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David Hume (1711-1776) studiò a Edimburgo avvocatura, ma smise per seguire la sua passione per la filosofia e per le discipline umanistiche che lo portò a iniziare i due volumi del suo primo lavoro, il Trattato sulla natura umana (1739) cui seguirono i Saggi morali e politici (1741) opere nelle quali sviluppò “una nuova scienza della natura” in grado di produrre un rinnovamento della morale umana.
Seguirono altre opere: la Ricerca sull’intelletto umano (1748) e la Ricerca sui principi della morale (1751), confluite nella più ampia opera Saggi e trattati su vari soggetti.
La sua opera più nota è Discorsi politici (1752).
Malgrado la sua notevole produzione scientifica per l'opposizione della classe anglicana non conseguì mai una cattedra universitaria.
Fece solo una breve esperienza diplomatica come segretario d'ambasciata in Francia e di Governo.
Il filosofo scozzese si concentra sulla scienza dell'uomo che è al centro di tutti i saperi, affermando che l'esperienza e l'osservazione costituiscono le uniche basi della scienza.
Secondo Hume, la coscienza può essere definita come un fascio di percezioni che si susseguono.
Le percezioni si dividono in: impressioni e idee.
In particolare, le impressioni colpiscono immediatamente la mente, nel momento stesso in cui i sensi “raccolgono” dati dal mondo esterno; le idee sono, invece, forme più deboli di conoscenza derivante dalle impressioni che conserviamo nella memoria e che sono frutto anche della nostra fantasia;
Le percezioni rappresentano, dunque, l’unico ambito all’interno del quale può muoversi la conoscenza umana; nessuna idea è possibile al di fuori di ciò che l’individuo acquisisce mediante le percezioni e, pertanto, nessuna idea può essere considerata valida se non sapremo ritrovare la percezione da cui scaturisce.
Hume porta alle estreme conseguenze questa teoria, arrivando a negare sia l’esistenza dell’anima umana sia la possibilità che esistano in natura delle sostanze materiali che prescindano dalle percezioni dell’uomo.
Sia l’anima che gli oggetti esterni, dunque, non sono altro che un flusso di percezioni.
Hume sostiene che i legami di causalità tra le idee sono frutto dell’abitudine dell’uomo.
Le deduzioni mentali che, a partire da esperienze già acquisite, attribuiscono una causa ad un fenomeno noto dipendono esclusivamente dall’abitudine dell’uomo a stabilire dei rapporti tra le cose.
L’abitudine, in particolare: porta a trasformare delle semplici successioni di fatti in connessioni causali, secondo una consuetudine che spinge ciascuno alla errata convinzione che il futuro debba essere sempre conforme al passato, con cause che portano sempre agli stessi effetti.
L'importanza dell'abitudine risiede nel fatto che da essa deriva la credenza, che non è una decisione della volontà, ma un'associazione costante di idee.
Secondo Hume i fatti non hanno nessun significato etico.
Il bene e il male non sono nei fatti, ma nella reazione del soggetto ai fatti.
Tale reazione non dipende dalla ragione, ma è un sentimento spontaneo, non argomentabile, che può essere accostato, in un certo senso, al gusto.
Ciò che produce piacere è considerato buono, ciò che è produce una reazione negativa, cattivo.
Per quanto non sia possibile stabilire principi etici universali, esistono dei tratti comuni derivati dalla comune natura umana.
Tutti gli uomini provano una naturale tendenza a immedesimarsi negli altri e a reagire in modo simile.
Per questo esiste una simpatia spontanea, un sentire con, che è il principale fondamento del consenso morale.
Il bello, come il buono, è per Hume soggettivo: non è nelle cose ma nelle reazioni del soggetto che le percepisce.
Esiste però, in relazione alla comune natura umana, un sentire comune, per cui sussiste un accordo di massima nelle questioni di gusto.
La società nasce da una convenzione, sulla base del riconoscimento collettivo della sua utilità: essa stabilisce, per il conseguimento dell'utile collettivo, doveri e valori, che vengono trasmessi mediante l'educazione ai nuovi membri.
La convenzione viene in questo modo accettata e interiorizzata, come abitudine o costume.
Hume nega la possibilità di dimostrare razionalmente l'esistenza di Dio, anche come artefice dell'universo, come voleva il deismo.
La religione esiste però come fatto umano, e come tale va studiata.