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La terra di origine del popolo dei Winnili, antico nome dei Longobardi, viene tradizionalmente collocata in Scania, l’attuale Scandinavia.
Ben presto i Longobardi abbandonarono queste terre per spostarsi in Germania settentrionale, dove, fra I e III secolo d.C., sono inclusi tra le stirpi germaniche.
È l’inizio di un lungo processo migratorio durato più di cinque secoli, alla costante ricerca di terre nuove e più ricche.
Già nel IV secolo i Longobardi dalla Germania scesero in Boemia, si stanziarono in Ungheria, l’antica Pannonia, e da lì nel 568 invasero l’Italia.
Nel corso di questo lungo viaggio il popolo longobardo ebbe modo di acquisiscono altre popolazioni (Gepidi, Sarmati, Bulgari, Sàssoni, Turingi, Eruli), di condividerne cultura, tradizioni e costumi; l’aggregazione di genti tanto diverse diede vita ad una nuova compagine etnico-culturale.
IV sec.
V sec.
Agli inizi del V secolo, con il declino della potenza romana e il conseguente vuoto di potere che si venne a creare, tribù germaniche armate, formate da gruppi etnici semi-nomadi, superarono il limes (confine) del Reno e si stabilirono nei territori delle province in qualità di foederati (alleati).
Al loro arrivo in Italia, entrati in contatto diretto con l’eredità culturale romana, i Longobardi strutturarono una cultura ancora nuova, riuscendo a coniugare il proprio linguaggio germanico con la tradizione classica e romano-cristiana.
Questo ne ha fatto, come ha scritto Paolo Diacono, i veri continuatori, molto più dei Bizantini, della civiltà romana.
I longobardi in Italia 2
I Longobardi giungono in Italia dalla Pannonia (attuale Ungheria) nella primavera del 568 attraverso le Alpi Giulie sotto la guida del re Alboino. Secondo quanto riferisce Paolo Diacono, il monaco longobardo che verso la fine dell’VIII secolo ha ricostruito la storia del suo popolo (Historia Langobardorum), l’esercito dei Longobardi giunge in Italia in fare, ossia diviso in gruppi di guerrieri appartenenti a famiglie discendenti da un medesimo antenato, che, sotto la guida di propri duchi, si muovono in maniera autonoma, stanziandosi gradualmente nei nuovi territori.
La conquista procede, dunque, soprattutto in base all’iniziativa dei singoli duchi, i quali, a capo di un numero complessivamente scarso di guerrieri, non avanzano secondo un piano unitario, ma semplicemente nelle direzioni in cui incontrano minore resistenza da parte dei Bizantini, i quali, ancora alle prese con le conseguenze del lungo conflitto che li aveva visti opposti ai Goti, non sono nelle condizioni né di contrastare efficacemente la pressione dei Longobardi né di passare al contrattacco.
In pochi anni occupano la maggior parte dell’Italia settentrionale e centrale, concentrandosi principalmente tra il Piemonte, il Friuli, il Trentino e la Toscana; altri gruppi si stanziano, invece, nella zona intorno a Spoleto, tra il Piceno e l’Umbria centro-orientale, dove fondano il Ducato di Spoleto. Dopo la conclusione della guerra, Narsete aveva consentito ad alcuni gruppi di Longobardi di stanziarsi, come presidio militare, nel territorio di Benevento, da dove avrebbero attirato un contingente degli invasori del 568, per dare poi vita al Ducato di Benevento.
Scomparso Alboino, vittima di una congiura (572), e il suo successore Clefi, i duchi non riescono ad accordarsi su alcun successore e per ben dieci anni (574-584) restano senza un re. È il periodo dell’anarchia militare, dove i comandanti militari fanno delle città fortificate i centri del proprio potere, creando l’oppressione sulla popolazione locale.
La conquista dei Longobardi provoca un vero e proprio rovesciamento dell’ordine sociale ed economico dell’Italia tardoantica. Essi, procedendo liberamente a rapine e spoliazioni di beni ecclesiastici, escludono totalmente i Romani dalla vita politica.
Si presentano come un popolo-esercito, che riconosce pieni diritti soltanto ai maschi in
grado di portare le armi, gli arimanni, ammessi all’assemblea della stirpe, il gairethinx. Il potere è, dunque, diviso tra l’assemblea degli arimanni, i duchi e il re. Anche dal punto di vista insediativo si assiste, a partire dal 568, a uno sconvolgimento del sistema urbanistico tardoantico
La minaccia di incursioni esterne e il pericolo della disgregazione interna convincono i Longobardi a darsi un ordinamento politico più stabile e a scegliere, dunque, un nuovo re. Nel 584 viene eletto Autari, figlio di Clefi, il quale avvia un processo di restaurazione del potere regio, grazie alla concessione da parte dei duchi di cospicui beni per la creazione di una base economica sufficiente all’esercizio di tale potere: processo che si consolida con il suo successore Agilulfo.
Il rafforzamento del potere regio, da loro avviato, segna il passaggio a una nuova concezione territoriale basata sulla stabile divisione del regno in ducati. Ognuno di essi è guidato da un duca, non più solo capo di una fara, ma funzionario regio, depositario dei poteri pubblici e affiancato da funzionari minori (sculdasci e gastaldi). Nello stesso tempo Agilulfo punta a un maggiore inserimento dei Romani nella nuova formazione politica, compiendo alcune scelte simboliche, destinate ad accreditarlo presso la popolazione latina.
Grazie anche alla moglie cattolica Teodolinda, avvia, infatti, un dialogo con il potere ecclesiastico, a quel tempo guidato da papa Gregorio Magno, stabilendo, non senza resistenze tra la maggioranza dei Longobardi pagani e ariani, che i beni precedentemente sottratti alla Chiesa vengano restituiti e che alcuni dei vescovi, costretti a fuggire, ritornino a esercitare la loro attività nelle proprie sedi. Tuttavia, nonostante questi interventi e la decisione nel 603 di far battezzare secondo il rito cattolico il figlio Adaloaldo, alla morte di Agilulfo e per il tutto il VII secolo continuano ad alternarsi sul trono re cattolici e re ariani, alimentando una forte contrapposizione tra lo schieramento filocattolico e quello nazionalista. Una politica di apertura al dialogo e di tolleranza nei confronti dei cattolici viene adottata dal re ariano Rotari
Nel 643 fa mettere per iscritto per la prima volta le leggi longobarde (editto di Rotari), sino ad allora tramandate soltanto oralmente, e consolida la posizione del re all’interno del regno, sottolineandone il ruolo di garante dell’ordinamento giuridico e della medesima tradizione longobarda.
Rotari muore (652) poi salì al trono Rodoaldo che fu deposto dopo un anno (653) succeduto da Ariperto (653-661) che sconfesso apertamente l’arianesimo e aderì al cattolicesimo. Da lì donarono terre ai vescovi e iniziarono a costruire monasteri nonostante ciò per loro erano una minaccia.
Con Liutprando (712-744) la conversione al cattolicesimo del suo popolo è praticamente completata e la divisione tra Longobardi e Romani viene definitivamente superata attraverso l’inserimento dei secondi nella tradizione giuridica dei dominatori. Liutprando decide di avviare una nuova fase espansiva del regno in Italia, invadendo l’Esarcato e la Pentapoli e giungendo fino alle porte di Roma. Tuttavia, l’intervento di papa Gregorio II riesce a farlo desistere dalla conquista della città e persino a indurlo a sgombrare le terre già conquistate del ducato romano. Il re decide, però, di donare alla Chiesa il castello di Sutri, presso Viterbo
Con Astolfo (749-756) viene messa al centro degli interessi politici la volontà di sottomettere al proprio potere anche gli abitanti dell’Italia bizantina. Il rex gentis Langobardorum (re del popolo longobardo), come egli stesso si definisce, disciplina con un editto il tipo di armatura con cui i liberi del regno, longobardi e romani, devono prestare il servizio militare, sulla base non più dell’origine etnica, ma esclusivamente della loro ricchezza.
Tale provvedimento, oltre ad avere notevoli ripercussioni sociali ed economiche, garantisce al nuovo re importanti conquiste militari, prima fra tutte quella della città di Ravenna, centro del potere bizantino in Italia. Più complicati restano i rapporti con Roma, dove papa Stefano II si oppone ai tentativi di Astolfo di farsi riconoscere la giurisdizione su Roma e su tutti i territori dipendenti dalla città appellandosi al re dei Franchi Pipino il Breve, al quale chiede di intervenire in Italia per recuperare i territori esarcali e affidarli alla Chiesa romana.
Nel 754 l’esercito longobardo è sconfitto dai Franchi e Astolfo è costretto a consegnare ostaggi e a cedere alcuni territori. Due anni dopo il re riprende la guerra contro il papa, che a sua volta richiama i Franchi in Italia. Sconfitto di nuovo, Astolfo cede Ravenna al papa, incrementando ulteriormente il nucleo territoriale della Chiesa romana, e accetta una sorta di protettorato.
La situazione precipita quando sale al potere Desiderio, il quale, dopo la morte di Paolo I, cerca persino di intromettersi nell’elezione del nuovo papa inasprendo ulteriormente i rapporti con Roma. Il nuovo pontefice Adriano I decide allora di intervenire contro il re chiamando in aiuto, ancora una volta, i Franchi, guidati dal figlio di Pipino, Carlo Magno
Dopo circa sei mesi di assedio violento, all’inizio del 774 i Franchi riescono a conquistare la capitale del regno Pavia, segnando la fine dell’indipendenza del regno longobardo, che si trova ora ad essere formalmente unito nella persona del re a quello franco, ma di fatto ad esso subordinato.
Sin dalla fine del V secolo, con Clodoveo, i Franchi avevano costituito il regno più stabile dell’Occidente romano-barbarico. Le ragioni di tale stabilità erano due: l’alleanza con la Chiesa e la fusione con la popolazione gallo-romana.
Entrambi gli obiettivi erano stati raggiunti grazie alla conversione di Clodoveo al cristianesimo. Alla morte di Clodoveo, il regno franco era stato diviso fra i suoi quattro figli. Con il tempo, tra ricomposizioni e nuove divisioni, si erano affermate due compagini territoriali: il regno di Austrasia e quello di Neustria.
Nel VII secolo i Merovingi, la dinastia di Clodoveo, entrarono però in crisi a causa dei mutamenti della struttura economica e sociale; infatti, si diffuse il latifondo che favorì l'aristocrazia militare franca. Questo sistema di potere si diffuse particolarmente in Austrasia, dove era più sviluppato e dove le guerre stagionali davano occasione ai capi aristocratici di distribuire ricchi bottini tra le clientele armate. Tra le famiglie più potenti dell'Austrasia emerse quella dei Pipinidi, che avevano assunto la carica di maestri di palazzo, o maggiordomi.
Per il loro assalto al potere, i Pipinidi fecero leva innanzitutto sull’alleanza con la Chiesa. Il primo fu proprio Pipino di Landen, che nel VIl secolo legò la sua casata a quella dei vescovi di Metz e collocò le figlie a capo dei principali monasteri della regione; dopo lui Carlo Martello nel 732 si presentò come il difensore della cristianità occidentale sconfiggendo gli Araba a Poitiers e ricacciandosi al di là dei Pirenei. Fu suo figlio Pipino II il Breve a compiere il passo decisivo quando 751 fu incoronato re al suo posto con l’appoggio
La cerimonia fu ripetuta nel 754, quando fu il papa stesso, Stefano II, a recarsi a Parigi e a consacrare Pipino, sua moglie e i suoi figli.
Con un colpo di Stato in sordina ebbe fine la stirpe dei Merovingi. Per cancellare definitivamente il prestigio dell’antica dinastia fu svolta una pressante operazione di propaganda. Le cronache scritte nel IX secolo dipingono i Merovingi come "re fannulloni”. In realtà, il potere dei Meningi fu eroso a poco a poco da un'aristocrazia latifondista che faceva sempre più leva sulle clientele. La nuova aristocrazia convocava gli eserciti, garantiva protezione armata, distribuiva compensi in denaro, terre e rendite ed esercitava il controllo persino sulla Chiesa locale, mediante vescovi e abati accondiscendenti. Tutto ciò favorì la nascita di un nuovo sistema di potere basato sul vassallaggio. Così, i Pipinidi riuscirono facilmente a scalzare i Merovingi, la cui potenza economica e militare era ormai irrimediabilmente indebolita.
L’alleanza tra i Pipinidi e la Chiesa era stata sollecitata dall’espansione dei Longobardi, che nel 750 avevano occupato la Romagna, le Marche e alcune città del Lazio. I Bizantini erano rivelati deboli e inerti, tanto da indurre il papa a cercare aiuto altrove. Egli concesse perciò a Pipino il Breve e ai suoi figli il titolo di "patrizi e protettori dei Romani” e li invitò a intervenire in Italia. Il re franco non si fece attendere e organizzò due spedizioni contro i Longobardi, nel 755 e di nuovo nel 756; li sconfisse e impose loro durissime condizioni di resa. Pipino trasferì questi territori alla Chiesa, andando così ad ampliare i possedimenti su cui il papa esercitava il suo potere.
Carlo comandò per tre anni con suo fratello, Carlomanno, che nel 771 morì. Rimasto solo Carlo si dedicò alle conquiste, sotto il nome di Magno. Puntò l'Italia, dove il nuovo re Desiderio, fidandosi dell'alleanza matrimoniale stretta con lui invase Esarcato, Umbria e Lazio, ma Carlo ne ripugnò la figlia. Nel 773 il re franco arrivò in Italia e annientò i nemici. Carlo Magno assunse il titolo di "re dei Longobardi e dei Franchi, ma mantenne l'organizzazione amministrativa preesistente. I ducati di Spoleto e di Benevento conservarono l'autonomia. Per rafforzare l'alleanza con la Chiesa fece donazioni territoriali al papa.
Carlo volle l'universalità del suo potere fondato su presupposti religiosi. Dopo aver liberato papa Leone III, egli decise di incoronare personalmente Carlo imperatore, a Roma, la notte di Natale dell'800. Il Sacro romano impero si presentava come erede della tradizione dell'antica Roma e dei valori etico-religiosi del Cristianesimo. Le differenze erano il fatto che esso fosse spostato a nord, che fosse fondato su vincoli personali tra il sovrano e i vassalli e e che mancasse un sistema legislativo unitario. I Bizantini non furono contenti dell'incoronazione di Carlo e dopo i vari sovrani(Irene, Niceforo), nell'811, Michele I ci fu uno scambio diplomatico tra le due potenze.
Carlo Magno utilizza il vassallaggio che comporta autorità civile e militare di conti duchi e marchesi, soggetti a contee, ducati e marche ed esulano da zone protette da immunità. Essi controllano missi dominici e funzionari di corte, sempre eletti da Carlo. Egli impone il cristianesimo, denario d'argento e il latino come lingua ufficiale i quali promuovono l'unificazione dell'impero. Carlo propone provvedimenti legislativi che approva o respinge l'aristocrazia. questi provvedimenti portano a capitolari e a regioni autonome.
ECONOMIA CURTENSE
chiusa alle relazioni commerciali e fondata sull'autosufficienza economica
di tipo agricolo, fondata sulla "curtis"
Pars massaricia, proprietà di terre concessi dal signore ai contadini
Pars dominica, proprietà padronale
Carlo era un amante della cultura e per questo il suo progetto di promozione e rilancio della cultura. Il quale aveva il fine politico di dare omogeneità al territorio. I mezzi per esso furono la Chiesa e la scuola.
Quindi Carlo intervenne sulla formazione del clero. Insistette sulla necessità di creare scuole e monasteri che diffondessero sapere, una "riforma della scuola".
Ai membri dei livelli più alti della società, come Dhuoda, l'istruzione era impartita presso il palazzo imperiale di Aquisgrana, alla Schola Palatina, diretta dal monaco Alcuino di York. Tra i maestri: Paolo Diacono, Tedulfo, Dungal, Rabano Mauro e Eginardo.
Il fondamento delleducazione scolastica erano le sette arti liberali:
Il testo base era la Sacra Scrittura, lettura di classici pagani. Fondamentale l'attività delle biblioteche dei monasteri, con gli amanuensi. Altro strumento della politica di uniformazione culturale fu la cristianizzazione dello spazio e del tempo
Durante l'impero d Carlo Magno i Santi divennero non solo un punto di riferimento spaziale, ma anche temporale; il calendario liturgico fu uniformato e, oltre alle principali feste cristiane, furono introdotte festività comuni in memoria dei Santi. Il nuovo calendario ebbe così tanto successo che divenne pratica comune indicare la data menzionando la festa corrispondente. Per rafforzare ulteriormente il potere della monarchia furono introdotte cerimonie solenni che miravano a presentare il sovrano come una figura sacra: la più importante fu quella dell'incoronazione del figlio ereditario.
L'Italia settentrionale e centrale apparteneva al Sacro romano impero germanico, ma la situazione interna era dilaniata dalle rivalità scatenatesi fra i grandi signori feudali che non vedevano di buon occhio il dominio imperiale, e ciascuno di loro aspirava ad ottenere il titolo di re d'Italia. Ulteriori tensioni erano generate dagli scontri tra papato e impero. L'Italia Meridionale, invece, era divisa tra i ducati longobardi, i domini bizantini e alcune regioni di dominio arabo. Nel XI secolo giunsero anche i Normanni, che in poco più di settant'anni riuscirono a conquistare tutto il sud Italia, diventano così i protagonisti della politica europea nei secoli XI-XII.
Tra il IX-X secolo si moltiplicarono i piccoli potenti locali, a causa delle inefficienze strutturali dell'organizzazione feudale. Dal punto di vista della difesa militare, i grandi eserciti non erano in grado di sostenere gli attacchi dei nuovi invasori: la cavalleria era formidabile nei combattimenti in campo aperto, ma lenta dei movimenti e inefficace nel contrastare le aggressioni del X secolo. Dato che i sovrani si dimostrarono incapaci di organizzare le difese del territorio, la responsabilità ricadde sui signori locali, i quali reclutarono soldati, innalzarono mura intorno alle loro terre e costruirono castelli. Da un punto di vista giuridico, però, compirono atti di insubordinazione, in quanto svolsero compiti che spettavano solo al sovrano.
L'Incastellamento è quel periodo del IX secolo caratterizzato dall'edificazione di un gran numero di castelli. Carlo il Calvo, nell'864, emanò un decreto - il Capitolare di Pitres - per ordinare la demolizione di castelli costruiti senza l'autorizzazione della regno, che rimase del tutto disatteso. Nel documento si denunciava il fatto che tali strutture venivano utilizzate dai signori come base di attacco contro i piccoli proprietari residenti nei villaggi vicini: erano considerati uno strumento di predominio politico-militare. Nonostante ciò, i castelli favorirono il dissodamento e il popolamento di terre disabitate.
I primi castelli edificati vennero costruiti adoperando il legno, ed è per questo che non ne abbiamo nessuna testimonianza. Verso la fine del X secolo comparvero le prime fortificazioni in pietra, costruite in difesa dei piccoli insediamenti collocati su alture. Da queste si passo alla costruzione di fortificazioni più ampie che racchiudevano pochi edifici essenziali - chiesa, palazzo per il signore, stanze dei soldati e dei servi, le scuderie e i magazzini.
Il feudalesimo era fondato sui rapporti di fedeltà personale tra il signore e il suo vassallo: si trattava di un sistema già diffuso nelle società germaniche e Carlo Magno ne aveva fatto le base per governare in modo più efficace il suo impero. questo sistema, successivamente, si sviluppò in molti regni come forma di gestione del territorio: il sovrano affidava ai più fedeli signori locali una porzione dei possedimenti di regno, in cambio della loro fedeltà e dell'aiuto militare. Questi, poi, li dividevano a loro volta secondo il medesimo rapporto. L'attribuzione del feudo avveniva nel corso di una cerimonia di investitura. Il feudalesimo durò per diversi secoli e raggiunse il suo compimento e la sua massima espansione in Europa nel XII secolo.
I signori feudali favorirono, intorno ai loro castelli, lo sviluppo di centri di potere autonomi, su cui esercitavano una facoltà di comando assoluta, il banno; ogni signore esercitava poteri fino ad all'ora desinati al sovrano: reclutare soldati , dichiarare guerre amministrare giustizia...
I signori locali imponevano a tutti gli abitanti dei loro territori nuove tasse, come la taglia, che consentiva loro di prelevare in qualsiasi momento prodotti agricoli o denaro. Imposero un canone per l'utilizzo di strutture e strumenti presenti del feudo. Le signorie di bando estesero e aumentarono gli obblighi fiscali a tal punto che esisteva una tassa per tutto.
Moti di rivolta, scatenati dal mal contento de contadini, scoppiarono nell'XI in Francia, subito repressi con le armi. Anche la Chiesa decise di intervenire in favore dei contadini, e la violenza diffusa fece sorgere i movimenti della "pace di Dio" o della "tregua di Dio". che intimavano ai cavalieri di non usare le armi contro i deboli e gli indifesi.
Quello del cavaliere era un mestiere, un mestiere che comportava dei rischi, come quello di perdere la vita, ma offriva notevoli possibilità di ascesa sociale ed economica. I cavalieri non erano per forza nobili, non erano solo figli cadetti di grande caste: c'erano anche avventurosi, chi si era messo al servizio del signore e aveva appreso l'arte di combattere a cavallo.
Per tu tutta la tarda antichità la Penisola arabica - tra l'Africa e l'Asia - era stata una fiorente regione, snodo di commercio fra ben tre continenti. Dal IV secolo, però, l'Arabia visse un periodo di declino: le vie carovaniere che l'attraversavano avevano perso la loro importanza e i commerci internazionali furono dirottati su altri itinerari. Persino i sistemi di irrigazione andarono distrutti e la loro mancata manutenzione provocò il crollo della diga di Ma'rib, che aveva regolato a lungo la vita agricola, garantendo così un afflusso di acqua costante. La conseguenza di tale disastro causò una grave desertificazione. Il periodo dal IV al VI secolo fu segnato da una divisione politica in tutta l'Arabia, e ci fu un ritorno al nomadismo pastorale. Tra le popolazioni nomadi ricordiamo sicuramente quella dei beduini .
In un ambiente inospitale e privo di risorse, i beduini sapevano muoversi agevolmente e facevano fronte alle avversità grazie alla coesione sociale garantita dalla vita di gruppo. I nomadi erano organizzati in tribù, formate sulla base di legami di sangue e di parentela e tenute insieme dal bisogno di difendersi dagli attacchi di eventuali nemici. La vita delle tribù dipendeva da due fattori in particolare: la pastorizia itinerante e le scorrerie. La guida della tribù era affidata allo sceicco, eletto tra gli anziani del gruppo, per svolgere la funzione di arbitro nelle contese. In caso di guerra era eletto un capo militare, di solito più giovane dello sceicco, detto rais. La vita tribale era regolata dalla consuetudine, o sunna, tramandata dagli antenati; all'interno della tribù vigeva l'obbligo della faida, o vedetta di sangue, che imponeva ai parenti di ripagare con la morte l'uccisione di un proprio consanguineo.
La pastorizia itinerante: la ricerca di pascoli e acqua spingeva la popolazione nomade a spostarsi periodicamente e a lottare con gli avversari per ottenere il controllo delle aree più ospitali.
Le scorrerie: le carovane che attraversavano il deserto erano ricche prede per i beduini, così come le oasi e le città, vittime predilette delle loro scorribande.
I beduini erano politeisti: le divinità venivano identificate con luoghi alberi e animali, ma riservavano un culto speciale agli dei protettori della propria tribù.
Diversa da quella dei beduini era la vita degli abitanti delle oasi e delle città, dove le comunità sedentarie praticavano l'agricoltura, l'artigianato e il commercio. Presso di loro si svolgevano fiere e mercati e vi risiedevano grandi gruppi di commercianti persiani, ebrei, e cristiani, che contribuirono ad arricchire l'immaginario della cultura locale, rendendola più aperta alla diversità.
Verso la fine del VI secolo, la lunga serie di guerre che impose l'impero bizantino a quello persiano rese insicure le vie commerciali e per questo tornarono in auge le vie carovaniere della Penisola Arabica e a tranne vantaggio furono sicuramente le oasi e le grandi città come La Mecca. Si stipularono accordi e trattati doganali bizantine, etiopi e persiane per l'importazione e l'esportazione di prodotti su scala internazionale. I beduini, di conseguenza, furono anche costretti a firmare accordi con cui si impegnavano a non attaccare le carovane.
La Mecca era un centro religioso già prima della nascita dell'Islam: là, in un edificio quadrato di nome Ka'aba, e si veneravano tutte le divinità delle tribù del deserto, e i fedeli vi si recavano una volta l'anno. La Ka'aba custodiva la pietra nera, un pezzo di meteorite oggetto di venerazione.
Maometto, divenuto "Il Profeta" dopo la sua morte, nacque intorno al 570-580. Rimase orfano di padre e fu allevato sia dal nonno che dallo zio. Lavorò come cammelliere e amministratore. Le sue qualità lo resero prezioso agli occhi della vedova Khadija, per la quale lavorava come amministratore: ben presto i due si sposarono, nonostante avessero quindici anni di differenza. A quarant'anni, stanco della vita mercantile, si ritirò sul monte Hirà, dove ricevette le prime rivelazioni da una creatura celeste che identificò come l'arcangelo Gabriele. L'angelo gli parlò di Allah, l'unico vero Dio. I primi a convertirsi a questa nuova religione della "sottomissione" furono la moglie, il cugino Alì e alcuni servi di Maometto.
Man mano che la sua predicazione si estese al di fuori della cerchia familiare e criticò apertamente il politeismo in nome della sottomissione ad Allah, Maometto incontrò l'opposizione dei Quraysh, preoccupati di perdere la loro posizione di signori della Ka'aba, con tutti i vantaggi economici che ne derivavano.
Dopo la morte della moglie, Maometto venne emarginato e screditato, e per questo preferì allontanarsi dalla Mecca insieme ai suoi più fedeli seguaci: nel 622 si spostò nell'oasi di Yatrib, che poi acquisì il nome di Medina. Questo trasferimento segnò una svolta nella vita di Maometto e nel futuro dell'Islam, tanto che i musulmani considerano il 622 come l'anno zero.
Maometto cominciò ad organizzare spedizioni e razzie contro le carovane di commercianti meccani, attirando così su di loro l'ira dei Quraysh. Seguirono anni di scontri che non giunsero a risultati decisivi fino al 630, anno in cui Maometto prese il controllo della Mecca, e da allora l'Islam non conobbe più ostacoli. I due anni tutta la Penisola arabica fu unificata per la prima volta in una confederazione di tribù che riconoscevano un unico capo - religioso e politico - : Maometto.
Anche l'Islam adottò il suo libro sacro, il Corano; venne scritto molti anni dopo la morte di Maometto, e raccoglie le rivelazioni di quest'ultimo ricevette nel corso della sua vita. Secondo la tradizione la nascita di questo testo sacro viene attribuita al terzo successore di Maometto, il califfo Othman (644-656). Il Corano rappresenta la prima testimonianza letteraria in lingua araba e nel X secolo gli venne data una versione definitiva. Si compone di 114 sure, capitoli, per un totale di 6236 versetti; esso parla di un Dio "misericordioso e compassionevole", e contiene le norme che regolano la vita economica e sociale dei credenti.
Dopo due anni la conquista della Mecca, Maometto morì nel 632, e fu allora che nacque il problema della successione. Il profeta non aveva lasciato disposizioni in merito e il rischio che sorgessero rivalità tra i fedeli era alto. La comunità islamica era divisa: alcuni avrebbero preferito nominare il genero di Maometto, Alì, facendo prevalere il criterio familiare; altri credevano che sarebbe stato meglio scegliere tra i collaboratori più stretti del defunto, facendo prevalere il criterio della fedeltà.
Per i primi quattro successori prevalse il secondo criterio e furono scelti Abu Bakhr (632-634), Omar (634-644), Otham (644-656), e lo stesso Alì (656-661). Questi assunsero il titolo di califfi, cioè "vicari" del Profeta.
I Califfi erano a capo di un interno Stato, nato dalla confederazione delle tribù che si erano sottomesse a Maometto. Avevano un ruolo sia politico che religioso. godevano dei pieni poteri esecutivi e militari, dal momento che erano a capo di un vasto esercito. la sede del governo dei califfi fu Medina, la città che aveva accolto il Profeta nel 622.
Dopo la morte di Maometto molte tribù si sentirono svincolate dal patto siglato con lui e, non avendo partecipato all'elezione del suo successore, non sentivano nessun obbligo nei confronti dei califfi. Scoppiarono così numerose ribellioni, dette ridde. Per ristabilire l'ordine in alcuni casi fu sufficiente siglare nuovi patti, e in altri casi fu necessario l'intervento militare.
Con l'Islam Maometto aveva creato una nuova concezione dello Stato, della società e della legge. La comunità dei credenti, la umma, era legata da regole comuni che facevano capo al Corano e alla sunna, una raccolta di interpretazioni di quest'ultimo. Tutto ciò dava vita alla Shari'a, la legge islamica che ancora oggi regola ogni aspetto della vita privata e collettiva dei musulmani.
Oltre alle prescrizioni alimentari e alle norme igieniche, come il divieto di mangiare carne di maiale e di bere alcolici, o di togliersi le scarpe prima di entrare nella moschea e di lavarsi le mani prima di pregare, Maometto stabilì cinque atti di devozione che ogni fedele è tenuto ad rispettare:
- la professione di fede: "Non c'è altro dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta";
- la preghiera da recitare cinque volte al giorno rivolti verso La Mecca;
- il digiuno da osservare dall'alba al tramonto per tutto il mese del ramadan, in sui si festeggia la rivelazione ricevuta da Maometto;
- l'elemosina, che consiste nel versare alla comunità una percentuale del proprio reddito;
- il pellegrinaggio da compiere almeno una volta nella vita alla Mecca.
Così come nella società ebraica, romana, greca, anche la società araba riconosceva nella donna un ruolo gerarchicamente subordinato rispetto all'uomo. Tra i seguaci di Maometto non furono ammesse donne e anche nei momenti di preghiera nella moschea fu loro assegnato un luogo separato, dietro gli uomini. Per il Corano uomini e donne sono uguali di fronte ad Allah, tuttavia i ruoli dei due sessi nella società sono nettamente distinti e agli uomini è affidata la tutela delle donne.
Alla donna fu concesso il diritto di possedere beni, di ricevere un'eredità - anche se in misura inferiore rispetto a quella di eventuali fratelli maschi - e fu garantito ad entrambi i sessi il divorzio, seppure con alcune limitazioni. Le donne potevano chiedere il divorzio solo in casi di maltrattamento o di indifferenza. Quanto all'obbligo di indossare il velo non c'è accordo tra gli interpreti del Corano: nel testo si parla in maniera generale di mantelli e vesti che coprano adeguatamente il corpo della donna per non esporne in maniera eccessiva la bellezza.
Il Corano accetta la poligamia, infatti è concesso all'uomo di avere fino a quattro mogli, a patto che le tratti tutte con pari dignità. Del tutto inammissibile era l'adulterio, sia per gli uomini che per le donne, che secondo il Corano deve essere punito con la fustigazione.
Sotto i primi 4 califfati la ridda (guerra interna), fu contemporanea alle guerre contro l'Impero Bizantino e Persiano, che erano indeboliti da guerre decennali.
Le vittorie in medio oriente ed Egitto spinsero le tribù d'Arabia a sottomettersi ai califfi.
Le guerre contro gli imperi divennero di conquista, in pochi anni gli arabi conquistarono territori bizantini e annientarono le armate persiane
Gli arabi a differenza di altri popoli riuscivano a sfruttare i deserti a loro favore, li usavano come via di comunicazione e come rifugio.
Le attività si incrementarono attorno agli accampamenti, Ebbe così inizio un'urbanizzazione che portò alla formazione di città come Damasco, Kufa e Fustat.
Gli arabi cominciarono a trasferirsi nei territori sottomessi, questo processo è detto islamizzazione.
Nonostante le differenze culturali i rapporti con i popoli sottomessi erano buoni. I non musulmani mantenevano le cariche amministrative e burocratiche. Era concessa la libertà religiosa dietro il pagamento di una tassa, ad ebrei e cristiani erano garantite libertà e il rispetto dei luoghi di culto, nonostante ciò si verificavano episodi di intolleranza.
Con il termine "Jihad" si intende "sforzo" personale e collettivo menzionato nel corano.
E' interpretato anche come sforzo per la massima diffusione dell'islam, come lotta verso il nemico interno ed esterno (l'oppressore, infedele).
La Jihad è associata anche all'idea di guerra santa combattuta contro gli infedeli, ciò non trova interpretazione nell'islam moderato.
Nel 656 l'islam va incontro alla I guerra civile., risorsero i conflitti riguardanti la successione per diritto ereditario.
I ribelli nominarono Alì quarto successore di Maometto, l'altra fazione nominò Muawiyah. Questi conflitti provocarono la scissione tra Sunniti e Sciiti. Nel 661 Alì viene assassinato a Kufa. Il califfato torna nelle mani di Muawiyah, che sposta la capitale a Damasco. Egli sottrae altri territori all'impero Bizantino, minacciando Costantinopoli.
Ad oggi i sunniti rappresentano la maggior parte dei musulmani. Ritengono che l'autorità politica debba essere distinta da quella religiosa.
SCIITI
Sono un gruppo minoritario che predilige l'imam, una guida politico-religiosa.
La dinastia di Muawiyah, gli Omayyadi, governerà fino al 750. Da questa dinastia il califfato divenne ereditario.
Gli Omayyadi costruirono un vero impero, alla pari di quello bizantino.
Durante questa dinastia coniarono una moneta ed edificarono nuove moschee a Damasco e a Gerusalemme.
Sotto gli Omayyadi l'islam raggiunge la sua massima espansione, nel 711 una spedizione attraversa lo stretto di Gibilterra, i visigoti furono sconfitti e gli arabi si impadronirono della penisola iberica.
Il loro domino dura oltre 700 anni, gli arabi tentarono la conquista dell'Europa ma vennero fermati nel 732 da Carlo Martello.
Gli Omayyadi avevano unificato territori completamente differenti tra loro:
la lingua ufficiale era l'arabo, la religione era musulmana e il potere politico era nelle mani dei califfi.
Le guerre di ampliamento dell'impero causarono l'ampliamento della tassazione, ciò fu una delle principali cause del declino degli Omayyadi, nel 750 il loro potere fu rovesciato da rivolte periferiche.
Al posto degli Omayyadi si insediarono gli Abbasidi (avevano il sostegno degli sciiti), spostarono la capitale a Baghdad. Fu una scelta che determinò l'avviamento dei rapporti con l'India e la Cina . Col tempo il baricentro politico era sempre più lontano dall'Arabia, per questo motivo gli arabi persero i loro privilegi.
Il ruolo e la concezione del califfo cambiarono, divenne un sovrano assoluto il cui potere discendeva direttamente da Allah.
Il califfo aveva il completo comando dell'esercito e dell'amministrazione statale che era suddivisa in ministeri governati dai visir.
Il califfo era circondato da funzionari e cortigiani, le provincie erano affidate agli Emiri.
Nel IX secolo l'impero Abbaside dette segni di cedimento, il porocesso di disgregazione comincia ad occidente, dalla Spagna fino all'Arabia.
Gli abbasidi, nel giro di pochi secoli si trovarono a governare solo l'Iran, la loro dinastia durò fino al XIII secolo.
L'islam entrò in contatto con culture antichissime, tecnologicamente e scientificamente avanzate.
Il maggiore impatto fu quello dei greci. gli arabi ne assimilarono la scienza e la filisofia dandone nuovi impulsi.
Nacquero le biblioteche, a Baghdad fu avviata un'opera di traduzione dei testi greci.
Vi frono innovazioni scientifiche (astronomia e geografia) e tecnologiche.
In matematica venne adottato un sistema di numerazione e fi fu la definizione di algoritmo e logaritmo.
Anche la medicina ebbe dei progressi, furono creati degli ospedali e si ebbero le prime descrizioni patologiche. Si diffuse un'industria del sapere che coinvolgeva molte figure professionali legate alla creazione del libro.
Intorno al VIII secolo si verificarono tendenze ascetiche. Era favorita una religione interiore volta alla preghiera e alla meditazione. Ciò era legato ad un concetto di purezza, questo tipo di fedeli prese il nome di sufi.
I sufi tendevano a fivere ritirate e la poesia e la musica erano fondamentali per l'avvicinamento a dio.