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Epigono, Galata

morente, ca 220 a.C.

Copia romana del I

secolo a.C. da originale

in bronzo. Marmo,

altezza 93 cm. Roma,

Musei Capitolini.

GALATA MORENTE

Con il Galata suicida e con altre opere di identificazione più complessa doveva fare parte del Donario di Attalo nella città di Pergamo.

Il gruppo del Galata suicida è più ricco di movimento e soggetto a una pluralità di possibili vedute. Le gambe divaricate del giovane e muscoloso guerriero consentono un equilibrio sicuro al corpo, a sua volta soggetto ad un moto di avvitamento, con busto e gambe protesi verso destra e la testa fiera rivolta a sinistra.

Mentre con il braccio destro si immerge la corta spada tra le clavicole, con il sinistro sorregge con gesto virile e pietoso il corpo della compagna che lentamente, già piegata sulle ginocchia, si abbandona alla morte.

Il riconoscimento del valore e della forza del nemico barbaro non è, però, da intendere quale rispetto del vinto, dal momento che i Greci consideravano sostanzialmente spregevoli i Galati, ma come motivo che rendeva maggior gloria al re Attalo I, capace di vincere anche popolazioni così fi ere e

bellicose.

GALATA SUICIDA

Epigono, Galata

suicida, ca 220 a.C,

copia romana del

I secolo a.C. da

originale in bronzo.

Marmo, altezza 211

cm. Roma, Museo

Nazionale Romano,

Palazzo Altemps.

Le statue del Galata morente e del Galata suicida, assieme ad altre, erano poste su un alto basamento circolare quasi al centro della terrazza. La loro disposizione era tale da suggerire un moto ascensionale, che originandosi dal Galata morente culminava nell’impugnatura della spada del Galata suicida, e uno discendente, che dalla spada conduceva fino alla giovane donna accasciata alla sua sinistra.

I volti dei personaggi maschili denotano forza, coraggio, fierezza, pur nel momento estremo della morte; quello della giovane donna appare, invece, già completamente rilassato nel sonno eterno.

La statua raffigura, con grande realismo (specie nel volto), un guerriero galata morente, semisdraiato e col volto rivolto in basso. Il soggetto presenta i tratti tipici del guerriero celtico, considerando gli zigomi alti, l'acconciatura dei capelli, dalle folte e lunghe ciocche, e i baffi.

Eccezion fatta per una torque intorno al collo (la collana tipica di quelle popolazioni), il guerriero è completamente nudo. Sulla base, attorno ad esso alcune armi abbandonate. Col tipico patetismo della scuola di Pergamo, l'artista evidenziò il dolore dello sconfitto, accentuandone il coraggio e il valore e quindi, dall'altro lato, le qualità militari dei vincitori.

Giace sul proprio scudo ed è pensato essenzialmente per una veduta frontale, nonostante la complessità degli atteggiamenti.

Infatti, la gamba destra è piegata e portata sotto quella sinistra distesa; il braccio destro è tirato indietro perché la mano, poggiata a terra, possa far leva in un ultimo tentativo dell’uomo,

mortalmente ferito, di risollevarsi.

La mano sinistra, portata sul ginocchio destro, è quasi un puntello per il busto che appare appena ruotato, in una soluzione contrapposta alla direzione delle gambe. Infine, la testa, dalla fronte aggrottata, tesa nello sforzo, è reclinata.

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