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LOCUS AMOENUS

Nella letteratura italiana dei secoli XIV e XV

Locus amoenus

È un topos letterario che indica un luogo ideale, collocato in un perfetto mondo di Natura ed estraneo alle tensioni del mondo urbano e cittadino. Qui si svolge la vita serena e pacifica di contadini-pastori che si dedicano al canto, alla poesia e ai piaceri disinteressati dell’amore.

Troviamo molti exempla di questo espediente non solo nell'ambito letterario ma anche in quello delle arti figurative...

In questo tour virtuale ci soffermeremo principalmente sui loci amoeni protagonisti della letteratura italiana dal XIV al XV secolo.

Dante Alighieri

Dante

Alighieri

1

Dante avanza «vago», cioè desideroso, in questa foresta divina, viva, rigogliosa, scura e cupa. Le sensazioni che essa

provoca sono molto gradevoli: visive, olfattive, tattili ed uditive.

L’aria si presenta molto gradevole, le fronde degli alberi si piegano tanto che gli uccellini non possono continuare a cantare. Quest’aria, quindi, non è altro che un «soave vento» che sbatte sulla fronte di Dante.

La musicalità è perfetta: gli uccellini sono gli esecutori del motivo principale e le fronde sono il sottofondo di accompagnamento.

Il luogo non è altro che il locus amoenus della tradizione classica, cioè il giardino immerso in un’eterna primavera, questa volta rivisitata in chiave religiosa cristiana, poiché, a differenza del mondo pagano, ora si ha la consapevolezza del peccato. Non è, quindi, un semplice scenario naturalistico attraente, ma un ambiente seducente con precisi significanti allegorici morali e religiosi.

Un’altra tipica componente di questo luogo incantevole è il ruscello la cui acqua è di una purezza tale che la più limpida del mondo terreno sembrerebbe inquinata rispetto a quella. In seguito sarà chiarito che il ruscello è il

fiume Letè, che ha la facoltà di cancellare il ricordo dei peccati.

XXVIII,

Purgatorio

2

3

Vago già di cercar dentro e dintorno

la divina foresta spessa e viva,

ch’a li occhi temperava il novo giorno, 3

sanza più aspettar, lasciai la riva,

prendendo la campagna lento lento

su per lo suol che d’ogne parte auliva. 6

Un’aura dolce, sanza mutamento

avere in sé, mi feria per la fronte

non di più colpo che soave vento; 9

per cui le fronde, tremolando, pronte

tutte quante piegavano a la parte

u’ la prim’ombra gitta il santo monte; 12

non però dal loro esser dritto sparte

tanto, che li augelletti per le cime

lasciasser d’operare ogne lor arte; 15

ma con piena letizia l’ore prime,

cantando, ricevieno intra le foglie,

che tenevan bordone a le sue rime, 18

tal qual di ramo in ramo si raccoglie

per la pineta in su ’l lito di Chiassi,

quand’Ëolo scilocco fuor discioglie. 21

Già m’avean trasportato i lenti passi

dentro a la selva antica tanto, ch’io

non potea rivedere ond’io mi ’ntrassi; 24

ed ecco più andar mi tolse un rio,

che ’nver’ sinistra con sue picciole onde

piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo. 27

Tutte l’acque che son di qua più monde,

parrieno avere in sé mistura alcuna

verso di quella, che nulla nasconde, 30

avvegna che si mova bruna bruna

sotto l’ombra perpetüa, che mai

raggiar non lascia sole ivi né luna. 33

Coi piè ristetti e con li occhi passai

di là dal fiumicello, per mirare

la gran varïazion d’i freschi mai; 36

Il giardino dell'Eden, 1828, Thomas Cole

Francesco Petrarca

Francesco

Petrarca

Chiare, fresche e dolci acque

In questa canzone la natura è stilizzata così come la donna amata dal poeta. Le componenti del paesaggio sono quelle abituali del topos (acque limpide, erbe fiorite, aria serena, rami da cui piovono fiori). Questa descrizione non si sofferma sulla concretezza degli elementi, ma è molto vaga e astratta, potrebbe infatti trovarsi da nessuna parte o dovunque. Ciò nonostante, questo locus amoenus è stato riconosciuto da alcuni nelle campagne di Valchiusa.

Da’ be’ rami scendea

(dolce ne la memoria)

una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo;

et ella si sedea

humile in tanta gloria,

coverta già de l’amoroso nembo.

Qual fior cadea sul lembo,

qual su le treccie bionde,

ch’oro forbito et perle

eran quel dì a vederle;

qual si posava in terra, et qual su l’onde;

qual con un vago errore

girando parea dir: Qui regna Amore

1

L'immagine della pioggia di fiori che scende e si posa sulla bella Laura petrarchesca può essere paragonata all'iconica immagine che vede Mena Suavi, protagonista del film American Beauty, ricoperta da una pioggia di petali di rosa.

2

Angela Hayes nel film American Beauty,

1999, diretto da Sam Mendes

Giovanni Boccaccio

Giovanni

Boccaccio

La descrizione della cornice avviene nella terza giornata prima che la compagnia riprenda a narrare le novelle. Boccaccio ritrae la brigata in paesaggi luminosi e verdeggianti.

È l'alba: “L'aurora già di vermiglia cominciava, appressandosi il sole, a divenir rancia (...)”. A questo punto la compagnia si mette in marcia, e viene eseguita la prima descrizione del luogo.

“La reina con lento passo, accompagnata e seguita dalle sue donne e dai tre giovani, alla guida del canto di forse venti usignoli e altri uccelli, per una vietta non troppo usata ma piena di verdi erbette e di fiori, li quali per lo sopravegnente sole tutti s'incominciavano a

aprire, prese il cammino verso occidente (...)”.

2

Cornice del Decameron

3

La compagnia, che si inoltra per la stradina, è immersa nel verde ed è circondata dai fiori che si aprono. Il canto degli usignoli e di altre varietà di uccelli allieta il cammino e conferisce un clima di serenità. Poco più avanti, Boccaccio descrive l'ingresso in uno dei giardini limitrofi al palazzo da poco raggiunto: le vie sono ampie e dritte e coperte di grappoli d'uva. Il giardino è cosparso di fiori e ed ospita molte qualità di piante. Viene descritta anche una fonte da cui zampilla dell’acqua che poi scorre lungo i prati. Lo spettacolo che si prospetta dinanzi sembra quasi richiamare l’Eden biblico.

“Nel mezzo del quale (...) era un prato di minutissima erba e verde tanto, che quasi nera parea, dipinto tutto forse di mille varietà di fiori, chiuso dintorno di verdissimi e vivi aranci e cedri, li quali, avendo i vecchi frutti ed i nuovi e i fiori ancora, non solamente piacevole ombra agli occhi ma ancora all'odorato facevan piacere."

1

A tale from Decameron, 1916, J. Waterhouse.

Il locus amoenus del Decameron ha proprio le fattezze di un paradiso.

D'altra parte, lo stesso Boccaccio, dopo aver riferito della fonte, scrive:

“Il vedere questo giardino, il suo bello ordine, le piante e la fontana co' ruscelletti procedenti da quella tanto piacque a ciascuna donna e a' tre giovani, che tutti cominciarono a affermare che, se Paradiso si potesse in terra fare, non sapevano conoscere che altra forma che quella di quel giardino gli si potesse dare (...).”.

Nella medesima opera possiamo riscontrare un altro esempio di locus amoenus diverso dal precedente. Nella terza novella dell’ottava giornata infatti si parla di un paese immaginario chiamato “di Bengodi” dove si poteva trovare benessere e piacere. Questo è un exemplum differente da tutti gli altri perché non ritroviamo gli elementi classici del topos (specchi d’acqua o ruscelli, prati, fiori e prati), bensì, il benessere è realizzato dall’abbondanza culinaria che il paesino offre, infatti in quel tempo di carestia e di peste questo scenario immaginario, che ricorda molto il Paese della Cuccagna, rappresentava la realizzazione di un sogno ameno.

III novella dell'VIII giornata del Decameron

Paese di Bengodi

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“…nella quale si legano le vigne con le salsicce, e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta, ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciol d’acqua”.

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Paese della Cuccagna,

1567, Pieter Bruegel Il Vecchio

Matteo Maria Boiardo

Matteo Maria Boiardo

Già vidi uscire de l'onde una matina

Il sonetto appartiene al primo codice degli Amorum Libri del poeta italiano Matteo Maria Boiardo.

Viene proposta una rappresentazione piacevole e fresca della primavera, con metaforica descrizione del sole e delle rose nel giardino. Sullo sfondo primaverile si adagia una bella donna che in bellezza supera lo spettacolo naturale rappresentato. Le prime strofe sono legate da alcuni elementi che caratterizzano la descrizione: il sole - le rose fiammeggianti - l’erba. La quarta e ultima strofa raccoglie tutti e tre gli elementi in contrapposizione con la figura della donna. Il sonetto non presenta la marcata sfumatura malinconica dei componimenti precedenti in cui predominano le sofferenze e le complicazioni amorose, bensì si assiste ad una ripresa della vena edonistica che caratterizza grande parte della produzione poetica rinascimentale.

Già vidi uscir de l'onde una matina

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Questo aspetto si riflette a livello testuale con l’utilizzo di un testo di rapida lettura, scorrevolezza e sensualità. Quest'ultima è generata dalla presenza di descrizioni metaforiche, dove primeggiano i colori caldi - l’oro e il rosso - ed elementi che rimandano ad essi come ad esempio il fuoco che incendia le bellissime rose rosse . Si contrappone al rosso infuocato il verde della spina, ma in modo più dolce e aggraziato, poiché associato alla "molle" erba primaverile.

La narrazione si distacca anche dalla visione floreale di Poliziano, il quale vede nel fiore bellissimo appena sbocciato la fugacità del piacere, che in Boiardo si trasforma in un senso di vitale ottimismo.

Orlando innamorato

Orlando innamorato

Nell' Orlando innamorato, così come avveniva spesso nei poemi epici cavallereshi medievali, compaiono diversi loci amoeni, descritti sinteticamente o rapidamente abbozzati.

Uno tra questi è il locus classico dove scorre la riviera dell'amore:

"Così pensoso giunse a una riviera

D' un acqua viva cristallina e pura:

Tutti li fior che mostra primavera

Avea quivi dipinto la natura

E faceano ombra sopra quella riva

Un faggio, un pino ed una verda oliva.(...)"

Si tratta di una rappresentazione convenzionale, poco realistica, come si può evincere dal verso di chiusura dell' ottava, dove sono avvicinate varietà di piante che, in natura, crescono in zone completamente diverse.

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Incontriamo un altro luogo idealizzato in una delle avventure di Orlando, quando giunge al giardino dell'incantatrice Falerina che tiene qui prigionieri dame e cavalieri. Esso è descritto così dal Boiardo:

"Dolcie pianure e lieti monticelli

Con bei boscheti de pin e d’abeti,

E sopra a’ verdi rami erano occelli

Cantando in voce viva e versi queti;

Conigli e caprioli e cervi isnelli,

Piacevole a guardar e mansueti,

Lepore e daini correndo d’intorno

Pien avian tuto quel giardin adorno."

La novità rispetto alle altre descrizioni è data dalla presenza di animali che ravvivano la scena.

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Agnolo Poliziano

La ballata delle rose

La ballata delle rose

È la più celebre ballata di Poliziano, in cui a parlare è una fanciulla che racconta alle compagne di essersi trovata a maggio in un meraviglioso giardino pieno di fiori e di rose, il cui profumo e la cui bellezza erano inebrianti. Lo sfondo della poesia è costituito, infatti, da una natura primaverile che si ricollega al motivo del locus amœnus, molto caro alla cultura umanistico-rinascimentale.

Il giardino è la manifestazione particolare della tematica idilliaca: essa consiste nel vagheggiare una natura fresca, ridente, come immagine di perfetta serenità e gioia, che esclude ogni affanno e preoccupazione.

1

Il motivo idilliaco è particolarmente caro alla cultura cortigiana del Rinascimento perché in esso si manifestano le sue fondamentali aspirazioni: un ideale di otium sereno, lontano dai fastidi della realtà prosaica e dai conflitti della storia, dedicato al culto della bellezza, della poesia, dei piaceri e dell’amore.

Nella seconda parte della ballata spicca il motivo del «cogliere la rosa», che ha un chiaro valore simbolico: è un invito a godere delle gioie dell’amore finché l’età giovanile lo consente. In questa luce l’ambiente primaverile acquista anch’esso un valore metaforico: la primavera non rappresenta soltanto la stagione in cui la natura si presenta in pieno rigoglio, così come la giovinezza, ma segna anche il momento fugace e lieto dell'amore.

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino

di mezzo maggio in un verde giardino.

Eran d’intorno violette e gigli

fra l’erba verde, e vaghi fior' novelli,

azzurri, gialli, candidi e vermigli:

ond’io porsi la mano a côr di quelli

per adornar e’mie’ biondi capelli

e cinger di grillanda el vago crino.

Ma poi ch’i’ ebbi pien di fiori un lembo,

vidi le rose, e non pur d’un colore:

io colsi allor per empir tutto el grembo,

perch’era sì soave il loro odore

che tutto mi sentì’ destar el core

di dolce voglia e d’un piacer divino.

[...]

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Le stanze per la giostra

Le stanze per la giostra

L'opera si fa profeta dell'amore platonico che viene provato da Giuliano, fratello di Lorenzo il Magnifico, per Simonetta Vespucci, donna fiorentina.

Il poeta va a creare un personaggio, Iulo, che si dedica unicamente alla caccia, alla cura del corpo e che si astiene con disprezzo dall'amore; allora Cupido ordisce un inganno per vendicarsi, attraverso il quale Giuliano,

convinto di seguire una cerva, giunge all'incontro con la ninfa Simonetta della quale si innamora perdutamente. Oltre che un inno all'amore, le Stanze per la Giostra sono una celebrazione della bellezza e della gioventù, caratteristica che traspare dalla descrizione del luogo all'interno del quale

si muovono Iulo e la ninfa.

Ogni elemento, infatti, si configura in quanto facente parte di una rigogliosa primavera che sembra quasi voler accompagnare la nascita del nuovo amore, e la descrizione dell'ambiente esprime nella propria natura i sentimenti provati dal poeta. È fondamentale la ricorrenza, da parte del Poliziano, al topos tipico della poesia pastorale, il locus amoenus. Sembra quasi che la scena descritta sia stata privata di temporalità e spazialità per essere consegnata ad un paesaggio sognato, in cui ogni singolo particolare tende ad esaltare l'amore inteso come forza trionfante.

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Il regno di Venere

Il regno di Venere

Nelle stanze del Poliziano, la descrizione del regno di Venere riprende quella del locus amoenus di derivazione classica e presenta il luogo come un meraviglioso giardino posto su di un inaccessibile monte nell'isola di Cipro, lontano dal mondo degli uomini e a questi precluso. Gli elementi naturali rimandano al mito dell'età dell'oro dei poeti antichi e infatti nel giardino vi sono erbe verdi, un lieto venticello che muove le fronde degli alberi, il canto armonioso degli uccelli, nonché due freschi ruscelli che scorrono in mezzo ai prati; il luogo è caratterizzato da un'eterna primavera, propizia allo sbocciare degli amori, e l'intera descrizione riprende molti elementi dell'Eden dantesco, con la differenza che qui tutto è in funzione dell'amore terreno e il giardino è popolato da Cupido e i suoi fratelli. Poliziano descrive un regno di bellezza artificiale e separato dalla realtà umana che fornirà il prototipo di tante altre pagine letterarie del Cinquecento.

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Primavera

1482, Sandro Botticelli

Jacopo Sannazzaro

Jacopo Sannazzaro

Arcadia

L’Arcadia è una storica regione della Grecia, nella penisola del Peloponneso che, nel corso della storia della letteratura italiana, è stata elevata a topos letterario, in quanto percepita come un mondo idilliaco. Era, infatti, una regione montuosa abitata prevalentemente da pastori che vivevano felici e non facevano altro che pascolare animali e intonare soavi melodie.

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Il protagonista delle vicende è il poeta stesso, sotto il nome del pastore Sincero. Le vicende che lo coinvolgono sono contornate da moltissimi episodi e personaggi secondari, da lunghissime descrizioni di bellezze naturalistiche e di opere d’ arte, ma anche da canti d’amore e diatribe amorose. In quest’opera, Sannazaro fa della terra di Arcadia una rigogliosa terra felice, innocente, pura, segnata da schermaglie amorose e di scorci campestri, dando vita a un vero e proprio luogo comune dell’immaginario

occidentale.

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Tempesta

1503, Giorgione

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