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LESSON PLAN

DARIO DE STASIO

REBECCA HASSLER

3G

MICHELOZZO

Michelozzo di Bartolomeo Michelozzi detto Michelozzo fu architetto e scultore. Egli non solo fu allievo del Ghiberti, ma collaborò anche in varie sue imprese, come la Porta settentrionale del Battistero di Firenze.

MICHELOZZO

Più interessante è però la sua attività di architetto: l'opera di Michelozzo è significativa perchè in essa l'eredità del pacato Gotico fiorentino si concilia con le sperimentazioni brunelleschiane.

PALAZZO MEDICI-RICCARDI

GHIBERTI

Lorenzo Ghiberti è stato uno scultore, orafo, architetto e scrittore d'arte italiano. La sua formazione avvenne probabilmente nella bottega di un orafo. In questa bottega egl' ottenne una straordinaria sapienza tecnica e una profonda familiarità con i modi gotico-internazioni, dei quali Ghiberti fu il massimo rappresentate a Firenze.

OLTRE FIRENZE

MILANO

Ma l'importanza di Michelozo va oltre la sua regione: infatti ebbe un'importante ruole in Lombardia, poichè con i progetti come quello del Banco Mediceo e quello della Cappella Portinari in Sant'Eustorgio, introdusse precocemente a Milano esempi della nuova architettura fiorentina.

PALAZZO MEDICI-RICCARDI

Il peso che Michelozzo esercitò sugli sviluppi successivi dell'architettura è dovuto anche al fatto che le sue realizzazioni più importanti furono commissionate da Cosimo il Vecchio, e il prestigio ne aumentò la fama. Rientrato dall'esilio, nel quale Michelozzo lo aveva accompagnato, Cosimo gli affodò una fitta sequenza di incarichi, tra i quali primeggia la costruzione del palazzo di famiglia, in via Larga- noto ora come palazzo Medici-Riccardi, poichè i Riccardi lo acquistarono e lo modificarono parzialmente.

PALAZZO MEDICI-RICCARDI

La forma del palazzo è simile a quella di cubo, forato al centro da un cortile porticato che dà accesso a un giardino.

L'esterno è diviso in 3 piani da cornici a dentelli di aggetto crescente;

Al piano terra si apre una successione di semplici arconi, mentre due ordini di bifore scandiscono i piani superiori.

STRUTTURA

Le scelte costruttive ci danno modo di apprezzare una delle caratteristiche salienti del progettista: la sua capacità di organizzare con una sintassi aggiornata modelli che trae dal ricchissimo repertorio antico e dalla più vicina tradizione locale.

LEON BATTISTA ALBERTI

La sua importanza si colloca su un orizzonte da subito più ampio rispetto alla città di Firenze, poiché nei suoi frequenti soggiorni presso le corti più in vista della penisola seppe diffondere le idee maturate nella città toscana nei decenni precedenti.

LEON BATTISTA ALBERTI

Figlio illegittimo, nacque a Genova, visse per qualche tempo a Padova e studiò a Bologna. Arrivò a Firenze però continuò a spostarsi per avere una visione più ampia dell'architettura. Viene infatti considerato come l'ape impollinatrice del Rinascimento in quanto contribuì a diffondere le novità dei padri fondatori.

LE CORTI

SANTA MARIA NOVELLA

TEMPIO MALATESTIANO

PALAZZO RUCELLAI

UN ARTISTA ALLE CORTI DEI PRINCIPI

Figlio illegittimo di una grande famiglia Fiorentina in esilio, Alberti nacque a Genova nel 1404. Egli continuò a spostarsi, acquisendo così una visione dell'architettura più ampia di quella di tutti gli architetti suoi contemporanei. Seguendo il papa Eugenio IV gli scrisse il primo dei suoi trattati dedicati all'arte, il DE PICTURA. Al periodo del soggiorno a Roma risale il fondamentale trattato DE RE AEDIFICATORIA.

TEMPIO MALATESTIANO

Il primo intervento architettonico documentato di Alberti fu la chiesa di San Francesco che poi fu ribattezzata tempio Malatestiano in quanto Malatesta rese l'edificio un monumento celebrativo di se stesso. Egli commissionato da Sigismondo, signore di Rimini, avvolse l'edificio preesistente in un guscio marmoreo, senza toccarlo. Alla morte di Sigismondo i lavori verranno interrotti, di fatti la costruzione è incompleta.

la seconda arcata centrale richiama alla facciata della basilica di San Marco a Venezia

la facciata non si rifà a quelle dei templi classici ma riprende il tema dell'arco di Augusto a Rimini

mondanatura che sui fianchi diventa prima cornice

guscio marmoreo che avvolge l'edificio

3 archi inquadrati in un ordine di semicolonne

tribuna cupolata

  • serie continua di arcate molto profonde che richiamano gli acquedotti romani (vi sono riposti dei sarcofagi)
  • arcate su pilastri che imitano il Colosseo

qui si dovevano collocare i sarcofagi di Sigismondo e Augusto

INTERNO

L'interno venne inizialmente affidato al veronese Matteo de' Pasti, che lavorò alla sistemazione delle cappelle, riducendo al minimo gli interventi strutturali: mantenne intatti gli archi di accesso a sesto acuto, inquadrandoli con paraste scanalate a due ordini sovrapposti. I temi, per lo più profani, ruotano intorno a Sigismondo, la cui iniziale - intrecciata a quella di Isotta - compare infinite volte, in un vortice celebrativo che tocca il suo apice nella cappella di San Sigismondo.

soffitto a cassettoni

archi di accesso alle cappelle a sesto acuto

la grammatica costruttiva antica viene sommersa dalla decorazione scolpita

PALAZZO RUCELLAI

Il punto di riferimento locale era Palazzo Medici- Riccardi di Michelozzo. Il palazzo rinascimentaleq espressione dell’ordine urbano. Il fiorentino Palazzo Rucellai è stato progettato nel 1447 da Leon Battista Alberti, che ne affidò la realizzazione a Bernardo Rossellino, tra il 1450 e il 1460. Alberti aveva definito la tipologia del palazzo residenziale urbano nel suo trattato De re aedificatoria, pubblicato nel 1452. Egli lo concepì con un volume netto, dalla semplice forma parallelepipeda, derivata dal lotto di terreno per lo più regolare. Il palazzo, infatti, deve integrarsi in modo armonico e funzionale all’interno della città. La facciata, con il disegno regolare delle sue parti, deve rispecchiare la scansione orizzontale dei piani, ma deve anche guidare a comprendere l’organizzazione interna degli

spazi. Questa concezione deriva dall’architettura romana, che viene resa attuale, sia per quanto riguarda l’ordine compositivo che per i princìpi costruttivi.

L’ordine geometrico della facciata

La facciata di Palazzo Rucellai è suddivisa da un reticolo geometrico regolare, al

cui interno si inseriscono le finestre bifore.

Questo reticolo è definito orizzontalmente

dalle cornici marcapiano (cioè che scandiscono i piani), verticalmente da lesene.

L’utilizzo di elementi e regole classici

Le lesene si concludono con capitelli dei

tre principali ordini classici, ovvero dorico,

ionico e corinzio.

Alberti ripropone, dunque, la sovrapposizione degli ordini architettonici antichi,

applicata nell’architettura romana, ad

esempio nell’Anfiteatro Flavio (noto come

Colosseo).

Il bugnato, tecnica costruttiva romana

La superficie della facciata è percorsa da

un bugnato liscio, che richiama le tecniche

costruttive romane.

Il bugnato crea, inoltre, un effetto di regolarità delle superfici.

La purezza della forma e della geometria

Il cornicione conclusivo, alla sommità della

facciata, è aggettante (ovvero sporgente),

e ciò contribuisce a rendere ancora più

chiara e regolare la forma del palazzo.

Il motivo gotico delle finestre bifore acquisisce qui un nuovo ordine geometrico, poiché si conclude con un arco a tutto sesto.

Il ritmo pacato dell’insieme

L’alternanza di lesene e di finestre bifore

determina un ritmo pacato ed uniforme.

Il piano inferiore è interrotto da due eleganti

portali architravati, che producono un effetto di ordine ed eleganza, ma non di monumentalità.

Il palazzo e la vita cittadina

Lo zoccolo esterno, in basso, è percorso da

panchine, come se volesse tramandarci

la vitalità della vita cittadina. Il loro schienale è trattato con un motivo a rombi, che

ricorda l’opus reticulatum dei costruttori romani.

SANTA MARIA NOVELLA

La Chiesa di Santa Maria Novella era il centro dell'ordine domenicano a Firenze. La chiesa conserva uno stile romanico all'esterno con i marmi bianchi e verdi con disegni geometrici ed uno stile gotico al suo interno. La sua costruzione fu iniziata nel 1246 e completata nella prima metà del 1300 da Jacopo Talenti: la bellissima facciata fu ripresa nella metà del XV secolo da Leon Battista Alberti.

All'interno, nella sacrestia, è possibile ammirare la croce dipinta da Giotto per il convento domenicano di Santa Maria Novella. La decorazione interna è stata curata dai maggiori artisti del XIV secolo. La cura e la bellezza dei suoi ornamenti può essere riassunta con il nome di Michelangelo il quale chiamava la chiesa di Santa Maria Novella 'La mia sposa'. All'interno è presente il chiostro e sul lato settentrionale il Convento (Convento di Santa Maria Novella).

URBINO

PIERO DELLA FRANCESCA

CORTE:

Egli frequentò Urbino per pochi anni e il suo rapporto con la corte non è affatto chiaro.

Piero della Francesca (1412 circa-1492) è di solito inserito tra gli interpreti più puri del clima intellettuale urbinate, inteso come ricerca di un'arte di assoluta precisione matematica e priva di ornamenti.

Il merito dell'innalzamento di Urbino al rango di capitale va a Federico da Montefeltro: egli fece costruire all'interno del palazzo ducale uno studiolo, ambiente privato dove vi è presente un suo ritratto fatto dallo spagnolo Pedro Berreguete.

URBINO: UNA CAPITALE DEL RINASCIMENTO

Già nei dipinti giovanili incontriamo caratteri che saranno poi costanti nell'opera matura e che costituiranno il terreno d'incontro con la corte di Urbino.

Assessment activity 1

PALAZZO DUCALE

Il grande palazzo ducale venne esaltato per le sue dimensioni e la sua autosufficienza nella costruzione, simbolo del potere ducale. Questo luogo è ideale per leggere i mutamenti delle passioni di Federico. Urbino era una città di forme gotiche e si dipanava sulla cima di due colli contigui. La politica edilizia e urbanistica di Federico non punta a cancellarne i caratteri medievali anzi vi si adegua.

la facciata dei Torricini che prospetta su uno strapiombo.

piano nobile scandito da lesene e finestre architravate

piano terra caratterizzato da un portico su colonne che reggono archi a tutto sesto

CORTILE

L'alternanza studiata di pieni e di vuoti risponde a un giusto equilibrio per le forme nitide.

la struttura è estremamente semplice e in mattone

STUDIOLO

Questo ambiente, uno dei più celebri del palazzo, testimonia una nuova stagione del gusto di Federico, indirizzato verso le più innovative correnti fiorentine. L'ambiente dello Studiolo, decorato entro il 1474 con dipinti e tarsie lignee, è piccolo, asimmetrico e decorato dal pavimento al soffitto, e intriga i visitatori con un continuo gioco di spazi, la cui illusione è resa più forte dal contrasto tra i colori brillanti dei ritratti.

Corrono 28 ritratti di uomini illustri antichi e moderni , a opera del fiammingo Giusto di Gand e dello spagnolo Berruguete.

La parte inferiore della stanza è decorata con un parametro ligneo intarsiato realizzato dal fiorentino Baccio Pontelli che finge diversi oggetti.

RITRATTO DI FEDERICO CON IL FIGLIO GUIDOBALDO

Il "doppio ritratto" raffigura Federico da Montefeltro con il figlio Guidobaldo, ritratto all'apparente età di 4 o 5 anni. Considerando il dipinto come nato nel 1472, il dipinto è databile intorno agli anni 1476-1477.

Il signore di Urbino è seduto su una sorta di trono ed è assorto nella lettura di un volume manoscritto, che tiene tra le mani.

Il Duca indossa l'armatura, la mantella di broccato rosso e una pelliccia di ermellino, sovrastata a sua volta dal collare dell'Ermellino, l'onorificenza conferita a Federico dal Sovrano di Napoli nel 1474.

Accanto a Federico sta il piccolo Guidobaldo che impugna il bastone del comando con chiaro riferimento alla sua futura eredità dinastica.

Ha la gamba sinistra distesa e mette in mostra la giarrettiera, onorificenza nobiliare di grande prestigio donatagli dal re d'Inghilterra

Il ritratto di Federico è ricco di simboli del suo potere, dei suoi interessi culturali e del suo prestigio. Esso rientra nella tipologia della ritrattistica ufficiale di corte, che presenta il Signore di Urbino come il " principe saggio" capace di dedicarsi sia alla guerra, sia allo studio.

Sono inoltre visibili elementi di chiara derivazione bellica, tra cui la spada legata alla vita del duca e l'elmo posato a terra.

OPERE

LA PALA MONTEFELTRO

La Pala Montefeltro era collocata sull'altare maggiore della Chiesa di San Bernardino, mausoleo della famiglia ducale.

Nella tavola assistiamo a una Sacra conversazione ambientata all'interno di una chiesa. Un gruppo solenne di angeli e santi prende posto a semicerchio intorno alla Madonna con il Bambino.

Davanti a loro sta Federico in atto di offrire le sue armi alla Vergine. Le figure sembrano disporsi verso il fondo di un ambiente a forma di croce, un transetto chiuso da un'abside ellittica; il catino dell'abside è occupato da una grande conchiglia da cui pende un bianco uovo di struzzo.

La FLAGELLAZIONE è uno tra i dipinti più enigmatici dell'artista.

A destra tre personaggi in primo piano sostano immobili. Essi non solo non sembrano avere relazioni tra di loro, ma non si interessano neppure della scena che si svolge alle loro spalle.

L'episodio del Vangelo che dà il titolo al dipinto si svolge sulla sinistra, in secondo piano, all'interno di uno spazio porticato molto ricco: il pavimento è un mosaico di marmi bianchi e neri, e la parete di fondo è rivestita di marmi colorati. Al centro di questo porticato si trova Cristo tra due flagellatori. Accanto a lui c'è Pilato, abbigliato come un imperatore bizantino.

Anche l'illuminazione contribuisce a farci percepire l'importanza di quest'ultima, perché una lama di luce molto forte investe Cristo e la porzione di spazio in cui si trova.

L'ENIGMA DEL DIPINTO

Ci sono diverse interpretazioni sul senso complessivo del dipinto:

- alcuni la ritengono davvero, come vuole il titolo, una Flagellazione, seppure molto articolata dal punto di vista della costruzione;

- altri vedono invece nelle tre figure sulla destra il vero centro del dipinto: la Flagellazione sarebbe una sorta di evocazione che conterrebbe il vero messaggio dell'opera;

- secondo altri ancora si tratterebbe di personaggi legati all'attualità politica: il cardinale Bessarione e Ludovico Gonzaga. Questa interpretazione sarebbe sostenuta dal fatto che nella figura di Pilato andrebbe individuato un altro ritratto dell'imperatore Giovanni VIII Paleologo.

Nessuna di queste teorie risulta del tutto e con sicurezza convincente. L'arcano fascino della Flagellazione resta ancora intatto.

LA CORTE MANTOVANA

MANTEGNA

MANTEGNA

Con l'arrivo di Mantegna a Mantova nel 1460 si inaugura quello che sarebbe stato il più lungo e continuativo rapporto di un artista quattrocentesco con una corte signorile. Mantegna infatti rimase a Mantova sino alla morte. Ricoprì la carica di pittore ufficiale della corte ducale, al servizio di 3 successivi membri della famiglia:

LUDOVICO III, FEDERICO e FRANCESCO.

Andrea Mantegna(1431-1506) giunse a Padova giovanissimo e rimase nella bottega di Squarcione fino al 1447, quando ruppe con il maestro. Di quanto offriva la città non gli sfuggì nulla: comprese a fondo le opere di Donatello, recependone la potenza plastica delle figure e la capacità di mescolare rigore prospettico e citazioni dall'antico per creare scenografie stupefacenti.

MORTE DELLA VERGINE

LA MORTE DELLA VERGINE

Il primo incarico di Mantegna fu la decorazione del Castello, di cui rimangono alcune tavole, tra cui la Morte della Vergine, conservata presso la Pinacoteca di Ferrara.

La scena si svolge in una stanza impostata su un punto di vista ribassato e caratterizzata dal consueto rigore prospettico, in cui il succedersi dei piani è sottolineato dalla pavimentazione, dai pilastri e dalla disposizione delle figure al cospetto del letto funebre.

La nobile naturalezza (i laghi di Mantova con il borgo di san Giorgio sullo sfondo) diverrà la cifra stilistica del pittore, che non l'abbandonerà nemmeno in opere di destinazione chiaramente pubblica.

Gli apostoli sono presentati in atteggiamenti naturali, rivestiti di colori luminosi dai paesaggi chiaroscurali che sottolineano l'interpretazione intima del tema.

CAMERA DEGLI SPOSI

LA CAMERA DEGLI SPOSI

nelle vele e nelle lunette sono dipinte le imprese di casa Gonzaga

finge stucchi a rilievo che reggano ritratti di imperatori romani ( Cesare, Ottaviano, Augusto)

Quella che oggi è nota come Camera degli sposi è una piccola stanza quadrata affrescata al piano nobile delle terre nord del Castello di San Giorgio, che in passato era utilizzata tanto come camera da letto quanto come luogo di rappresentanza e i sonetti degli affreschi sono di tipo aulico e celebrativo. La camera degli sposi è il capolavoro di Mantegna che per secoli costituirà un riferimento esemplare per la decorazione grazie alla ricchezza di contenuti simbolici e la capacità di trasportare l'esaltazione dinastica su un piano eroico e ideale.

basamento policromo

LA CORTE

Sulla parete nord osserviamo la CORTE riunita nel momento in cui il marchese riceve la notizia delle pessime condizioni di salute di Francesco Sforza, e quindi l'invito a recarsi a Milano. Sfruttando come un podio la fronte dell'ampio camino, il pittore ambienta la scena in uno spazio sopraelevato. E' un vero ritratto collettivo: il marchese Ludovico II e la moglie Barbara di Brandeburgo sono attorniati da figli, familiari e cortigiani.

L'INCONTRO DI LUDOVICO CON IL FIGLIO FRANCESCO

A fianco, sulla parete ovest, va in scena l'INCONTRO DI LUDOVICO CON IL FIGLIO FRANCESCO. Ludovico e Federico I sono raffigurati di profilo ai due lati opposti della scena. Al centro, il cardinale Francesco tiene per mano il fratello Ludovico che dà la mano al nipotino Sigismondo.

Ludovico Francesco I

L'OCULO

Il gioco di scambi tra spazio reale e spazi dipinti, che prosegue le ricerche illusionistiche avviate dall'artista negli anni precedenti, raggiunge il culmine nel finto OCULO aperto sul cielo. L'oculo, insieme ai lacunari popolati da busti di imperatori romani, alle decorazioni marmoree che fanno da sfondo al gruppo dei Gonzaga, sono precise rievocazioni dall'antico e mirano a fare della Camera degli sposi il corrispettivo di un'aula antica, nella la vita di corte rivendica la nobiltà del passato classico.

CRISTO MORTO

il corpo è steso su una lastra rosata (pietra dell'unzione)

CRISTO MORTO

Il cristo morto è uno dei dipinti più celebrati della pittura quattrocentesca, in particolare per il suo scorcio prospettico.

è un'opera destinata alla devozione privata, come ci suggeriscono la tecnica e l'impaginazione, che avvicina la scena allo spettatore.

è eseguito con tempera non verniciata

il campo pittorico è dominato dal corpo di Cristo

l'inquadratura ravvicinatissima rende protagonista la pietra e taglia i volti dei dolenti (Maria, Giovanni e più in là la Maddalena)

Cristo e le figure dolenti sono costruite secondo punti di fuga diversi: il primo è più alto del secondo per mantenere la riconoscibilità della figura principale

INTRECCI DI CULTURE NELL'ARTE DI NAPOLI

LA SALA DEI BARONI

Le prime cure di Alfonso I d'Aragona, una volta insediato sul trono di Napoli, andarono a CASTEL NUOVO, anche conosciuto come Maschio Angioino, che era insieme sede principesca e fortificazione.

E' uno degli ambienti più importanti: si tratta di uno spazio a pianta quadrata coperto da una volta a crociera ottagonale stellata, a metà della quale corre una galleria di finestre.

NAPOLI

Al centro della volta la chiave è sostituita da un oculo, come nel Pantheon di Roma.

Sulla scala che conduceva dal cortile alla al salone, stavano i busti di Traiano e Adriano: perciò si pensa che la sala alludesse al sovrano come erede dei migliori imperatori romani.

Prima di un disastroso incendio, le pareti erano rivestite da arazzi con Storie Bibliche, il pavimento era di maioliche azzurre, negli scomparti delle volte si alternavano imprese e stemmi policromi.

STRUTTURA

Nell'attico sono raffigurate le virtù che un re cristiano deve possedere- Giustizia, Temperanza, Fortezza e Prudenza- mentre il timpano, che ospita le figure di due divinità pluviali, è dominato da una statua di San Michele.

STRUTTURA

Il monumento è costituito da due archi sovrapposti retti da colonne di ordine corinzio al livello inferiore e ionico in quello superiore, ed è concluso da una sequenza di nicchie coronate da un timpano curvilineo.

IL NEOPLATONISMO

SANDRO BOTTICELLI

I massimi esponenti del neoplatonismo furono Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola. Questi offrirono la più convincente rivalutazione della cultura classica e godevano dei favori di Lorenzo e delle riunioni dell'Accademia neoplatonica. Il neoplatonismo propose una teologia che unisse il cristianesimo alla cultura classica ispirandosi a Platone.

NEOPLATONISMO

Sandro Botticelli, nome con cui è noto il pittore fiorentino Sandro Filepepi, fu l'artista forse più legato al sogno di armonia della cerchia medicea, perciò alla morte di Lorenzo, fu tra i più investiti dalla crisi. L'immagine più diffusa di Botticelli è quella che ci viene dagli studi ottocenteschi che lo vedono come un pittore di pure bellezze spirituali.

PRIMAVERA

LA PRIMAVERA

La primavera fu commisionata a Botticelli nel 1478 dal cugino di Lorenzo il Magnifico.

Nella tavola le figure sono poste davanti a un boschetto di aranci e allineate su un prato cosparso di fiori. I diversi gruppi non sono collegati dallo svolgersi di un'azione, ma da una sorta di sinuoso andamento a onda che procede tra stasi e brusche accelerazioni e trova nella figura di Venere un punto di equilibrio.

Tra le interpretazioni:

- le più semplici vedono un gruppo di giovani fiorentini mascherati per il Carnevale;

- altre vedono il ritratto sotto spoglie mitologiche di alcuni componenti della cerchia medicea;

- Nel 1893 ABY WARTBURG interpretava quest'opera e la Nascita di Venere come una sorta di dittico dedicato a Venere, che raffigura la dea nei due momenti della nascita e dell'ingresso nel proprio regno.

La lettura va da destra verso sinistra:

af

Il dipinto, tra le opere più celebri del 1400, è esemplare della pittura di Botticelli e del clima artistico fiorentino per la scelta del mito come tramite di verità morali e per la capacità di riproporre motivi antichi con linguaggio moderno.

schema dei personaggi

NASCITA DI VENERE

LA NASCITA DI VENERE

Al ritorno di un viaggio fatto con il Ghirlandaio. dipinse la Nascita di Venere. Anche in questo caso il tema mitologico cela un'allegoria neoplatonica fondata sulla visione dell'amore come forza motrice. Venere nuda, in piedi su una conchiglia, scaldata dal soffio fecondatore di Zefiro, approda a una spiaggia dove una delle Ore, simbolo dei bei giorni di primavera, è in atto di gettarle sulle spalle un manto ricavato.

Rispetto ai dipinti precedenti si accentuano però gli elementi di stilizzazione: si allude senza rigore alla profondità spaziale, le onde divengono un perfetto merletto, il chiaroscuro si accentua penalizzando la resa del volume, mentre è enfatizzato il continuo, fluido scorrere dei contorni

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