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1265 NASCE A FIRENZE DA UNA FAMIGLIA DI NOBILI ORIGINI, MA DI CONDIZIONI ECONOMICHE MODESTE
1290 MORTE DI BEATRICE
1283 – 1293 SCRIVE IN VERSI E PROSA LA «VITA NOVA», LA SUA PRIMA OPERA CERTA, CHE È CONSIDERATA UN CAPOLAVORO DELLO STILNOVO
1295 INTRAPRENDE LA CARRIERA POLITICA
1300 È ELETTO PRIORE
1301 SI TROVA FUORI FIRENZE, IMPEGNATO IN UNA MISSIONE DIPLOMATICA PRESSO IL PAPA
1302 SA DI ESSERE ACCUSATO DI VARI REATI E, NON ESSENDOSI PRESENTATO PER DISCOLPARSI, VIENE CONDANNATO A MORTE
1304 – 1307 COMPONE «IL CONVIVIO» E IL «DE VULGARI ELOQUENTIA»
1307 INIZIA A COMPORRE LA «COMMEDIA»
1310 PUBBLICA IL «DE MONARCHIA» E LE «EPISTOLE A ENRICO VII»
1319 VENGONO PUBBLICATI L’INFERNO E IL PURGATORIO
1321 MUORE A RAVENNA ALL’ETÀ DI 56 ANNI
Il Convivio è un saggio composto da Dante Alighieri nei primi anni dell'esilio, ovvero tra il 1304 e il 1307. L'intento dell'autore era quello di agevolare ogni individuo nello spontaneo percorso verso la conoscenza tramite l'alternarsi di canzoni apparentemente ludiche e commenti di carattere pedagogico-morale o dottrinale.
Cominciamo dunque il nostro viaggio dal Convivio, in cui troviamo questo
passo:
«La Geometria si muove intra due repugnanti a essa, sì come ‘l punto e lo cerchio – e dico ‘cerchio’ largamente ogni ritondo, o corpo o superficie -; chè, sì come dice Euclide, lo punto è principio di quella, e, secondo che dice, lo cerchio è perfettissima figura in quella, che conviene però avere ragione di fine. Sì che tra ‘l punto e lo cerchio sì come tra principio e fine si muove la Geometria, e questi due a la sua certezza repugnano; che lo punto per la sua indivisibilità è immensurabile, e lo cerchio per lo suo arco è impossibile a quadrare perfettamente, e però è impossibile a misurare a punto. E ancora la Geometria è bianchissima, in quanto è sanza macula d’errore e certissima per sè e per la sua ancella, che si chiama Perspettiva.»
La Geometria viene definita bianchissima, sanza macula d’errore e certissima,
grazie alla certezza e indubitabilità dei postulati e del metodo induttivo che
Dante aveva appreso da Euclide.
Inoltre Dante precisa che essa si muove intra due repugnanti, il punto e il
cerchio, che ne respingono la certezza, perché, per quanto le leggi di Euclide e
di Pitagora possano essere rigorose e precise, la geometria è costretta a
muoversi tra i misteri e i paradossi che caratterizzano la natura di queste due
entità.
Lo punto è principio: negli elementi di Euclide al punto è riservata la prima delle
definizioni del primo libro, in cui si indica che il punto è quell’ente fondamentale
della geometria che non ha parti.
Lo punto per la sua indivisibilità è immensurabile: sia la definizione di Euclide
del punto che quella che ne dà Pitagora (punto come oggetto indivisibile di
misura minima che occupa uno spazio) si scontrano inesorabilmente con dei
paradossi: la defizione di Euclide ad esempio con il paradosso di Zenone
(segmento infinitamente divisibile, pur essendo finito) e quella di Pitagora con
l’incommensurabilità del rapporto tra due numeri interi, ad esempio proprio
quelli trattati dal suo teorema, la diagonale e il lato di un quadrato.
Lo cerchio è perfettissima figura: Dante associa il cerchio a immagini
divine, come esemplificato Lo cerchio per lo suo arco è impossibile a
quadrare perfettamente: quadrare una figura piana per i greci
consisteva nel costruire un quadrato che avesse la stessa area della
figura utilizzando solo il compasso e la riga non graduata e come
sappiamo è impossibile farlo per il cerchio senza essere costretti ad
approssimare.
La Vita nova è la prima opera di attribuzione certa di Dante Alighieri, scritta tra il 1292 e il 1294. Si tratta di un prosimetro nel quale sono inserite 31 liriche (25 sonetti, 1 ballata, 5 canzoni) in una cornice narrativa di 42 capitoli.
Il filologo Wilhelm Pötters suppone l’esistenza di riferimenti ancora più precisi a PI GRECO, nascosti nel complesso dell’opera dantesca: tali riferimenti diverrebbero palesi considerando alcuni numeri particolari tenuti in gran conto da Dante.
Il primo numero è il sessantuno. A ben pochi dirà qualcosa, eppure secondo Pötters esso è il numero associato al nome di Beatrice. In un passo della Vita Nova, in cui Dante afferma enigmaticamente di voler ricordare con un sirventese, che però non scriverà, il nome di Beatrice accompagnandolo ai nomi di altre sessanta bellissime donne.
Oltre a ciò, il filologo tedesco ritrova il sessantuno come risultato di un’interpretazione geomatrica del nome “Beatrice”. Certo, non si tratta di un’ipotesi che poggia su fondamenta granitiche, però ai tempi di Dante la geomatria, una tecnica cabbalistica, era effettivamente in gran voga.
L'Inferno è la prima delle tre cantiche della Divina Commedia di Dante Alighieri, corrispondente al primo dei Tre Regni dell'Oltretomba dove regna Lucifero (che originariamente significava «angelo della luce») e il primo luogo visitato da Dante nel suo pellegrinaggio ultraterreno, viaggio destinato a portarlo alla Salvezza.
Perché questi giochi numerici? Probabilmente per una questione di “ordine”.
Dal momento che il poema ha una struttura “architettonica” ben precisa, la
presenza numerica doveva far parte di un corpo di costruzione altrettanto
preciso. Anzi, era proprio questo che la rendeva precisa nella sua simmetria e
nell’equilibrio sia numerico che delle forme per armonizzarsi al tutto. In
estrema sintesi − il lettore lasci passare la volgarizzazione − non è altro che un
valzer di numeri. All’interno della divina commedia possono trovarsi numerosi riferimenti alla circonferenza, che per Dante simboleggia la perfezione. Partendo dalla struttura dell’Inferno, che ha una struttura a cono rovesciato, ossia ad imbuto. È diviso in 9 cerchi concentrici, ciascuno a sua volta diviso in diverse zone dove vi stanno i peccatori. Il cerchio più grande è l’ottavo che non è diviso in zone, ma in 10 bolge (il 10 è il numero perfetto per Pitagora).
L’Inferno dantesco si presenta come una voragine a forma di
cono rovesciato a gradoni (i cerchi concentrici in cui sono posti i
peccatori); si apre sotto la città di Gerusalemme collocata da
Dante al centro dell’emisfero settentrionale della Terra. Il
vertice coincide con il centro della Terra, dove si trova
conficcato Lucifero. Lucifero è l’angelo ribelle punito da Dio,
trasformato in uno spaventoso mostro con tre facce e sei
enormi ali di pipistrello; con le sue tre bocche, maciulla tre
grandi traditori: Giuda (traditore di Cristo, fondatore della
Chiesa), Bruto e Cassio, traditori di Giulio Cesare, fondatore
(secondo Dante) dell’Impero di Roma.
L’Inferno è preceduto da un Antinferno in cui stanno gli ignavi,
coloro cioè che vissero senza mai prendere una posizione. Con
gli ignavi stanno gli angeli che non si unirono né a Lucifero che si
ribellò a Dio né agli angeli rimasti fedeli a Lui.
L’Inferno è diviso in 9 cerchi in cui sono distribuiti le anime dei
dannati a seconda del loro peccato. I peccatori stanno tanto più
in basso, e sono quindi condannati a una pena maggiore,
quanto più gravi sono state le colpe da loro commesse.
Dante sceglie in numero 3 per costruire la sua opera; esso ritorna infatti in
molti aspetti. A livello strutturale l’opera è formata da 100 canti, suddivisi in 3 cantiche secondo uno schema: 1+33+33+33, dove il primo canto svolge il ruolo di introduzione. Per quanto riguarda la forma metrica il poeta sceglie la terzina di endecasillabi a rima incatenata. Il numero 3 è un numero naturale dispari ed è anche un numero primo. Per Dante il numero 3 è importante perché:
Il numero 3 oltre ad indicare cose positive, indica anche cose negative:
«Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.»
La diritta via potrebbe costituire una metafora, dal
punto di vista della fisica potrebbe essere associata al
moto rettilineo uniforme. Invece dal punto di vista
matematico ad una semplice retta.
Un corpo si muove con moto rettilineo
uniforme quando si sposta lungo una
retta con velocità costante.
La linea retta o semplicemente retta è un ente geometrico
fondamentale. Nello specifico: è un insieme infinito di
punti allineati nel piano o nello spazio, quindi non ha né
un inizio né una fine. Ha una sola dimensione, la
lunghezza, e pertanto non è un ente tridimensionale
perché non ha profondità o altezza.
L’inferno è una voragine, e a capo ne è Lucifero, come si può leggere nel
trentaquattresimo canto. Lucifero era il più splendente degli Angeli, risiedeva
accanto al Signore ed era il “portatore di luce”. Egli era in coppia con
L’Arcangelo Michele. Sappiamo da Isaia che divenne estremamente superbo,
pensò che potesse creare il suo trono nel Regno dei Cieli ed essere al pari di
Dio il redentore degli uomini. Si mise, insomma in contrapposizione con il
Padre. Per fare ciò mosse guerra a Dio radunando una schiera di angeli. Ma il
Signore lo sconfisse, mosse contro di lui l’Arcangelo Michele, il capo degli
Angeli. Lucifero fu vinto e spedito negli inferi insieme agli altri ribelli. Ne
divenne il principe e trasformo le sue schiere, anch’esse decadute, in demoni
di cui si serve per le sue opere di male. Furono quindi scaraventati
nell’inferno, un luogo metafisico dove finiscono le anime che si sono
allontanate dal Signore vivendo nel peccato.
La caduta nell’Inferno di Lucifero si può associare, in fisica, alla caduta di un
corpo dall’alto. Qualsiasi oggetto è soggetto alla forza di gravità.
L'accelerazione di gravità è un vettore costante con modulo g=9,8 m/s2 verso
il centro della Terra. La caduta del corpo è un moto uniformemente accelerato
con accelerazione a=-g
Tra il diametro e la circonferenza esiste incommensurabilità: il diametro, o suoi sottomultipli, non potranno mai misurare esattamente la circonferenza. È la conclusione seguita anche da Dante: è impossibile determinare il pi greco esattamente in modo finito. Così infatti, con la consueta chiarezza, si esprime il Sommo Poeta: «Lo cerchio per lo suo arco è im-possibile a quadrare perfetta-mente, e perciò è impossibile a misurare a punto.» (Convivio, II, XIII, 27).
Nell’Inferno, Dante mostra indirettamente di conoscere il numero del pi
greco. Infatti, racconta a un certo punto della sua discesa a spirale, di bolgia
in bolgia, sulle spalle di Gerione. Nel Canto XXIX, verso 9, la circonferenza
della bolgia era di ventidue miglia. Nel canto successivo il Poeta ci fornisce la
misura del diametro della nuova bolgia, minore, è la metà (da 22 a 11), di
quello della precedente spirale, perché più vicina al centro. Questo significa
che la nuova bolgia ha una circonferenza di undici miglia e un diametro di
meno di mezzo miglio, cioè, supponiamo, circa 0,35 di miglio (la metà esatta
di un miglio è 0,5). Ora 11 diviso 3,5 è uguale a 3,14…che è la nota frazione
per pi greco trovata da Archimede e che vale 3,142857…
Il Purgatorio è la seconda delle tre cantiche della Divina Commedia di Dante Alighieri. Le altre cantiche sono l'Inferno ed il Paradiso.
Il Purgatorio dantesco è diviso in Antipurgatorio, Purgatorio e Paradiso terrestre.
Il 2021 è l’ anno di Dante, in quanto si commemorano i settecento anni dalla sua morte : le iniziative dantesche proseguiranno per tutto l’anno e avranno il loro culmine il 25 Marzo con il Dante di, data scelta in quanto è stato ipotizzato come il giorno di inizio del viaggio simbolico di Dante nella Divina Commedia. E’ innegabile che Dante abbia lasciato un enorme eredità nella nostra cultura, ad esempio nei modi di dire che tuttora usiamo. Ciò che non tutti sanno è che Dante, pur essendo un letterato, era un uomo che possedeva una vasta cultura generale e conosceva molto bene la scienza in generale e anche la matematica
Facciamo dunque un excursus attraverso il Purgatorio per scoprire gli aspetti matematici che vi si trovano. Innanzitutto bisogna ricordare che nel Purgatorio vi sono 7 cornici( essendo 3 il numero divino e 4 il numero legato al mondo materiale- infatti ad esempio sono 4 le stagioni, i punti cardinali, gli elementi naturali; 7 è il numero che rappresenta l’unione tra spiritualità e mondo fisico. Prendiamo in considerazione il canto VI del Purgatorio. In questo canto si trovano le anime dei negligenti, ossia color che nel corso della vita terrena hanno omesso di adempiere ai loro doveri spirituali e aspettano il momento dell’ espiazione . Nei primi tre versi si cita un gioco d’azzardo diffuso nel Medioevo: il gioco della zara. I primi tre versi sono i seguenti:
Quando si parte il gioco de la zara,
colui che perde si riman dolente,
repetendo le volte, e tristo impara
La parola zara deriva dall’ arabo zahr, che significa dado, e dalla stessa parola deriva l’espressione “gioco d’azzardo”. I giocatori devono lanciare a turno tre dadi a sei facce e, prima che i dadi rivelassero ciascuno un numero, dovevano pronunciare a voce alta un numero che secondo loro sarebbe risultato come somma dei tre numeri rilevati dai dadi. Di seguito si trova una piccola trattazione statistica sul funzionamento di questo gioco, fatta anche utilizzando Excel, da cui possiamo capire che ci sono dei concetti dietro che i perdenti dovevano mestamente cercare di imparare, a forza di ripetere le loro giocate, in modo da capire quali somme hanno ricorrenza più alta. Ecco il funzionamento statistico del gioco della zara: la somma non potrà mai essere minore di tre né maggiore di diciotto, inoltre queste ultime due somme sono quelle che hanno meno probabilità di uscire, perché combinazioni dei valori risultanti 1+1+1 e 6+6+6. L’unica combinazione possibile che possa dare 3 è 1+1+1, e siccome ciascuno di questi tre numeri ha probabilità 1/6 di uscire, secondo la regola della probabilità che si verifichino contemporaneamente 2 o più eventi tra loro indipendenti, che prevede di moltiplicare le singole probabilità tra loro, si avrà 1/6*1/6*1/6= 1/216, pari a circa 0,46%. Analogo discorso si può fare per il 18. A causa della probabilità così bassa di ottenere queste due somme, il 3 e il 18 erano considerati valori nulli e venivano chiamati azari. Erano considerati azari anche il 4 e il 17, per i quali la probabilità di uscita non è sempre di 1/216, bensì si tripla, 3/216, poiché è maggiore la quantità di combinazioni possibili che forniscono tali numeri. Nelle tabelle riportate di seguito sono riportate tutte le combinazioni possibili nel gioco della zara e sono poi evidenziate le probabilità di ottenere ciascuna somma, con la relativa curva Gaussiana: si vede chiaramente come il 10 e l’11 siano i valori su cui è consigliabile giocare, dato che esistono ben 27 combinazioni possibili che possono far uscire queste somme.
Un altro canto da prendere in considerazione è il canto numero XXV 91,96. Si tratta del canto in cui avviene la salita dalla VI alla VII cornice. Per chiarire come sia possibile che le anime dei golosi patiscano la fame e dimagriscano, è necessario soffermarsi sulla spiegazione di Stazio circa la generazione delle anime e dei corpi aerei.
E come l’aere, quand’è ben pïorno,
per l’altrui raggio che ‘n sé si reflette,
di diversi color diventa addorno;
così l’aere vicin quivi si mette
in quella forma ch’è in lui suggella
virtualmente l’alma che ristette
Dopo la morte l’anima si separa dal corpo e porta con sé le facoltà umane (vegetativa e sensibile) e quella divina (intellettiva): le prime due sono ormai inerti, mentre la terza è intensificata. Sulla base del suo destino di dannazione o di salvezza, l’anima cade sulla riva dell'Acheronte o alla foce del Tevere, e non appena si trova nell'aria la sua virtù informativa agisce proprio come aveva fatto nel corpo in carne e ossa: come l'aria umida forma l'arcobaleno per la luce del sole, così l'anima plasma l'aria circostante e crea un corpo umbratile simile al corpo mortale. Il paragone utilizzato da Dante non è casuale. Le prime spiegazioni sufficientemente accurate del fenomeno dell’arcobaleno risalgono infatti al XIII ed al XIV secolo, ad opera di Ruggero Bacone e Teodorico di Freiberg. Oggi sappiamo che l’origine dell’arcobaleno è da rintracciarsi nell’attraversamento delle gocce di pioggia da parte della luce. Entrando nella gocciolina, la luce subisce una rifrazione (passaggio da un mezzo ad un altro), viene riflessa sul fondo della goccia e, a seguito di un’ulteriore rifrazione, ne fuoriesce. Nel complesso la luce incidente viene riflessa in un una vasta gamma di angoli, determinando l’arcobaleno.
Data la vastità dell’Opera dantesca e la conseguente limitatezza del presente elaborato, ci auguriamo di aver suscitato nel lettore un movimento, lento ma viscerale, che possa guidarlo ancora attraverso la poesia, la matematica e la fisica a bordo dell’unico mezzo che da sempre muove l’uomo: la curiosità. Dante attinge materiale per la sua opera anche dalla fisica in quanto disciplina che descrive rigorosamente e scientificamente l’ordine dei fenomeni terrestri. Dante studia la fisica e in particolare l’ottica soprattutto sui trattati di Pietro Ispano e probabilmente ha anche modo di ascoltare nelle lezioni che il Pontefice tenne a Siena sulle arti, sulla teologia e sull’ottica. Un esplicito riferimento all’ottica lo troviamo in Purgatorio (XV 16-23):
“Come quando da l'acqua o da lo specchio
salta lo raggio a l'opposita parte,
salendo su per lo modo parecchio
a quel che scende, e tanto si diparte
dal cader de la pietra in igual tratta,
sì come mostra esperïenza e arte;
così mi parve da luce rifratta
quivi dinanzi a me esser percosso;
per che a fuggir la mia vista fu ratta.”
Siamo nel Purgatorio e il poeta procede nel suo viaggio insieme a Virgilio. La luce del sole batte sul suo volto, ma a un tratto una nuova luce, decisamente più abbagliante, si aggiunge: è la luce che proviene dall'angelo che si fa incontro ai pellegrini per farli salire al girone superiore. La luce è così intensa che Dante è costretto a voltar lo sguardo.
Dante dedica due terzine alla descrizione minuziosa del fenomeno ottico della riflessione della luce. Esistono due leggi che regolano la riflessione della luce, formalizzate da Snell, ma già note fin dai tempi di Archimede:
• la prima legge della riflessione afferma che il raggio incidente, il raggio riflesso e la normale alla superficie riflettente nel punto di incidenza giacciono sullo stesso piano, detto anche piano di incidenza
• la seconda legge della riflessione afferma invece che l'angolo di incidenza e l'angolo di riflessione sono congruenti tra loro, dove l'angolo di incidenza è l'angolo che il raggio incidente forma con la normale, mentre l’angolo di riflessione è l'angolo che la normale forma con il raggio riflesso.
• la terza legge afferma che Il rapporto tra il seno dell'angolo di incidenza e il seno dell'angolo di rifrazione è uguale al rapporto tra l'indice di rifrazione del secondo mezzo e l'indice di rifrazione del primo. Da questa deriva banalmente che se il primo mezzo ha un indice di rifrazione maggiore del secondo, c'è un angolo di incidenza limite oltre il quale il raggio viene totalmente riflesso.
È proprio la seconda legge che viene descritta da Dante: quando un raggio di luce colpisce l’acqua o uno specchio, rimbalza sulla superficie e risale allo stesso modo di come era disceso, allontanandosi dalla perpendicolare (“il cader della pietra in ugual tratta”) per un tratto uguale.
Dante applica una descrizione prettamente scientifica per enfatizzare lo straordinario fenomeno a cui assiste: il poeta infatti vuole farci capire come la luce non sia emanata dallo stesso angelo, ma si rifletta sul suo volto provenendo da un’altra sorgente, che non può essere il sole, perché esso si trova alle sue spalle, ed è quindi la luce emanata da Dio.La scienza pura, empirica, legata alle certezze dell’esperienza (“sì come mostra esperienza e arte”) diventa funzionale alla descrizione di una situazione metafisica.
Un altro riferimento importate è nel canto del Purgatorio XXXIII, 40-45 « Io veggio certamente, e però il narro, a darne tempo già stelle propinque, secured'ogn' intoppo e d'ogne sbarro, nel quale un cinquecento diece e cinque, messo di Dio, anciderà la fuia con quel gigante che con lei delinque>> Con questi versi Beatrice vuol dire: io vedo per certo che stanno per sorgere delle costellazioni, libere da ogni contrasto e da ogni impedimento umano, le quali annunceranno il sorgere di un messo celeste che ucciderà la prostituta ("fuia", letteralmente "ladra") e il gigante visti poco prima da Dante, simboli rispettivamente della Chiesa corrotta e del Re di Francia, traditori della vera Chiesa di Cristo e dell'Impero. Questo inviato del cielo è indicato con un nome enigmatico: cinquecento quindici. Dante non va mai al di là del concetto di migliaia. Nell'intera Commedia non si troverà mai il concetto di "milione" o di "miliardo", in perfetta sintonia con la mentalità medioevale, ancora legata alla numerazione romana. In latino infatti non esiste un termine specifico per indicare i milioni, i miliardi, e così via: per indicare il numero "un milione" gli antichi Romani dicevano "decies centena milia", cioè "dieci centinaia di migliaia". Così Dante con “mille” o “più di mille” indica genericamente "un numero enorme”. Il concetto di migliaia lo possiamo trovare nel Purgatorio, canto XXXI, 118-120 « Mille disiri più che fiamma caldi strinsermi li occhi a li occhi rilucenti, che pur sopra 'l grifone stavan saldi »
Un noto esempio di aritmomanzia in Dante è : verrà un tempo “nel quale un cinquecento diece e cinque, – messo di Dio, anciderà la fuia – con quel gigante che con lei delinque” (Purgatorio, XXXIII, 42-45) . Dante preventivò matematicamente l’estensione del poema. Lo ribadisce con una delle sue apostrofi al lettore:
“S’io avessi, lettor, più lungo spazio
da scrivere i’ pur cantere’ in parte
lo dolce ber che mai non m’avria sazio,
ma perché piene son tutte le carte
ordite a questa cantica seconda,
non mi lascia più ir lo fren dell’arte”Purgatorio, XXXIII, 136-141
Fin qui la strutturazione matematica nei suoi elementi numerologici è di comune dominio. Hart comincia col riconoscere che Dante nel comporre si atteneva a ben definiti principii. Omologia, proporzionalità, funzionamento di omologia e proporzionalità in diversi contesti, precisione, consistenza. Su questo siamo d’accordo. In questa ricerca però Hart eccede. Ipotizza un imperativo estetico per noi aleatorio. Ritiene che Dante con l’intera struttura del poema intendesse approssimarsi al valore di PI GRECO. Per dimostrare la sua tesi, Hart prende in esame un’unità tematica.
Il Paradiso è la terza delle tre cantiche che compongono la Divina Commedia di Dante Alighieri, dopo l'Inferno e il Purgatorio.
“La gloria di colui che tutto move per l'universo penetra, e risplende 3 in una parte più e meno altrove.Nel ciel che più de la sua luce prende fu' io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende;perché appressando sé al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non puo’ ire”
Nel canto I ai versi 1-9 del paradiso Dante ci da una descrizione del paradiso, la sua struttura è costruita dal sistema geocentrico di Aristotele e Tolomeo, al centro dell’universo troviamo la terra e intorno ad essa 9 sfere concentriche responsabili del movimento dei pianeti
A questa struttura possiamo collegare la circonferenza, che, come sappiamo è l’insieme di tutti i punti che hanno la stessa distanza da un punto. Un altro collegamento si può fare con le circonferenze concentriche, poiché in nella struttura del paradiso tutte le sfere hanno lo stesso centro ma raggi diversi.
Nel canto XIII del paradiso San Tommaso risolve un dubbio di Dante suscitato dal fatto che Salomone fosse ritenuto il più sapiente degli uomini. Questa sapienza gli era stata concessa direttamente da Dio per farlo diventare un buon re. Ai versi 96-102 Dante fa vari esempi per far capire il campo di appartenenza della saggezza di Salomone: « Non ho parlato sì, che tu non posse ben veder ch’el fu re, che chiese senno acciò che re sufficiente fosse; non per sapere il numero in che enno li motor di qua sù, o se necesse con contingente mai necesse fenno; non si est dare primum motum esse, o se del mezzo cerchio far si puote triangol sì ch'un retto non avesse». Qui troviamo la descrizione di un triangolo inscritto in una semicirconferenza, se un triangolo è inscritto in una semicirconferenza, allora necessariamente è rettangolo
Nel canto XV del paradiso ai versi 55-57 troviamo un riferimento agli insiemi numerici: «Tu credi che a me tuo pensier mei da quel ch'è primo, così come raia da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei». In questi versi Dante pensa che in suo pensiero discenda da Dio come tutti i numeri derivano dall’unità
Ai versi 13-18 del XVII canto troviamo un riferimento al quindo postulato di Euclide: «O cara piota mia che sì t'insusi, che, come veggion le terrene menti 15 non capere in triangol due ottusi,così vedi le cose contingentianzi che sieno in sé, mirando il punto 18 a cui tutti li tempi son presenti». Dante è certo che Cacciaguida possegga una capacità di chiaroveggenza quanto del fatto che in un triangolo non possono sussistere 2 angoli ottusi.
Il quinto postulato di Euclide dice che: Se una retta taglia altre due rette determinando dallo stesso lato angoli interni la cui somma è minore di quella di due angoli retti, prolungando indefinitamente le due rette, esse si incontreranno dalla parte dove la somma dei due angoli è minore di due angoli retti. Quindi dato che un angolo ottuso è maggiore di 90°, la somma di due angoli ottusi sarà maggiore di 180°, quindi in un triangolo non potranno mai essere contenuti due angoli ottusi
Ai versi 40-42 del XIX canto troviamo un riferimento al compasso:
«Colui che volse il sesto a lo stremo del mondo, e dentro ad esso distinse tanto occulto e manifesto»
«sesto» indica il compasso, esso veniva chiamato così perché aveva un apertura massiva di 60°. Dante descrive Dio come un geometra che traccia i confini del mondo
Creazione dell'universo, miniatura francese del XIII sec.
Ai versi 16-21 del canto XXVIII del paradiso viene descritta la visione di Dio avuta da Dante mentre si trovava in paradiso, egli dice di aver visto un punto talmente luminoso che era necessario chiudere gli occhi, possiamo collegare questo punto al punto geometrico.
«un punto vidi che raggiava lume acuto sì, che 'l viso ch'elli affoca18 chiuder conviensi per lo forte acume; e quale stella par quinci più poca, parrebbe luna, locata con esso 21 come stella con stella si colloca»
Il punto è il primo degli enti geometrici fondamentali: il punto è privo di dimensioni, ed Euclide lo identificò come «ciò che non ha parti»,
Versi 91-93, canto XXVIII:«L'incendio suo seguiva ogne scintilla;ed eran tante, che 'l numero loro più che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla», ogni angelo(scintilla) seguiva il movimento del proprio cerchio luminoso, erano così tante che il loro numero cresceva di 1000 ad ogni casella, per cui ci troveremo davanti a 10^189 angeli. Ciò si collega alla leggenda di Sissa Nassir. In campo matematico possiamo parlare delle potenze.
Sissa Nassir, un sapiente indiano, inventò il gioco degli scacchi e decise di mostrarlo al sultano. Questi volle subito impararlo e ne fu entusiasta. Così, per ringraziare Sissa di avergli insegnato quel bellissimo gioco, si dichiarò pronto a soddisfare qualunque suo desiderio, per quanto grande fosse. Sissa si raccolse a pensare e poi disse che voleva un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due per la seconda, quattro per la terza, otto per la quarta, e così via sempre raddoppiando, fino alla sessantaquattresima e ultima casella della scacchiera. Il ricco principe, che non sapeva niente di numeri e di potenze, si stupì per la richiesta, che gli sembrava molto modesta, e ordinò che fossero subito portati a Sissa i pochi chicchi di grano che aveva chiesto. Quando però il tesoriere disse che non c’era abbastanza grano in tutti i granai del mondo per soddisfare la richiesta di Sissa, il sultano restò sbalordito. Si dice che questa sia una leggenda e non si sa come andò a finire. Con la sua richiesta, Sissa aveva dimostrato grande astuzia e una profonda conoscenza dei numeri. A quei tempi era considerato molto importante chi sapeva fare i conti! E Sissa Nassir li sapeva fare: aveva calcolato che la somma delle potenze di 2 dallo 0 al 63 corrisponde al numero: 18 446 744 073 709 551 615! (18 quintilioni, 446 quadrilioni, 744trilioni, 73miliardi, 709milioni, 551mila, 615), Circa 18 miliardi di miliardi!
Ai versi 133-138 del XXXIII canto,Dante usa l’immagine di un geometra che cerca di combattere la quadratura del cerchio, ma non riesce a trovare il principio per risolverlo.
«Qual è l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond'elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convennel'imago al cerchio e come vi s'indova»
Troviamo un riferimento all’impossibile quadratura del circolo, infatti ci troviamo nell’ultimo canto del paradiso e Dante ha visto apparire il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sotto forma di 3 cerchi di uguale raggia ma di colore diverso(vv127-128).
Lavoro realizzato da:
Manduca Pierdomenico
Costanzo Benedetta
Ferraro Giusy
Scutella' Michelagelo
Fonti usate:
enciclopedia treccani
libro "PER L'ALTO MARE APERTO", divina commedia a cura di Alessandro Marchi
libro "IMPARARE DAI CLASSICI A PROGETTARE IL FUTURO"
libro "MATEMATICA.AZZURRO 3" ZANICHELLI
libro "LE TRAIETTORIE DELLA FISICA.AZZURRO" ZANICHELLI
wikipedia
google per le immagini
...in fondo anche Dante aveva capito che la matematica è la chiave per comprendere il mondo