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Pensiero computazionale

A.D. Salerno Giuseppe

Il concetto di “pensiero computazionale” è stato introdotto

per la prima volta da Seymour Papert nel 1996

parlando di LOGO, il linguaggio di programmazione da

lui sviluppato al MIT per insegnare la programmazione ai

bambini.

Il “pensiero computazionale” è tornato di recente agli

onori della cronaca anche grazie a illustri testimonial che

ne hanno evidenziato l’importanza, non ultimo il Presidente

degli Stati Uniti Barack Obama che durante l’edizione

2013 della Computer Science Education Week si è

rivolto ai giovani dicendo “Non limitatevi a giocare con

i vostri smartphone, programmateli!”. Nell’edizione 2014

del medesimo evento Barack Obama si è spinto addirittura

oltre dando lui stesso il buon esempio e scrivendo le

sue prime righe di codice.

Nonostante il termine “computazionale” possa indurre a

pensare che il pensiero computazionale sia un’abilità utile

solo a chi ha fatto dell’informatica la propria professione,

si tratta di una skill fondamentale che tutti dovrebbero

possedere, in particolare quei giovani che desiderano non

farsi sfuggire le opportunità che il futuro porrà loro dinanzi

nei prossimi anni. È ormai universalmente riconosciuto

che per riuscire bene nel proprio futuro professionale i

giovani dovranno “imparare a imparare” e non limitarsi

a fornire risposte preconfezionate: in questa direzione si

muovono le raccomandazioni dell’Unione Europea in materia

di istruzione che sono state recepite dal MIUR anche

con l’introduzione della programmazione nelle scuole a

partire dalla primaria. Perché così come leggere, scrivere

e contare sono abilità che è importante imparare fin da

bambini anche il pensiero computazionale deve essere

appreso ed esercitato fin dai primi anni di scuola.

Così come l’invenzione della stampa ha facilitato la diffusione

dell’alfabetizzazione, così oggi la programmazione

e i computer facilitano l’acquisizione e la diffusione del

pensiero computazionale.

Il pensiero computazionale prende a prestito concetti e

strumenti propri dell’informatica per trovare soluzioni innovative

e creative ai problemi di ogni giorno.

Questo non significa che gli esseri umani devono imparare

a pensare come i computer: il pensiero computazionale

è il modo in cui gli esseri umani insegnano ai computer

a risolvere i problemi e non viceversa. I computer sono

stupidi e noiosi e solo grazie agli esseri umani possono

diventare strumenti utili e interessanti: l’unico limite a

quello che i computer sono in grado di fare è costituito

dalla nostra creatività e immaginazione.

Sono in molti oggi a credere che il pensiero computazionale

costituisca la quarta abilità di base oltre a saper

leggere, scrivere e fare di calcolo. Ed è per questo motivo

che va facendosi strada sempre più la convinzione che il

pensiero computazionale debba essere insegnato a ogni

bambino.

Papert fu colui che per primo coniò il termine “computational

thinking” è il padre di una teoria dell’apprendimento

nota come costruzionismo che sostiene che la mente

umana per poter imparare bene ha bisogno di creare

artefatti, ovvero rappresentazioni reali del mondo con

cui interagisce.

E il computer, secondo Papert, è un ottimo strumento didattico

poiché, grazie alla programmazione, può creare

questi artefatti.

Il testimone di Papert è stato raccolto da Mitchel Resnick

responsabile del Lifelong Kindergarten del MIT MediaLab

che con i suoi collaboratori ha realizzato un framework

per l’insegnamento del pensiero computazionale e la

valutazione dell’apprendimento che si fonda sulla convinzione

che i bambini possano acquisire il pensiero

computazionale programmando storie interattive e videogiochi

(gli artefatti di cui parlava Papert).

Il lavoro di questi anni di Resnick e dei suoi collaboratori ha

portato alla nascita di Scratch, un ambiente di programmazione

visuale che consente ai ragazzi di creare in maniera

semplice e intuitiva le proprie storie animate, giochi e

simulazioni: oggi Scratch conta una community di giovani

sviluppatori estesa in tutto il mondo ed è di fatto lo strumento

di riferimento per insegnare ai bambini il pensiero

computazionale attraverso la programmazione.

A oggi non esiste una definizione universalmente condivisa.

Quella che sembra mettere d’accordo il maggior numero

di esperti è la definizione formulata dalla dottoressa

Jeannette Wing, direttrice del Dipartimento di Informatica

della Carnegie Mellon University, secondo cui “è il processo

mentale che sta alla base della formulazione dei

problemi e delle loro soluzioni così che le soluzioni siano

rappresentate in una forma che può essere implementata

in maniera efficace da un elaboratore di informazioni sia

esso umano o artificiale”. Ovvero è lo sforzo che un individuo

deve mettere in atto per fornire a un altro individuo

o macchina tutte e sole le “istruzioni” necessarie affinché

questi eseguendole sia in grado di portare a termine il

compito dato.

Che cos’è il pensiero computazionale?

Se l’obiettivo che devo raggiungere è la costruzione di un

tavolino a partire dalle quattro gambe e dal piano d’appoggio,

dovrò innanzitutto individuare un linguaggio (per

esempio verbale o visuale) attraverso cui comunicare le

istruzioni a chi dovrà operativamente realizzare il tavolo

e poi tradurre i singoli step necessari alla costruzione in

istruzioni precise e inequivocabili.

Qual è il legame tra computer,

informatica e pensiero

computazionale?

La programmazione come strumento per sviluppare il

pensiero computazionale

I processi mentali tipici del pensiero computazionale

sono favoriti dall’approccio alla risoluzione dei problemi

che viene messo in atto da coloro che sviluppano programmi

per il computer: in altre parole il pensiero computazionale

è quello che adotta un informatico quando

affronta un problema. Esercitare il pensiero computazionale

significa quindi molto di più che saper scrivere righe

di codice.

Perché è importante il pensiero computazionale?

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