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Il miracolo economico dell' Italia anni 60 è un periodo caratterizzato da una forte crescita economica e tecnologica.
Il sistema economico cresceva a pieno regime , il reddito nazionale stava crescendo e la gente era rinfrancata dall' incremento dell' occupazione e dei consumi.Gli anni bui del Secondo Dopoguerra si erano dimenticati anche se i problemi da affrontare erano ancora tanti. L' Italia rimase anche dopo il Piano Marshall un paese principalmente agricolo.
Una testimonianza per tanti aspetti pregnante su questa fase di transizione, segnata dall'intreccio ibrido fra la persistenza di consuetudini arcaiche e l'irruzione di mode e usanze orecchiate dall'estero, la si può ritrovare nella cosiddetta “commedia all'italiana”, che cominciò a imporsi dalla fine degli anni 1950. Il più celebre esempio di commedia all'italiana apparve nelle sale cinematografiche nel 1960 con un grande film girato da Federico Fellini, intitolato La dolce vita.
Si trattava infatti di un genere cinematografico che per tanti versi era l'espressione e lo specchio di una società ambivalente, in bilico fra il vecchio e il nuovo, di una società in parte ancora sparagnina e frugale, in parte proiettata verso il consumismo con l'appetito dell'adolescente; in parte, provinciale e codina, attardata su viete convenzioni, in parte alla rincorsa di tutto ciò che sapesse di moderno anche nei suoi aspetti più superficiali ed eclatanti. Era cominciata l'era dello spettacolo, dei cantautori e dei concerti rock
Il punto più debole dell'economia italiana era quello rappresentato dall'agricoltura. Le aziende caratterizzate da una scarsa produttività o ai margini di un'economia di sussistenza erano quasi il 60% del totale e le piccole imprese familiari avevano continuato ad ampliare la loro presenza senza dar luogo ad adeguate forme associative nella produzione e nel collegamento con i mercati. In pratica, circa l'80% della superficie coltivata era distribuita fra 2 milioni e mezzo di unità aziendali, di cui 2 milioni con dimensioni inferiori ai 5 ettari.
Al nord oltre al triangolo industriale del nord-ovest (Genova, Torino, Milano), nato ai tempi dell'Unità d'Italia con il Regno di Sardegna e caratterizzato per lo più dall'attività siderurgica e metalmeccanica, comincia ad affermarsi anche il triangolo del nord-est (Padova, Vicenza, Treviso) caratterizzato per lo più da attività manifatturiera diffusa anche in Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Marche. In questo periodo della storia d'Italia, fino alla fine degli anni 1980 e all'inizio degli anni 1990, tra i grandi gruppi industriali che hanno trainato il boom economico ci sono stati Fiat, Montedison, Olivetti, Ansaldo e Ilva.
Tra i fattori che hanno concorso allo sviluppo un ruolo importante viene attribuito all'ampia disponibilità di manodopera che aveva evitato al nostro paese quelle strozzature che si erano, invece, verificate altrove dando luogo a forti correnti immigratorie. Come si è visto, essa rappresenta il fattore centrale cui l'economista Kindleberger spiega l'intenso sviluppo di quegli anni. Lo schema seguito dall'economista americano è noto: quando in un sistema economico coesistono settori caratterizzati da differenti livelli di produttività e di salari, possono verificarsi trasferimenti di lavoratori in eccesso dal settore tradizionale, con produttività marginale quasi nulla, verso il settore più dinamico senza far lievitare significativamente i salari unitari e consentendo, invece, un incremento dei profitti che, attraverso l'impulso agli investimenti, alla produzione e, quindi, all'occupazione alimentano una sorta di circolo virtuoso della crescita.
Per l'Italia, i settori in questione coincidono, rispettivamente, con l'agricoltura e l'industria. Si spiegherebbe così anche la crisi che si è registrata in Italia nella prima metà degli anni 1960, attribuita proprio all'esaurirsi della forza lavoro in eccesso. Fino agli inizi degli anni 1960 l'incremento medio dei salari era stato, infatti, inferiore a quello della produttività, anche se la quota di partecipazione dei redditi da lavoro al prodotto nazionale netto era aumentata tra il 1950 e il 1960 dal 50,8% al 55,1%.
Gli anni della grande espansione furono anche teatro di straordinarie trasformazioni che riguardarono lo stile di vita, il linguaggio e i costumi degli italiani, accompagnati da un deciso aumento del tenore di vita delle famiglie italiane. Nelle case delle famiglie di quanti potevano contare su uno stipendio e un posto di lavoro stabile cominciavano a far ingresso numerosi beni di consumo durevoli, come le prime lavatrici e frigoriferi (la cui produzione era svolta soprattutto da imprese italiane di piccole e medie dimensioni). Anche le automobili cominciavano a diffondersi sulle strade italiane con le FIAT 600 e 500, in produzione rispettivamente dal 1955 e dal 1957 e progettate ex novo da Dante Giacosa, che diede grande impulso alla produzione della casa torinese
Il 18 gennaio 1954, nelle battute iniziali del miracolo economico, il ministro dell'economia Ezio Vanoni predispose un piano per lo sviluppo economico controllato che, negli intenti del Governo, avrebbe dovuto programmare il superamento dei maggiori squilibri sociali e geografici (il crollo dell'agricoltura, la profonda differenza di sviluppo tra Nord e Sud); ma questo piano non portò ad alcun risultato. Le indicazioni che vi erano contenute in materia di sviluppo e di incremento del reddito e dell'occupazione, si basavano su una previsione fortemente sottostimata sul ruolo che avrebbe dovuto giocare il progresso tecnologico e l'incremento della produttività del lavoro che ne sarebbe derivato.
Quelle previsioni furono, quindi, travolte da un processo d'espansione, ben lungi da quel ristagno che il piano Vanoni metteva nel conto delle previsioni. Proprio perché non previsto, e per mancanza di un incanalamento regolato della crescita, il processo di espansione portò con sé gravi squilibri sul piano sociale.
Il Nord era da un punto di vista economico e agricolo molto sviluppato a contrario del Sud data la presenza di un basso livello di industrializzazione, lo sviluppo del settore terziario in Meridione discendeva dall'eccesso di forza lavoro, generalmente senza alcuna qualificazione, che dava luogo ad un moltiplicarsi di attività precarie e scarsamente produttive e determinava una lievitazione delle cifre relative al prodotto delle attività terziarie, cui non corrispondeva però un effettivo stabile sviluppo dei servizi necessari al funzionamento di una società industrialmente avanzata.
Con il termine musica Beat in Italia ci si riferisce ad una scena Popular che emerse nei primi anni 60 per mezzo delle controculture dei paesi anglosassoni ed in particolare della British Invasion con gruppi che mescolavano il Rock and Roll con influenze Swing.
Lo swing è un genere musicale, nato negli anni venti ed evolutosi fino a divenire un genere definito nel 1935 negli Stati Uniti. Lo swing si distingue per un caratteristico movimento della sezione ritmica e per un tipo di esecuzione delle note con un ritmo "saltellante" (o "dondolante", appunto swing in inglese), accostato spesso da balli frenetici.
Gli anni sessanta, così irrequieti e provocatori, hanno radicalmente cambiato la morale e lo stile di vita in cui siamo tuttora radicati. Nonostante il benessere economico, gruppi sempre più folti di giovani, misero sotto critica la società patriarcale e dei consumi, proponendo nuovi modelli. n California un ristretto gruppo di giovani intellettuali, che saranno definiti la beat generation crearono una nuova filosofia di vita basata sulla ricerca della libertà anche attraverso esperienze dure come l'uso di droghe e allucinogeni. In Inghilterra lo stesso fenomeno fu diversamente interpretato: la musica beat, rappresentata dai The Beatles e dai The Rolling Stones, ebbe la capacità di aggregare milioni di teen ager, che copiarono i vestiti dei loro idoli preferiti.Inoltre Londra diventò meta di pellegrinaggio giovanile: proprio in quegli anni Barbara Hulanicki, detta Biba, vi aprì la prima boutique di moda giovanile, bizzarramente arredata.
Nella seconda metà degli anni cinquanta la casa torinese avviò lo studio di una nuova vettura di grandi dimensioni che potesse prendere il posto delle FIAT 1400 e 1900, sul mercato dal 1950. Visto il perdurare della moda, anche per la nuova ammiraglia venne scelta una carrozzeria d'impronta americaneggiante. Bandite però le rotondità del modello precedente, la nuova carrozzeria sfoggiava linee tese, grosse pinne e abbondanza di cromature.
Dal punto di vista tecnico, invece, le novità maggiori arrivavano dai motori e dalla sospensione anteriore a ruote indipendenti con barre di torsione. Per il resto la vettura conservava la trazione posteriore, il retrotreno ad assale rigido con balestre longitudinali, i freni a tamburo sulle 4 ruote ed il cambio manuale a 4 marce con leva al volante.