda e soffusa, la frutta che viene rappresentata è molto fedele alla realtà, infatti Caravaggio dipinge le foglie stropicciate e appassite, possiamo notare che il grappolo d’uva è stato privato di alcuni chicchi, e che la mela presenta dei difetti, come dei buchi probabilmente creati da insetti o vermi, che testimoniano il fatto che essa non sia fresca. Il motivo per cui Caravaggio dipinge la natura non in modo impeccabile e perfetto, come facevano i suoi predecessori, ma tende a rappresentare i suoi soggetti con estremo realismo, sta a simboleggiare lo scorrere del tempo e la caducità della vita.

Cappella Contarelli

Cappella Contarelli

Tra le opere che Caravaggio realizza durante il suo cosiddetto "periodo romano", quelle più note sono quelle esposte nella chiesa di San Luigi dei Francesi, in particolare nella cappella Contarelli, la quale prende il nome dalla persona che ha commissionato le tre opere dedicate a San Matteo, ovvero Matteo Contarelli. Queste opere sono: "La vocazione di San Matteo", "il martirio di San Matteo" e "San matteo e l'angelo"

La vocazione di san Matteo

La Vocazione

La Vocazione di San Matteo fu realizzata da Caravaggio tra il 1599 e il 1600 e si trova nella Cappella Contarelli, nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. La scena raffigura il momento in cui Cristo indica Matteo un esattore delle tasse che sarebbe diventato uno degli apostoli. Il dipinto è realizzato su due piani paralleli, quello più alto vuoto dove viene raffigurata solo una finestra e quello più basso dove viene raffigurata la scena vera e propria. Questo dipinto, come molte altre opere di Caravaggio, ritrae una scena di genere, ovvero una scena della vita comune, infatti la scena avviene in una bottega o più precisamente nell’esattoria, poiché Matteo era un esattore delle tasse.

Nel dipinto in totale sono raffigurate 7 persone, a destra troviamo la figura di Cristo, che viene rappresentato con un’aureola in testa che Caravaggio usa proprio per rappresentare personaggi divini, egli è intento a indicare Matteo, Gesù viene affiancato da Pietro che in questo caso rappresenta la Chiesa.

Procedendo da destra verso sinistra notiamo due uomini che volgono lo sguardo verso di loro e subito dopo di loro troviamo Matteo che con la mano sembra indicarsi come a chiedere conferma della sua chiamata, alla sinistra di Matteo ci sono altri due uomini che in questo caso non rivolgono il loro sguardo a Gesù poiché troppo impegnati nel contare il denaro. La scena viene evidenziata da una luce proveniente alle spalle di Gesù e simboleggia proprio la luce divina ed essa illumina i personaggi e in particolare Matteo, inoltre un altro simbolismo lo riscontriamo negli abiti di Matteo e dei suoi compagni che sono degli abiti del tempo e quindi fanno capire come Caravaggio prendesse appunto persone del popolo per dipingere le sue opere.

Il martirio di san Matteo

Il Martirio

Il martirio di san Matteo è la seconda delle tre opere che Caravaggio realizza per Matteo Contarelli, e che verranno successivamente esposti nell’omonima cappella appartenente alla chiesa di San Luigi dei Francesi. È realizzata con olio su tela, tra il 1600 e il 1601, su una superfice che supera i tre metri per lato.

L’opera si articola attorno all’esecutore che è vestito solamente da un panno che gli cinge la vita, è dipinto nell’atto di colpire San Matteo sdraiato a terra ed il suo viso è teso e l’espressione è estremamente aggressiva. San Matteo indossa una tunica bianca, ed accoglie la palma che gli viene posta dall’angelo che si libera tra le nubi nella parte alta del dipinto.

La scena è una scena di genere che si svolge per strada, ma la presenza in una gradinata che precede un altare e che porta il simbolo dei cavalieri di malta, fa dubitare dell’ambientazione. In alto a sinistra si nota una figura che spicca tra quelle raffigurate: quello è il volto di Caravaggio stesso, che assiste sconvolto alla vicenda, e si pensa che l’artista si sia autoritratto con l’intento di autografarsi.

San Matteo e L'angelo

Nel 1602 Caravaggio, commissionato dal cardinale Matteo Contarelli, ultimò la decorazione della Cappella Contarelli completando l’illustrazione della vita dell’evangelista Matteo con la realizzazione della pala d’altare raffigurante “San Matteo e l’angelo”. L’attuale tela fu però preceduta da un altro dipinto, rifiutato dalla committenza, in quanto il santo, essendo stato raffigurato con i piedi sporchi e le gambe scoperte e accavallate, non aveva né il decoro né le sembianze di un santo. Inoltre la prima tela non è arrivata a noi, in quanto fu distrutta nel 1945 dai bombardamenti che colpirono la città di Berlino.

San Matteo e L'angelo

Il Caravaggio, nel realizzare la sua prima versione del San Matteo e l'angelo, aveva voluto, anche con una certa ingenuità d'intenti, dare all'insieme un carattere non severo, ma che esprimesse una certa ingenuità. A tal proposito aveva scritto Roberto Longhi che l'angelo, ben diverso dall'essere celeste, come voleva il programma, sembrava un «ragazzaccio insolente, panneggiato in un lenzuolo a strascico», come in una rappresentazione sacra da teatrino parrocchiale. Inoltre in questa prima versione Caravaggio raffigura San Matteo come se fosse guidato dall’angelo nel suo intento di scrivere il vangelo, facendo sembrare San Matteo come un’analfabeta, un uomo rozzo e incolto, e proprio ciò fu elemento di scandalo e critiche, critiche che porteranno Caravaggio a dipingere una seconda versione di tale scena.

La nuova pala riprende il medesimo soggetto, nobilitandone però la narrazione. Qui il vecchio San Matteo indossa un abito all’antica, giocato sulle tonalità calde del rosso e dell’arancio, ed è colto nel momento in cui iniziando a scrivere il proprio vangelo, si volge con un misto di rispetto e titubanza verso l’angelo, questa volta librato in aria.

La posizione del santo, con la testa girata verso l’Angelo, suggerisce che ha interrotto la sua attività per dare ascolto a quest’entità celeste; contemporaneamente, è proprio la posizione dell’apostolo a darci la sensazione che sia di fretta, quasi come se avesse paura di perdere qualche importante appunto che gli viene dettato dallo stesso angelo. Invece l’Angelo giunge direttamente dal cielo, occupando la sezione superiore della scena: guardando con attenzione le dita delle sue mani, sembra che stia elencando una serie di elementi da far scrivere al santo. Infine a contribuire a questo senso di fretta, oltre alla posizione del santo, c’è anche lo sgabello su cui è appoggiato: non è totalmente stabile a causa del rapido movimento dello scriba, voltatosi di fretta per l’apparizione dell’Angelo. Inoltre tale instabilità simboleggia anche la situazione in cui si ritrovava la chiesa del tempo, caratterizzata ancora dallo scandalo delle indulgenze e dalla Controriforma.

La Capella Cerasi

Altre opere piuttosto note della produzione Romana del Caravaggio, sono le due opere esposte nella chiesa di Santa Maria del Popolo, a Roma, in particolare nella cappella Cerasi. Queste opere sono "La crocifissione di San Pietro" e "La conversione di San Paolo".

Cappella Cerasi

La crocifissione di san Pietro

La Crocifissione di san Pietro

La Crocifissione di San Pietro è un dipinto di Caravaggio, in olio su tela, realizzato tra il 1600 e il 1601 e situato nella Cappella Cerasi nella Chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma. Nel dipinto sono presenti quattro personaggi, ma il protagonista principale è San Pietro che viene raffigurato al centro del dipinto mentre si trova sulla croce poiché sta per essere crocifisso, egli decide di farsi crocifiggere a testa in giù poiché non si riteneva degno di essere crocifisso nella stessa posizione in cui lo era stato Gesù. Un elemento molto importante di questo dipinto è la luce, che riflette sul corpo del Santo e allo stesso tempo risalta le figure dei tre carnefici, inoltre lo sfondo scuro risalta maggiormente le figure mettendo in evidenza la tensione dei corpi e per questo motivo la scena ci risulta molto realistica.

I tre carnefici non vengono rappresentanti come degli aguzzini che agiscono in maniera brutale, ma come uomini semplici costretti a svolgere il proprio lavoro, che in questo caso consiste nell’innalzare la croce. Per quanto riguarda i tre uomini che stanno lavorando, inoltre, notiamo che quello in ginocchio è orientato lungo la diagonale del dipinto e fa forza con la spalla per sorreggere la croce, inoltre egli ha una pala in mano che ha utilizzato per scavare il solco che si intravede a terra. Il secondo esecutore, invece, ha la testa ruotata di tre quarti verso il santo e sorregge il fusto verticale della croce cingendolo con entrambe le braccia. Il terzo esecutore, infine, viene raffigurato più arretrato rispetto agli altri e viene rappresentato mentre tira la fune per innalzare la croce.

Nel complesso, pur rappresentando un evento drammatico, la scena risulta molto tranquilla e Caravaggio riesce a rendere la sua opera molto realistica, non solo grazie alle azioni dei vari personaggi ma anche grazie all’espressività che riesce a conferire nei vari volti, si nota, ad esempio, l’espressività soprattutto nel volto di Pietro che viene raffigurato con un volto sereno come a voler indicare che accetta la volontà divina.

La conversione di san Paolo

La Conversione di San Paolo

La tela rappresentante la Conversione di San Paolo, realizzata tra il 1600 e il 1601 è conservata tutt’ oggi presso la Cappella Cerasi (Basilica di Santa Maria del popolo, Roma) precisamente nella parte destra di essa. Di quest’opera però esistono due versioni: una come già detto conservata nella Cappella Cerasi, l’altra, realizzata prima, fu rifiutata dalla Chiesa e fu comprata dalla famiglia Odescalchi. Entrambe, pur rappresentando lo stesso tema, sono realizzate in modi diversi.

Mito di Saulo (paolo di Tarso)

Cittadino romano di nome Saulo, di famiglia ebraica, perseguitò duramente i cristiani. Nato a Tarso (Cilicia) all’inizio del 1° secolo da una famiglia ebraica farisea piuttosto benestante, fu uno dei più accaniti avversari della nuova religione. Saulo si convertì alla nuova fede dopo che, caduto da cavallo sulla strada di Damasco, ebbe una visione nella quale Gesù lo chiamava dicendogli: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Dopo aver appreso i principi della nuova religione da Anania, si convertì e assunse il nuovo nome di Paolo, diventando un convinto e deciso propagatore del messaggio di Cristo.

La prima versione della conversione di San Paolo, chiamata anche Caravaggio Odescalchi, era ispirata all’omonima opera realizzata da Michelangelo e situata nella cappella Paolina. Essa, però, non fu apprezzata per vari motivi:

• Era definita una scena troppo caotica e violenta, nel bel mezzo di una battaglia;

• Nella rappresentazione, Saulo, che è caduto dal cavallo, ha le mani che gli coprono il viso, e sembrava non voler accettare la volontà Divina;

• C’è una grossa presenza di armi, che rappresentano la foga della guerra;

• Cristo è raffigurato in un atto di quasi irruenza verso Saulo, poiché si fionda verso il giovane ed è a stento trattenuto da un angelo;

• Nella scena, il vecchio uomo al fianco di Saulo punta, istintivamente, la sua lancia proprio verso Cristo per “difendere” il giovane compagno, pur non vedendo la minaccia.

La seconda versione vide vari aggiustamenti che la portarono a non essere rifiutata come la precedente. Questa versione è concentrata sull’esatto momento in cui Paolo si converte e le caratteristiche più importanti erano:

• La staticità della scena, dove prevale visivamente la presenza maestosa del cavallo;

• La presenza di Cristo nella prima versione viene sostituita da un raggio di luce che illumina il viso di Saulo;

• Il giovane Saulo ha braccia aperte rivolte verso la luce per accogliere la volontà Divina;

• Tutte le armi si trovano a terra;

• A terra si trova anche un abito rosso, che sta a simboleggiare la passione della Chiesa;

• Dato che il cavallo è simbolo di guerra, Saulo non è accompagnato da un armigero ma bensì da un palafreniero, che simboleggia il ripudio della guerra.

Madonna dei Pellegrini

Madonna dei Pellegrini

La Madonna dei Pellegrini o di Loreto è un dipinto a olio su tela di Caravaggio, fatto tra il 1604 e il 1606, esso è conservato nella Cappella Cavalletti della basilica di Sant’Agostino a Roma. Solitamente la madonna viene raffigurata in cielo con Gesù bambino in braccio, ma Caravaggio abolisce questa tradizione rendendola terrena. La Madonna viene raffigurata sullo stipite della porta della Santa Casa, che è una povera casa di mattoni, adornata da una pregiata soglia di marmo.

La modella che Caravaggio utilizza come Madonna fu Maddalena Antognietti (detta Lena), personaggio noto nella Roma del tempo. Lena era una cortigiana d'alto bordo che faceva parte di un'élite che si divideva fra cardinali e ricchi mercanti.

Nell’opera Maria si affaccia sulla soglia di casa e riceve due anziani pellegrini inginocchiati davanti a lei, dai piedi sporchi e gonfi per il viaggio compiuto. L’anziano indossa un mantello corto che gli copre le spalle, una camicia e un gilet, mentre la donna visibile solo parzialmente, sul capo indossa un fazzoletto che copre interamente i capelli. Sul viso dell’uomo è presente una folta barba, mentre sul viso della donna sono presenti numerose rughe. La Vergine indossa un abito rosso scuro ed un manto blu scuro. Tiene in braccio Gesù Bambino, e protegge il suo corpo nudo con un panno chiaro. Maria è in piedi, scalza, e regge il peso del corpo con la gamba destra, mentre la sinistra è flessa in una posizione di rilassamento. La sua parte sinistra è appoggiata allo stipite in pietra dell’ingresso. Con uno sforzo, per mantenere il Bambino, Maria china il volto in basso, verso i pellegrini mentre Gesù li indica con la mano

La morte della vergine

Morte della Vergine

La morte della vergine è l’ultimo dipinto romano di Caravaggio, realizzato a olio su tela, tra il 1601 e il 1606, e oggi si trova al Museo del Louvre a Parigi. Esso fu commissionato a Caravaggio da Laerzio Cherubini, un avvocato molto potente della curia romana, per la propria cappella funeraria nella Chiesa di Santa Maria della Scala, la chiesa più importante dell'ordine dei Carmelitani Scalzi a Roma. Una volta terminato il dipinto fu però rifiutato, perché la Madonna non rispettava la sua iconografia classica, inoltre l’opera fece scandalo perché Caravaggio aveva dipinto i piedi nudi fino alla caviglia, e come modello il pittore utilizzò Anna Bianchini, una nota cortigiana a Roma, oppure una giovane prostituta affogata nel Tevere.

La scena raffigura la Madonna subito dopo la morte, mentre Maria Maddalena e gli apostoli le si stringono intorno piangendo la sua scomparsa. Il corpo di Maria adagiato su una panca di legno in diagonale, appare pallido e già irrigidito dalla morte, lontanissimo dall’iconografia della Damnatio Virginis, che l’avrebbe voluta addormentata. La Vergine è ritratta come una giovane, perché rappresenta allegoricamente la Chiesa immortale, mentre il ventre gonfio, comune ai morti per annegamento, rappresenta la grazia divina di cui è "gravida". La giovane Maddalena in primo piano è seduta su una sedia che singhiozza per il dolore della perdita, mentre ogni apostolo è colto nell’espressione genuina del loro dolore. L’ambientazione dell’opera è molto spoglia, infatti gli unici oggetti decorativi sono il pesante drappo dello stesso colore del vestito della Vergine, ovvero rosso, che sta a simboleggiare la passione, e il bacile di rame che si trova in primo piano ai suoi piedi. Il soffitto a cassettoni che si trova nel dipinto suggerisce lo spazio chiuso nel quale avviene la scena. Inoltre luce che illumina la scena proviene da dietro, percorre la tela obliquamente e illumina i volti, evidenziandone le espressioni, ed essa simboleggia la grazia divina.

Il periodo napoletano

Quando Caravaggio si reca a Napoli da clandestino, dopo aver ucciso il suo rivale Tommasoni, non ferma la sua produzione di opere, bensì continua a dipingere e a realizzare opere sotto commissione.

Le opere del periodo napoletano sono "La flagellazione di Cristo", "Le sette opere di Misericordia" e "Il martirio di sant'Orsola".

Periodo Napoletano

La flagellazione di Cristo

La flagellazione di Cristo

La Flagellazione di Cristo è un dipinto di Caravaggio, ed egli ne realizza ben due versioni, la prima, versione Rouen, la seconda, versione napoletana.

La seconda versione del dipinto, la napoletana, è realizzata tra il 1607 ed il 1608, ed è attualmente conservato nella sala 78 del Museo nazionale di Capodimonte di Napoli. Secondo le notizie rinvenuteci questo dipinto fu commissionato a Caravaggio da Tommaso de Franchis, un membro importante del governo d’Aragona, per adornare la cappella della famiglia de Franchis, ed è la tela di formato più grande e più monumentale delle cinque opere eseguite dal pittore alla fine del suo soggiorno napoletano.

Il dipinto è organizzato intorno alla colonna alla quale è legato Cristo, che presenta una corona di spine e un accenno di aureola sul capo, e affianco ad egli si dispongono due dei torturatori, uno sul lato destro, impegnato a bloccare il prigioniero, ed uno sul lato sinistro, che cerca di aiutare l’aguzzino a mantenere fermo Cristo; essi sono proiettati in secondo piano nel quadro, mentre in primo piano, si trova il terzo degli aguzzini in posizione china, che cerca di sciogliere la corda con cui legare i piedi di Cristo, che dona un senso di profondità alla scena. Il corpo luminoso e robusto di Cristo, situato al centro dell’opera, sembra accennare a un movimento danzante che crea un contrasto con i movimenti strozzati e secchi dei suoi aguzzini, inoltre è anche più chiaro rispetto agli altri, poiché presagisce la morte di Cristo. La luce, quasi accecante, fa in modo che i corpi vengono fuori dall'ombra e i tratti fisici vengono definiti, sottolineando con grande drammaticità l'evento che il dipinto racconta.

Come aguzzino posto in primo piano, nel progetto originale Caravaggio doveva ritrarre lo stesso Tommaso de Franchis, ma successivamente cambiò idea e decise di fare spazio ad un terzo torturatore. Gli aguzzini che circondano Cristo, anche se poco visibile, hanno impresso una smorfia quasi disumana sui loro volti; si tratta di un particolare molto interessante, poiché fa pensare che questi soldati stanno eseguendo un ordine contro la loro volontà, oppure non sono addestrati ad eseguire un incarico del genere. Il corpo di Cristo, è il punto più luminoso di tutta la scena, che crea un contrasto con la circostante oscurità che avvolge il dipinto, e che “nasconde” i corpi dei torturatori. Il fatto che solo il corpo di Cristo sia messo così in risalto rispetto agli aguzzini, simboleggia che Gesù è nel giusto, mentre gli uomini, in questa assurda aggressione, stanno sbagliando, mentre l’oscurità che avvolge tutto il quadro riflette perfettamente lo stato d’animo di Caravaggio di quegli anni, infatti lui era a Napoli per sfuggire dalle guardie che lo volevano arrestare e giustiziare per l’omicidio di Ranuccio Tomassoni.

La prima versione del dipinto, la Rouen, è realizzata tra il 1606 e il 1607, olio su tela, ed è attualmente conservato a Rouen, in Francia, nella accademia delle Beaux-Arts (belle arti). Al contrario della versione Napoletana, di questo dipinto si sa poco o nulla, infatti il dipinto è stato attribuito a Caravaggio attraverso il confronto dei metodi utilizzati con quella commissionata da de Franchis. Gli storici pensano che l’opera fu commissionata a Caravaggio da Ferdinand van den Eynden, grande mercante d’arte fiammingo, trasferitosi a Napoli.

Nel dipinto sono raffigurati Cristo legato alla colonna, che si allunga sul lato sinistro della tela, torcendo ed allungando tutti i suoi muscoli nel movimento, e i due aguzzini sul lato destro, che tengono il prigioniero fermo vicino alla colonna. Poi abbiamo la luce, che arriva radente da sinistra, e s’allarga sul corpo del Cristo e sul suo volto e s’infrange poi sui carnefici illuminandone i volti, mettendoli al centro dell’opera stessa. Il volto del Cristo è pervaso di rassegnazione di fronte a quella sofferenza che sta per caratterizzare la fine della sua vita terrena, inoltre presenta un canone di bellezza maggiore contrapposto alla bellezza plebea dei carnefici

il volto del torturatore in primo piano, è quello dello stesso uomo presente anche nella versione napoletana del quadro, ed inoltre, è presente anche in un altro lavoro di Caravaggio, ovvero Salomè con la testa del Battista, dove interpreta il ruolo dell’uomo che sta porgendo su un piatto, la testa decapitata di Giovanni.

Le sostanziali differenze tra questa tela e quella conservata a Napoli sono:

  • l’utilizzo di una tela orizzontale nella versione Rouen, mentre nella versione di Napoli, l’utilizzo di una verticale.
  • La posizione di Cristo e degli aguzzini
  • L’intensità della luce.

Le Sette opere di Misericordia

Sette opere di Misericordia

Le sette opere di misericordia sono state dipinte da Caravaggio tra il 1606 e il 1607, e fu commissionata dall’istituzione laica del Pio monte della misericordia, la quale era intenzionata a indicare che lo scopo della loro istituzione era quello di rimanere vicino alle persone bisognose, è stata dipinta con la tecnica di olio su tela, su una superfice di circa tre metri per due metri e mezzo, e si trova ancora a Napoli. La bravura dell’artista è stata quella di unificare le sette opere, sei delle quali descritte nel vangelo e la settima è coeva, in una sola tavola. Le sette opere sono: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, visitare i carcerati, visitare i malati, accogliere i pellegrini e seppellire i morti (passaggio molto importante perché, all’epoca, in Europa, c’era la peste).

In alto, nel dipinto, notiamo una donna che assiste alla vicenda affacciata ad un balcone, con il figlio neonato tra le braccia, essa è la madonna, che porta tra le braccia Gesù, e ciò è intuibile dalla presenza degli angeli intorno ad ella. La prima, la quarta e la quinta opera sono rappresentate in un’unica scena illustrata in basso a destra, qui si notano due figure, Cimone e Pero, che sono padre e figlia. Cimone è stato condannato a morire di fame ed è stato carcerato, sua figlia Pero è intenta ad allattare il padre dal suo seno.

Se volgiamo lo sguardo un po’ più a destra, notiamo due uomini che trasportano un cadavere, e quest’episodio rappresenta la settima opera. In basso, leggermente a sinistra, troviamo un cavaliere che taglia via un pezzo dal suo mantello per donarlo ad un uomo nudo, e sta a simboleggiare la terza opera. La seconda opera è invece rappresentata dalla figura di Sansone, che beve dell’acqua fatta apparire da Gesù all’interno di una mascella d’asino. Invece, la sesta ed ultima opera, è rappresentata all’estrema sinistra dell’opera, dove notiamo un uomo che accoglie un pellegrino, il quale si pensa che appartenga a Santiago de Compostela per la piccola conchiglia che porta sul copricapo, la quale rappresenta il simbolo del pellegrinaggio di Santiago.

Il martirio di sant'Orsola

Martirio di sant'Orsola

Il Martirio di sant’Orsola, realizzato nel 1610, olio su tela, fu l’ultimo dipinto del Caravaggio prima della sua morte. Essa è attualmente conservata presso la galleria del palazzo Zevallos, a Napoli. Quest'opera fu commissionata a Caravaggio dal banchiere genovese Marcantonio Doria, la cui famiglia aveva per protettrice proprio Sant'Orsola.

La leggenda di Santo Orsola narra che Orsola era stata promessa in sposa al principe pagano Ereo, e cercò di convertire al cristianesimo quest’ultimo, e quando ci riuscì, per ringraziare il signore, decise di intraprendere un lungo pellegrinaggio insieme ad altre undici vergini, partendo dalla città in cui viveva, Colonia, un paese della Germania, fino a Roma. Durante la strada del ritorno, Orsola incontrò Attila, insieme ai suoi soldati, che uccisero le altre undici vergini, ma lo stesso Attila decise di risparmiare Orsola, incantato dalla sua bellezza. Egli chiese ad Orsola di sposarlo, ma ella avendo fatto un voto di castità a Roma rifiutò. Attila non contento del rifiuto della santa decise di colpirla con una freccia.

La scena è ambientata all’esterno della tenda di Attila, e raffigura il momento subito dopo che Attila scoccò la freccia. L’uomo sulla sinistra in primo piano è Attila, la sua faccia sembra esprimere pentimento per aver reagito d’istinto al rifiuto di sant’Orsola, uccidendola con una freccia, alla sua destra, in primo piano, troviamo la santa, la quale, Caravaggio mette in risalto dirigendo l’illuminazione direttamente su di lei e dipingendola con la carnagione molto più chiara rispetto agli altri personaggi poiché vuole alludere alla morte imminente della donna, e in secondo piano uno dei barbari che allunga la mano come tentativo di bloccare l’atto commesso dal suo capo. Alla destra della santa si trovano altri due barbari al servizio di Attila. Tutti si accingono a sorreggere sant’Orsola, che sarebbe caduta al suolo da un momento al altro. L’uomo con la bocca aperta, che sta sorreggendo la santa, è un autoritratto di Caravaggio, incredulo per l’azione a cui aveva appena assistito. Si può notare che gli abiti dei personaggi sono “modernizzati” con gli abiti seicenteschi.

Dall’espressione della protagonista, ella sembra non soffrire per la ferita della freccia, ma piuttosto appare quasi del tutto rassegnata al suo destino.

Dall’espressione dell’alter ego di Caravaggio, si ha quasi l’illusione che anche lui sia stato trafitto dalla freccia di Attila, inoltre anche lui è più pallido rispetto agli atri barbari, questo perché lo stesso pittore voleva simboleggiare la sua forte paura della morte.

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