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Ludovico Ariosto nacque a Reggio Emilia l’8 settembre 1474 da Niccolò, capitano della cittadella di Reggio per conto di Ercole I d’Este, duca di Ferrara. A Ferrara compì i primi studi e all’università, per volere del padre, seguì i corsi di diritto, abbandonandoli però nel 1479 per dedicarsi agli studi letterari. Divenuto capofamiglia in seguito alla morte del padre nel 1500, per mantenere i numerosi fratelli accettò l’incarico di capitano della rocca di Canossa per conto della famiglia d’Este.
Nel 1503 entrò al servizio del cardinale Ippolito d’Este, vescovo di Ferrara. Alle sue dipendenze fu ambasciatore, diplomatico, cameriere e accompagnatore. Visse una vita senza colpi di scena, divisa tra gli obblighi di corte e l’impegno letterario. Nel 1508 compose la commedia La cassaria, rappresentata a corte, seguita da I suppositi (1509) e Il negromante (1520). Nel 1513 conobbe a Firenze Alessandra Benucci, cui si legò segretamente allorché rimase vedova. Nel 1516 pubblicò la prima edizione dell’Orlando furioso. Quando nel 1517 Ippolito si trasferì in Ungheria, Ludovico si rifiutò di seguirlo, perdendo temporaneamente l’impiego a corte.
Nel 1518 passò al servizio del duca Alfonso d’Este, svolgendo ancora missioni diplomatiche e incarichi di rappresentanza e iniziando la revisione dell’Orlando furioso, di cui pubblicò nel 1521 la seconda edizione. Dal 1522 al 1525 fu governatore e commissario della difficile regione della Garfagnana, incarico che portò a termine rivelando doti di equilibrio e fermezza.
Diminuite le incombenze di corte, negli ultimi anni vide consacrata la propria fama di poeta e si dedicò principalmente al teatro. Nel 1528 venne rappresentata a corte La Lena, l’anno seguente una nuova versione della Cassaria. Nel 1531 Alfonso di Avalos, comandante dell’esercito imperiale, gli offrì una pensione. Nel 1532 venne pubblicata la terza e definitiva edizione dell’Orlando furioso. Malato da tempo, si spense a Ferrara il 6 luglio del 1533.
Nella sua intera carriera di poeta, Ariosto scrisse sia poesie in latino sia in volgare.
Sono componimenti per lo più epigrammatici di argomento vario, in particolare autobiografico e amoroso.
Hanno valore documentario più che artistico, come testimonianza degli studi, dei gusti e dell’apprendistato poetico dell’autore.
Sono versi d’occasione dedicati per lo più all’amore per Alessandra Benucci e, in rari casi, a tematiche politiche o celebrative, e si segnalano per una dipendenza non esclusiva dal modello petrarchesco, integrato con la lezione dei classici. Ariosto non riunì mai questi materiali poetici in un canzoniere, selezionando e ordinando le liriche secondo un disegno tematico. L’autore pensò di stampare alcuni componimenti, ma il progetto non fu mai portato a termine.
Ariosto esordì come autore di teatro nel 1493 con la perduta Tragedia di Tisbe. Successivamente mise in scena per la corte volgarizzamenti di commedie di Plauto e Terenzio; fu anche attore, scenografo e regista. Per il carnevale del 1508 fece rappresentare una commedia originale, La cassaria, e l’anno seguente I suppositi, ambientati a Ferrara. Seguirono, tra il 1520 e il 1532, Il negromante, I studenti (incompiuta) e La Lena, composte in endecasillabi sdruccioli, e la riscrittura in versi delle commedie precedenti. L’autore rinuncia alle celebrazioni encomiastiche per mettere in scena un mondo subalterno di servi, prostitute e furfanti. L’ultima commedia, in particolare, offre un impietoso ritratto della società ferrarese del tempo, tesa al profitto e affetta da diffidenza ed egoismo.
Con queste opere Ariosto dettò il canone della drammaturgia rinascimentale: struttura regolare del testo suddiviso in cinque atti, apparato scenografico spettacolare e sfarzoso, caratterizzato dal concorso di tutte le arti (letteratura, pittura, scultura, musica, danza), contaminazione e rielaborazione di testi della tradizione classica.
Di Ariosto ci rimangono 214 lettere di carattere professionale e dettate per lo più da urgenze pratiche. Si tratta di preziosi documenti biografici, da cui emerge non
tanto il letterato, quanto piuttosto il funzionario di corte.
Si tratta di sette epistole in versi (terzine di endecasillabi) indirizzate a interlocutori reali. Ariosto prende
spunto dal modello offerto dalle Satire e dalle Epistole
del poeta latino Orazio per creare un prodotto nuovo.
Ariosto trae inoltre ispirazione da eventi autobiografici
per mettere progressivamente a fuoco la propria visione del mondo.
Ariosto inizia la stesura dell’Orlando Furioso nel 1505, quest’opera si collega direttamente a quella boiardesca, l’Orlando Innamorato, riprendendo la narrazione dal punto in cui era stata interrotta. Una prima redazione fu terminata nel 1515 e pubblicata nel 1516; mentre una seconda uscì nel 1521, presentando pochi cambiamenti nella lingua.
Successivamente viene redatta una terza edizione, nel 1532, che presenta una revisione linguistica: la lingua viene infatti adeguata ai canoni classicisti, fissati da Bembo nelle Prose della volgar lingua. Il modello prevedeva una lingua pura, priva di ogni ibridismo locale, che si rifaceva al fiorentino dei classici trecenteschi.
Vi è anche una revisione dei contenuti, con l’aggiunta di riferimenti alla storia contemporanea, ovvero al precipitare della crisi italiana dovuto alle guerre combattute dalle potenze straniere. Questo ampliamento portò il numero dei canti a 46. Anche lo stile subisce dei cambiamenti: il clima è più cupo, permeato di pessimismo sulla Fortuna e l’azione umana ed è caratterizzato da tematiche negative, quali la violenza o il tradimento.
Come nel poema del Boiardo, anche nel Furioso di Ariosto vi è una fusione tra materia carolingia e arturiana. Riprende infatti i personaggi tipici della tradizione carolingia: Carlo Magno, Rinaldo, Orlando stesso. Mentre il motivo amoroso e quello fiabesco e meraviglioso sono tipici della tradizione arturiana. Ariosto porta alle estreme conseguenze gli effetti del tema romanzesco dell’amore facendo divenire Orlando addirittura pazzo.
Nel Furioso si trovano anche riferimenti alla letteratura classica di Virgilio e di Ovidio, riprendendo episodi interi, rimandi mitologici o riecheggiamenti di versi o clausole stilistiche. Grazie a questo Ariosto si rivela poeta del pieno Rinascimento e attinge alle sue conoscenze date dalla formazione umanistica: le fonti sono spunti che poi il poeta assimila alla sua visione della vita e inserisce nel poema.
Il poema è pensato come opera di intrattenimento per un pubblico di cortigiani e persone colte. Rispetto agli altri romanzi, il Furioso è pensato per la diffusione attraverso la stampa e non come racconto rivolto a voce ad un pubblico.
Perciò il pubblico non era più costituito da una cerchia ristretta dell’ambiente in cui l’opera era nata, ma il pubblico era ormai nazionale, cioè formato dall’insieme delle persone colte di tutti i centri d’Italia; si crea quindi una corte ideale, che non prevede solo l’ambito ristretto della corte ferrarese.
Ariosto riprende quei temi a cui i pubblico si appassionava, ovvero le vicende cavalleresche di armi e amori, e tende a dare forma classica sia alla lingua sia ai riferimenti alla letteratura antica o alla materia cavalleresca.
L’Orlando Furioso è un'opera labirintica. All’interno di essa è presente l’entrelacement composto da fili narrativi diversi tra loro, come quelli di: Orlando e Angelica, Ruggero e Bramante, la guerra (Agramante e Cairo) ed infine quello che narra di numerosi altri eroi. L’entrecelatement inoltre, va a formare un racconto parallelo, le novelle, di forma narrativa di 2^ grado; esso hanno uno scopo encomiastico, così da lodare i personaggi, ed inoltre contengono degli eventi politici e militari contemporanei.
Ariosto iniziò la composizione dell’Orlando intorno al 1505, terminò la prima edizione di 40 canti 10 anni dopo, la seconda nel 1521 e una terza nel 1532. Nelle prime due usò una lingua cortigiana, tipica di Boiardo, nella terza invece usò il toscano. Oltre alla lingua però, Ariosto aggiunse anche interi episodi e riferimenti a fatti della storia contemporanea.
Boiardo è meno incline ad intenti comico-realistici, per cui lo stile, soprattutto dell'Innamorato, è più serio e mancano quasi totalmente elementi ironici. Le fonti sono i poemi della letteratura classica, e di quella francese. Più complessa la questione della lingua usata da Boiardo, probabilmente doveva essere il volgare emiliano "depurato" dagli elementi più popolari, ma purtroppo le successive edizioni subirono vari rimaneggiamenti con una correzione della lingua che venne spesso "toscanizzata".
Il poema gira intorno alla ricerca di un oggetto di desiderio, ossia Angelica, il desiderio di Orlando e di altri uomini, questo viene detto “Motivo dell’inchiesta”. Esso è profano e laico quindi includente e fallimentare; percorre tutta la vicenda di Orlando, sempre alla ricerca di Angelica, e anche quella di Ruggero intento nella ricerca di Bramante. L’inchiesta diventa inconcludente, trasformandosi, quindi, in un movimento circolare diviso in due: da una parte è metaforica del desiderio impagato, mentre dall’altra parte svia i personaggi e costruisce un “errore” (viaggiare senza meta).
La concezione spaziale all'interno dell'Orlando Furioso è complessa e si riallaccia alle tematiche introspettive ed esistenziali trattate da Ludovico Ariosto. Lo spazio è orizzontale e non verticale come in Tasso e in Dante. E’ anche labirintico perché rispecchia emblematicamente la realtà terrena. Si assiste a un movimento circolare e plurimo in quanto l'Orlando Furioso presenta una realtà del tutto immanente il cui movimento è ciclico e ritorna sempre su se stesso perché la ricerca è inconcludente.
Spazio e tempo si inquadrano in un'ottica perseguita da Ariosto per creare omologia tra contenuti e forma.
Anche la struttura narrativa, come il tempo e lo spazio, emerge un reale labirintico, infinitamente vario e molteplice, mutevole e imprevedibile; l’immagine che rende il poema però è quella di un cosmo perfettamente ordinato e armonico, idea di armonizzazione delle varie materie trattate (il poeta è un grande regista che riesce a dominare la trama perfettamente).
L’entrelacement appare sempre inserito in un disegno organizzativo rigoroso.
Il poeta stesso enuncia più volte il principio dell’unità che vi deve essere nella molteplicità;
Citazione del critico Robert Durling : “L’artista nella sua opera è come Dio nel mondo, perfetto dominatore della sua creazione”→L’autore in un’opera d’arte deve essere come Dio nel mondo,non si vede ma riesce a dominare la sua materia e non gli sfugge di mano mai nulla.
Ariosto, attraverso una serie di indizi, testimonia la volontà di passare dalla struttura romanzesca, al recupero della struttura epica.
“homo faber ipsius fortunae”= “ L’uomo è artefice della propria sorte”:
Lo scopo di Ariosto è quello di riuscire a dominare la realtà e passare questo messaggio anche al lettore; l’uomo è artefice del proprio destino, è dotato di intelletto con il quale può sistemare il caos informe della Fortuna (messaggio prettamente umanistico).
Nell’Orlando troviamo due diverse possibilità che dipartono dal disincanto del poeta.
Vediamo come le avventure cavalleresche non si riducono a puri pretesti di facciata, vuoti al loro interno, anzi conservano tutto il loro fascino offrendo al tempo stesso, al poeta, un campo aperto e infinitamente disponibile per la riflessione etica.
Troviamo così una fusione tra due componenti eterogenee che sembrano inconciliabili, l’abbandono al piacere del fantastico avventuroso e la riflessione concettuale. Dietro queste avventure si manifesterà un lucido intento conoscitivo, un impegno intellettuale, profondamente connesso alla realtà, che rivela un atteggiamento liberamente critico nei confronti degli uomini e della società.
Ariosto è un acuto e spregiudicato osservatore della realtà e dei comportamenti umani, nella loro dimensione privata come in quella collettiva e politica. Questo ci mostra come questo autore sia riuscito a trasformare il poema cavalleresco in un “romanzo contemporaneo” avente una moderna concezione della vita e dell’uomo.
Proprio mosso sempre da questa volontà di riflessione surreale, l’abbandono al piacere del meraviglioso non può essere totale.
Da qui nasce il procedimento dello straniamento; esso consiste in un improvviso mutamento della prospettiva da cui è presentata la materia, nell’allontanarla e nel guardarla con occhio estraneo, in modo da impedire l’immedesimazione emotiva nel mondo narrato e anche in modo da costringere il lettore a guardare personaggi, le situazioni e sentimenti come da “lontano” e quindi a riflettere su di essi con atteggiamento critico;
Questo effetto è ottenuto attraverso vari procedimenti:
Questi procedimenti sono gli strumenti principali dell’ironia ariostesca, che implica sempre una forma di distacco dalla materia, uno sguardo da lontano, sornione e disincanto.
Un altro procedimento affine allo straniamento, e sempre veicolo di ironia, è l’abbassamento.
Come precedentemente detto Ariosto considera i valori cavallereschi non più praticabili e questo lo induce ad un rovesciamento parodico. L’autore si limita ad abbassare leggermente la dignità epica ed eroica dei personaggi portandoli ad un livello più prosaico e familiare, facendo così emergere e al di sotto delle apparenze dei cavalieri e delle dame, uomini e donne comuni con i loro limiti e loro errori.
Questo abbassamento può scaturire
Proprio abbassando i personaggi eroici alla realtà quotidiana e familiare, questo procedimento trasforma la materia epica e cavalleresca in punto d’avvio della riflessione sulla natura del reale e sul comportamento degli uomini. L’ironia si presenta inoltre come quello strumento che da libero sfogo ed è indispensabile per la riflessione etico-filosofica.
Vediamo come, l’ironia ariostesca non nasca dall’indifferenza per la materia, dalla
consapevolezza del suo carattere fittizio, ma sia un distacco compiaciuto con cui
l’artista contempla la sua opera.
Nel poema ogni certezza e ogni acquisizione viene superata con un procedimento di correzione continua; così si crea un pluralismo prospettico. Nel corso della narrazione si alternano diversi modi di giudicare un fatto o un comportamento, senza mai l’imposizione di un giudizio definitivo ed univoco.
Nel poema si manifestano varie voci, le quali a loro volta portano altrettante prospettive sul reale e altri orientamenti ideologici, che si fondono in una perfetta autonomia, senza che l’autore intervenga a fissare una prospettiva privilegiata.
Il criterio linguistico seguito da Ariosto è quello bembesco, il quale si ispira ad un’idea classicistica di uniformità, compostezza, levigatezza ed equilibrio. La lingua dell’Orlando Furioso è variegata ed uniforme; possono comparire: termini aulici(sia italiani sia latinismi), con costrutti eleganti, e termini più comuni, come quelli colloquiali, connessi a dei costrutti più vicini al parlato.
Nonostante questa grande varietà, non si avvertono mai incomprensioni tra i diversi livelli linguistici; si nota, infatti, che non avviene mai una prevalenza di uno o dell’altro nella stesura del testo. In merito a ciò ci troviamo al lato opposto rispetto al plurilinguismo di Dante.
A questa completezza linguistica, contribuisce anche il ritmo dell’ottava ariostesca; essa, infatti, era il metro tradizionale utilizzato nella poesia cavalleresca, anche se nel Furioso non ha più nulla della costante ripetitività che possedevano i cantari.
A seconda della materia trattata, l’ottava assume impostazioni diverse:
Al di sopra di tutto ciò, trionfa sempre una costante fluidità del ritmo.
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m’ha fatto,
che ‘l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.
Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l’umil servo vostro.
Quel ch’io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d’opera d’inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.
Voi sentirete fra i più degni eroi,
che nominar con laude m’apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L’alto valore e’ chiari gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orecchio,
e vostri alti pensieri cedino un poco,
sì che tra lor miei versi abbiano loco.
Io canto le donne, i cavalieri, le imprese militari, gli amori, le imprese cortesi e audaci che ci furono nel tempo in cui i mori d'Africa passarono il mare e fecero tanti danni in Francia, seguendo le ire e i furori giovanili del loro re Agramante, che si vantò di vendicare la morte del padre Troiano contro l'imperatore romano Carlo Magno.
Al tempo stesso racconterò di Orlando una cosa che non è mai stata detta né in prosa né in versi: cioè che per amore divenne furioso e matto, lui che prima era giudicato un uomo saggio; a patto che colei [Alessandra Benucci] che mi ha reso quasi come lui e che consuma il mio ingegno a poco a poco me ne conceda abbastanza per terminare l'opera promessa.
O nobile figlio di Ercole, ornamento e splendore del nostro secolo, Ippolito, vogliate gradire questo dono che è l'unico che vi possa dare il vostro umile servo. Quello che vi devo posso ripagarlo in parte con delle parole e un'opera letteraria; e non devo essere accusato di darvi poco, poiché vi do tutto quello che posso.
Voi sentirete ricordare tra i più nobili eroi che mi accingo a nominare con lodi anche quel Ruggiero che fu il capostipite di voi e dei vostri illustri avi [della casa d'Este]. Io vi farò ascoltare il suo grande valore e le sue nobili imprese, se mi porgete orecchio e se i vostri alti pensieri si ritrarranno un poco, così che i miei versi abbiano spazio tra essi.
L'ottava iniziale del poema riassume in poche parole l'oggetto del poema, ovvero la guerra dei mori di re Agramante contro i paladini di Carlo Magno e le vicende romanzesche di natura amorosa che si svilupperanno variamente nell'opera, tutto condensato nei primi due versi e nel celebre chiasmo "Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori" (in cui ovviamente le donne e gli amori alludono alle vicende amorose, i cavalieri e le armi alla narrazione guerresca, temi a loro volta collegati alle "cortesie" e alle "audaci imprese" del v. 2). La prima coppia di endecasillabi elenca i nuclei tematici fondamentali del poema e il periodo si chiude col verbo "io canto", che ovviamente si rifà all'esordio dell'Eneide (Arma virumque cano, "Canto le imprese militari e l'eroe", a sua volta poi più strettamente imitato da Tasso nel proemio della Liberata). La guerra che fa da sfondo al Furioso è la stessa di cui si parla già nel II libro dell'Innamorato, ovvero la volontà di vendicare la morte del padre Troiano ucciso in Provenza dal giovane Orlando (fatto narrato nella Chanson d'Aspremont del XII sec.), mentre lo stesso Agramante era stato tra gli uccisori di Ruggiero di Risa, il padre dell'omonimo personaggio del poema di Boiardo e Ariosto.
Le ottave 3-4 affrontano il terzo motivo dell'esordio dopo la protasi, ovvero la dedica dell'opera al cardinale Ippolito d'Este e il preannuncio del motivo encomiastico del poema, poiché tra i protagonisti vi sarà anche Ruggiero che è il leggendario capostipite della casa estense: il tema è tratto dall'Innamorato di Boiardo in cui lo scrittore quattrocentesco intendeva dedicare ampio spazio al guerriero saraceno destinato a convertirsi e a sposare Bradamante, il cui amore era narrato nel libro III del poema, anche se l'interruzione dell'opera lasciò il disegno incompiuto. Nel Furioso la vicenda dei due progenitori estensi viene invece sviluppata e il poema si conclude proprio con le nozze della coppia, prima del duello finale di Ruggiero e Rodomonte. Nella dedica al cardinale Ippolito, protettore del poeta al tempo della prima edizione del 1516, alcuni videro un intento velatamente ironico da parte dell'autore alla luce della rottura dei rapporti tra i due dopo il rifiuto di Ariosto di seguire il prelato in Ungheria nel 1517, specie quando il poeta accenna agli "alti pensieri" di Ippolito fra i quali i suoi versi dovranno farsi largo con fatica (il cardinale era un uomo alquanto rozzo e poco sensibile alla poesia, elemento presente anche nelle Satire di Ariosto).
Ariosto enuncia l'ulteriore novità del poema rispetto a quella già notevole dell'Innamorato di Boiardo, ovvero il fatto che Orlando, il campione dei paladini cristiani, a causa del suo amore per Angelica perde completamente il senno e diventa appunto "furioso", termine che l'autore trae probabilmente dal titolo della tragedia di Seneca Hercules furens: la seconda ottava concentra l'attenzione del lettore sul tema dell'amore dopo che la prima ha enunciato quello della guerra, inoltre Ariosto fa dell'elegante auto-ironia affermando che lui stesso è ridotto quasi come Orlando a causa dell'amore per Alessandra Benucci, la donna cui era legato e che qui non viene ovviamente nominata, la quale dovrà concedergli il poco ingegno rimastogli per consentirgli di completare l'opera. Anche nel narrare la follia di Orlando il poeta tornerà sull'argomento, dicendo in modo altrettanto ironico che si rende conto della propria pazzia ora che è in un "lucido intervallo", poiché il "male è penetrato infin all'osso"