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Transcript

I promessi sposi

cap. IV

Fra Cristoforo

Struttura del capitolo

Il capitolo IV è incentrato sulla figura di fra Cristoforo, solo nominato nel capitolo III. Alla fine del capitolo III, infatti, Lucia prega Fra Galdino di chiedere a Fra Cristoforo di venire a parlarle il prima possibile.

Il capitolo III è chiuso da un tramonto che mette fine a una giornata carica di spiacevoli scoperte per i due promessi sposi, non in maniera positiva bensì preannunciando la venuta delle tenebre. Il capitolo IV si apre con un'alba, il ritorno alla luce, in cui si situa la partenza del frate alla volta del paese di Lucia.

Struttura del capitolo

Renzo e il suo braccio minaccioso

Che cosa succede?

Prima Sequenza

Fra Cristoforo si alza all'alba e si dirige verso casa di Lucia, che ha chiesto di parlargli urgentemente. Viene descritto il paesaggio attorno al convento di Pescarenico dove abita fra Cristoforo. Dal paesaggio si passa poi alle persone che il frate vede durante il cammino che lo porterà a casa di Lucia: immagini desolanti che fanno da contrappunto tragico alla dolcezza del paesaggio.

Terza Sequenza

Nel tempo occupato dall'excursus sulla sua vita, il nostro fra Cristoforo è arrivato a casa di Lucia:

"Ma, intanto che noi siamo stati a raccontare i fatti del padre Cristoforo, è arrivato, s'è affacciato all'uscio; e le donne, lasciando il manico dell'aspo che facevan girare e stridere, si sono alzate dicendo, a una voce: - oh padre Cristoforo! sia benedetto! -"

Il narratore gioca a sovrapporre il tempo della narrazione sul tempo del racconto. Mentre scorre il tempo del racconto (occupato dall'analessi su Lodovico/Cristoforo) scorre anche quello della narrazione (fra Cristoforo che cammina verso casa di Lucia).

Seconda Sequenza: un uomo che cambia

La scena viene interrotta da un intervento del narratore:

"- Ma perché si prendeva tanto pensiero di Lucia? E perché, al primo avviso, s'era mosso con tanta sollecitudine, come a una chiamata del padre provinciale? E chi era questo padre Cristoforo? - Bisogna soddisfare a tutte queste domande"

Inizia qui la digressione su Fra Cristoforo...

...o forse bisognerebbe dire Ludovico.

Ditelo che siete un pochino curiosi

Passi scelti

Passi scelti

I.

Il ritratto di fra Cristoforo

Il padre Cristoforo da *** era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant’anni. Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s’alzava di tempo in tempo, con un movimento che lasciava trasparire un non so che d’altero e d’inquieto; e subito s’abbassava, per riflessione d’umiltà. La barba bianca e lunga, che gli copriva le guance e il mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate della parte superiore del volto, alle quali un’astinenza, già da gran pezzo abituale, aveva assai più aggiunto di gravità che tolto d’espressione. Due occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma talvolta sfolgoravano, con vivacità repentina; come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno, per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, di tempo in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buona tirata di morso.

II.

La storia di Ludovico

Il padre Cristoforo non era sempre stato così, né sempre era stato Cristoforo: il suo nome di battesimo era Lodovico. Era figliuolo d’un mercante di *** (questi asterischi vengon tutti dalla circospezione del mio anonimo) che, ne’ suoi ultim’anni, trovandosi assai fornito di beni, e con quell’unico figliuolo, aveva rinunziato al traffico, e s’era dato a viver da signore.

[...]

Lodovico aveva contratte abitudini signorili; e gli adulatori, tra i quali era cresciuto, l’avevano avvezzato ad esser trattato con molto rispetto. Ma, quando volle mischiarsi coi principali della sua città, trovò un fare ben diverso da quello a cui era accostumato; e vide che, a voler esser della lor compagnia, come avrebbe desiderato, gli conveniva fare una nuova scuola di pazienza e di sommissione, star sempre al di sotto, e ingozzarne una, ogni momento. Una tal maniera di vivere non s’accordava, né con l’educazione, né con la natura di Lodovico. S’allontanò da essi indispettito. Ma poi ne stava lontano con rammarico; perché gli pareva che questi veramente avrebber dovuto essere i suoi compagni; soltanto gli avrebbe voluti più trattabili. Con questo misto d’inclinazione e di rancore, non potendo frequentarli famigliarmente, e volendo pure aver che far con loro in qualche modo, s’era dato a competer con loro di sfoggi e di magnificenza, comprandosi così a contanti inimicizie, invidie e ridicolo. La sua indole, onesta insieme e violenta, l’aveva poi imbarcato per tempo in altre gare più serie.

Sentiva un orrore spontaneo e sincero per l’angherie e per i soprusi: orrore reso ancor più vivo in lui dalla qualità delle persone che più ne commettevano alla giornata; ch’erano appunto coloro coi quali aveva più di quella ruggine. Per acquietare, o per esercitare tutte queste passioni in una volta, prendeva volentieri le parti d’un debole sopraffatto, si piccava di farci stare un soverchiatore, s’intrometteva in una briga, se ne tirava addosso un’altra; tanto che, a poco a poco, venne a costituirsi come un protettor degli oppressi, e un vendicatore de’ torti. L’impiego era gravoso; e non è da domandare se il povero Lodovico avesse nemici, impegni e pensieri. Oltre la guerra esterna, era poi tribolato continuamente da contrasti interni; perché, a spuntarla in un impegno (senza parlare di quelli in cui restava al di sotto), doveva anche lui adoperar raggiri e violenze, che la sua coscienza non poteva poi approvare. Doveva tenersi intorno un buon numero di bravacci; e, così per la sua sicurezza, come per averne un aiuto più vigoroso, doveva scegliere i più arrischiati, cioè i più ribaldi; e vivere co’ birboni, per amor della giustizia. Tanto che, più d’una volta, o scoraggito, dopo una trista riuscita, o inquieto per un pericolo imminente, annoiato del continuo guardarsi, stomacato della sua compagnia, in pensiero dell’avvenire, per le sue sostanze che se n’andavan, di giorno in giorno, in opere buone e in braverie, più d’una volta gli era saltata la fantasia di farsi frate; che, a que’ tempi, era il ripiego più comune, per uscir d’impicci. Ma questa, che sarebbe forse stata una fantasia per tutta la sua vita, divenne una risoluzione, a causa d’un accidente, il più serio che gli fosse ancor capitato.

A seguito un diverbio nato per un futile motivo e trasformatosi in fretta in rissa armata, Ludovico uccide un nobile della zona "arrogante e soverchiatore di professione". E' l'evento che determina la sua conversione definitiva.

III.

La conversione

Lodovico non aveva mai, prima d’allora, sparso sangue; e, benché l’omicidio fosse, a que’ tempi, cosa tanto comune, che gli orecchi d’ognuno erano avvezzi a sentirlo raccontare, e gli occhi a vederlo, pure l’impressione ch’egli ricevette dal veder l’uomo morto per lui, e l’uomo morto da lui, fu nuova e indicibile; fu una rivelazione di sentimenti ancora sconosciuti. Il cadere del suo nemico, l’alterazione di quel volto, che passava, in un momento, dalla minaccia e dal furore, all’abbattimento e alla quiete solenne della morte, fu una vista che cambiò, in un punto, l’animo dell’uccisore. Strascinato al convento, non sapeva quasi dove si fosse, né cosa si facesse; e, quando fu tornato in sé, si trovò in un letto dell’infermeria, nelle mani del frate chirurgo (i cappuccini ne avevano ordinariamente uno in ogni convento), che accomodava faldelle e fasce sulle due ferite ch’egli aveva ricevute nello scontro. Un padre, il cui impiego particolare era d’assistere i moribondi, e che aveva spesso avuto a render questo servizio sulla strada, fu chiamato subito al luogo del combattimento. Tornato, pochi minuti dopo, entrò nell’infermeria, e, avvicinatosi al letto dove Lodovico giaceva, - consolatevi - gli disse: - almeno è morto bene, e m’ha incaricato di chiedere il vostro perdono, e di portarvi il suo -. Questa parola fece rinvenire affatto il povero Lodovico, e gli risvegliò più vivamente e più distintamente i sentimenti ch’eran confusi e affollati nel suo animo: dolore dell’amico, sgomento e rimorso del colpo che gli era uscito di mano, e, nello stesso tempo, un’angosciosa compassione dell’uomo che aveva ucciso. - E l’altro? - domandò ansiosamente al frate.

- L’altro era spirato, quand’io arrivai.

Riflettendo quindi a’ casi suoi, sentì rinascere più che mai vivo e serio quel pensiero di farsi frate, che altre volte gli era passato per la mente: gli parve che Dio medesimo l’avesse messo sulla strada, e datogli un segno del suo volere, facendolo capitare in un convento, in quella congiuntura; e il partito fu preso. Fece chiamare il guardiano, e gli manifestò il suo desiderio. N’ebbe in risposta, che bisognava guardarsi dalle risoluzioni precipitate; ma che, se persisteva, non sarebbe rifiutato.

[...]

contento finalmente, e più di tutti, in mezzo al dolore, il nostro Lodovico, il quale cominciava una vita d’espiazione e di servizio, che potesse, se non riparare, pagare almeno il mal fatto, e rintuzzare il pungolo intollerabile del rimorso. Il sospetto che la sua risoluzione fosse attribuita alla paura, l’afflisse un momento; ma si consolò subito, col pensiero che anche quell’ingiusto giudizio sarebbe un gastigo per lui, e un mezzo d’espiazione. Così, a trent’anni, si ravvolse nel sacco; e, dovendo, secondo l’uso, lasciare il suo nome, e prenderne un altro, ne scelse uno che gli rammentasse, ogni momento, ciò che aveva da espiare: e si chiamò fra Cristoforo.

Il perdono

lettura dal libro

Due punti fondamentali

Temi fondamentali

La conversione

  • "L'irrequietudine del giovane che non sa adeguarsi all'etichetta del bel mondo si trasforma, dopo la conversione, in una religiosità inquieta e incapace di riposo, sempre attiva nel porgere sostegno ed aiuto a chi ne ha bisogno"
  • La conversione produce movimento.
  • "...fra Cristoforo è il personaggio della rottura degli schemi, è il cappuccino che sa essere forte con i forti e umile con gli umili, è soprattutto il personaggio a cui è affidata la missione etica del romanzo, che poggia sull'esercizio della pazienza e sulla pratica del perdono"

Il perdono

"Il perdono è l'altro gesto che rimette in moto la storia (e la Storia): fino a che non si perdona il proprio nemico, si resta legati a lui e si ragiona come lui [...] Il narratore ci dice che il perdono ha, come la conversione, una valenza non solamente religiosa e intima, ma anche narrativa e relazionale: rimette in moto la storia, sbloccandola dallo schematismo retributivo e circolarmente bloccante dell'occhio per occhio, dente per dente, che ancora domina la nostra concezione di giustizia e che rinchiude offensore e vittima in ruoli dai quali non riescono più a uscire"

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