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Il mito

Medea figlia di Eete, re della Colchide, e di Idia. Era inoltre nipote di Elio (secondo altre fonti di Apollo) e della maga Circe, e come quest'ultima era dotata di poteri magici.

Invece secondo la variazione del mito (Diodoro Siculo), il sole, Elio, ebbe due figli, Perse e Eeta. Perse ebbe una figlia, Ecate, potentissima maga, che lo uccise e più tardi si congiunse con lo zio Eeta. Da questa unione sarebbero nati Circe, Medea ed Egialpo.

Quando Giasone arriva in Colchide insieme agli Argonauti alla ricerca del Vello d'oro, lei se ne innamora perdutamente. E pur di aiutarlo a raggiungere il suo scopo giunge a uccidere il fratello Apsirto, spargendone i poveri resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla nave Argo insieme a Giasone, divenuto suo sposo. Il padre, così, trovandosi costretto a raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungere la spedizione, e gli Argonauti tornano a Corinto con il Vello d'Oro.

Dopo dieci anni, però, Creonte, re della città, vuole dare sua figlia Glauce in sposa a Giasone, offrendo così a quest'ultimo la possibilità di successione al trono. Giasone accetta, abbandonando così sua moglie Medea.

Vista l'indifferenza di Giasone di fronte alla sua disperazione, Medea medita una tremenda vendetta. Fingendosi rassegnata, manda in dono un mantello alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che il dono è pieno di veleno, lo indossa per poi morire fra dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in aiuto, tocca anch'egli il mantello, e muore. Ma la vendetta di Medea non finisce qui. Secondo la tragedia di Euripide, per assicurarsi che Giasone non abbia discendenza, uccide i figli (Mermo e Fere) avuti con lui: il dolore per la perdita dei propri discendenti porta Giasone al suicidio.

Fuggita ad Atene, a bordo del carro del Sole, Medea sposa Egeo, dal quale ha un figlio, Medo. A lui Medea vuole lasciare il trono di Atene, finché Teseo non giunge in città. Egeo ignora che Teseo sia suo figlio, e Medea, che vede ostacolati i suoi piani per Medo, suggerisce al marito di uccidere il nuovo venuto durante un banchetto. Ma all'ultimo istante Egeo riconosce suo figlio, e Medea è costretta a fuggire di nuovo. Torna nella Colchide, dove si ricongiunge e si riappacifica con il padre Eete.

Attribuita ad Apollodoro, la Biblioteca è un antico testo suddiviso in tre libri che contiene un'ampia raccolta di leggende tradizionali appartenenti alla mitologia greca e all'epica eroica. Unica opera di questo tipo a essere giunta fino a noi dall'antichità classica, la Biblioteca è una guida fondamentale allo studio della mitologia greca, che tratta a partire dalle leggende sull'origine dell'universo fino alle vicende della guerra di Troia. La Biblioteca è stata usata come fonte dai classicisti a partire dall'epoca della sua compilazione - I secolo / II secolo - fino a oggi, e ha esercitato la sua influenza su scrittori di tutte le epoche. Contiene la storia completa dei miti greci e racconta la cronologia di tutte le più importanti dinastie eroiche, raccontando diffusamente gli episodi legati alle figure degli eroi e delle eroine principali come Giasone, Perseo, Eracle ed Elena.

La vicenda di Medea non è iscritta nella tranquillizzante storia sacra del mito; l'infanticidio è solo il terribile dramma privato di una donna ripudiata dal compagno, la soddisfazione dell'umano sentimento di vendetta di una persona vilipesa nel proprio orgoglio.

Rilevante è l'arrogante senso di superiorità razziale che il greco Giasone manifesta verso la barbara Medea quando le rinfaccia di averla strappata a una terra selvaggia per condurla fra gente civile ("Anzi tutto è terra di Grecia questa che tu abiti, e non un paese barbarico; e conosci giustizia, e puoi vivere secondo norme di leggi e non come piaccia a violenza. Tutti i Greci riconobbero la sapienza tua e ne hai acquistato fama. Se tu abitassi ancora laggiù, agli estremi confini del mondo, nessuno parlerebbe di te. Io per me, non vorrei avere nè oro nè melodia di canti più belli dei canti di Orfeo, se mi toccasse in sorte un vivere oscuro." Medea, vv. 536-544). Euripide mostra di non condividere l'arroganza ellenocentrica del suo personaggio: è infatti Medea a ricevere tutta la sua simpatia per l'evidenza del torto inflittole dal "civile" Giasone.

Medea è un film per la televisione danese del 1988 diretto da Lars von Trier, basandosi su una sceneggiatura che Carl Theodor Dreyer, maestro spirituale del regista, aveva preparato ma mai girato, ispirato dall'omonima tragedia di Euripide.

I GRANDI

ATTORI ITALIANI

Sarah Ferrati

in Medea di Euripide

Agamennone sacrifica la figlia Ifigenia per propiziare la partenza della flotta da Aulide.

Il pàthei màthos è la <<conoscenza per mezzo della sofferenza>>: la conoscenza è di norma preclusa ai mortali; perciò, se il potere che i mortali raggiungono lo consente, essi tendono alla dismisura, alla tracotanza, alla superbia, cioè alla hybris. Per conoscere questi limiti l'uomo deve soffrire. E' questa la giustificazione della sofferenza: il dio non distribuisce il dolore casualmente, ma secondo un intendimento didattico.

La tragedia riguarda la storia di Macbeth, generale di Duncan, re della Scozia. Macbeth, dopo la profezia delle tre streghe, è spinto dall'ambiziosa moglie a uccidere il monarca e prendere il suo posto. Così loro uccidono le guardie del re e i suoi due figli. Macbeth viene dopo incoronato ma, ricordando che le streghe avevano anche predetto che i discendenti di Banquo sarebbero diventati re dopo di lui, uccide anche il suo amico. Perseguitato dal fantasfa di Banquo e sospettato dai nobili, Macbeth uccide anche la famiglia di Macduff, la più pericolosa tra i rivali. Lady Macbeth diventa pazza e si suicida mentre Macbeth è attaccato da una coalizione tra i nobili scozzesi e inglesi. Durante la battaglia incontra Macduff, che lo uccide in duello e restituisce Malcolm al trono di Scozia.

Argonautiche 3, 962 ss

Il cuore le cadde dal petto, e gli occhi nell'istante

le si annebbiarono, e un caldo rossore le prese le guance:

più non aveva la forza di muovere indietro nè avanti

le ginocchia, ma al suolo piantati restavano i piedi

Saffo, fr. 31 Voigt

Mi sembra che sia uguale agli dei

quell’uomo che di fronte a te

siede e (standoti) vicino ascolta (te)

che parli dolcemente

e amabilmente ridi, e questo davvero

mi fa balzare il cuore nel petto,

come infatti io ti vedo, subito

non mi è più possibile dire nulla,

ma la lingua si spezza, sottile

un fuoco subito mi scorre sotto la pelle,

non vedo nulla con gli occhi,

ronzano le orecchie,

un freddo sudore mi avvolge, un tremito

(mi) prende tutta, e più verde dell’erba

(io) sono, e poco lontana dall’esser morta

sembro a me stessa.

Ma tutto si può sopportare, poiché….

Catullo, Carme 51

Mi sembra che sia pari ad un dio

se è lecito, (mi sembra) che superi gli dèi,

colui che, sedendoti di fronte, continuamente ti guarda e (ti) ascolta

mentre sorridi dolcemente, cosa questa che a me misero

strappa tutte le facoltà; infatti non appena,

o Lesbia, ti vedo, non mi rimane più

<un fil di voce (lett.: nulla di voce in bocca)>,

ma la lingua si intorpidisce, un fuoco sottile

si insinua sotto le membra, per un suono interno

le orecchie rimbombano, entrambi

gli occhi si annebbiano

(lett.: gli occhi si ricoprono di una duplice notte).

...

v. img Bernard Picart (1673-1733), illustrazione per la traduzione delle Metamorfosi di Ovidio dal French of Abbot Banier, Amsterdam, 1732

Polarità ratio-furor

L'interesse di Seneca è quello di mettere in risalto gli effetti devastanti delle passioni più violente, in questo caso l’ira. Medea dunque rappresenta “l’anti-sapiens"; è guidata dal “furor", che va a sostituirsi completamente alla “ratio", cancellando ogni istinto razionale quale, ad esempio, quello materno. Mediante Medea Seneca giunge a dimostrare il potenziale distruttivo dell’ira, che non può in alcun modo convivere con la “ ratio ”.

Dialogorum libri:

De ira

Per Seneca l'ira è una delle passioni più deleterie e, come tale, deve essere estirpata in quanto impedisce all'uomo di vivere secondo la ratio e quindi di raggiungere la virtù e la felicità, che consiste nel liberarsi dalle passioni (apàtheia).

<<Illa est ira, quae rationem transilit, quae secum rapit>> (De ira II 3,4)

Quella è ira, che balza oltre la ragione, che ci trascina via con sè.

Euripide aveva cercato di proporre alcune attenuanti al comportamento di questa donna sola, abbandonata in una terra straniera, che solo dopo molti dubbi e incertezze si risolve al terribile delitto. Invece, nel riprendere la figura di Medea, Seneca è soprattutto interessato al carattere della protagonista, travolta dalla passione e dallo spirito di vendetta.

Diversamente da Euripide, il quale aveva escogitato un modo per consentire di vedere come gli eventi potessero apparire diversi a seconda dell'ottica con cui li si guardava (aveva lascito che fosse la nutrice a riassumere i fatti precedenti e a informare sulla condizione di Medea), Il prologo senecano riserva a Medea l'assolo d'apertura funzionale a far intendere in anticipo il susseguirsi dei truci pensieri di Medea e le sue ansie di vendetta.

<<Io prego voi con voce che non presagisce buon augurio. Ora, statemi accanto, dee vendicatrici del delitto [Furie], [...] consegnate alla morte la moglie nuova [Creusa], alla morte il suocero suo [Creonte, di Giasone] e la loro regale figliolanza - a me [concedete] un male maggiore da augurare al promesso sposo [...] [questa] casa procacciata con il delitto, con il delitto si deve lasciare.>>

Seneca, Medea, vv. 12-55. Trad. G. Viansino

v. img Medea Anselm Feuerbach

Nella parte introduttiva Draconzio afferma di voler fondere tutti i motivi tipici del mito di Medea; lo fa invocando la Musa Melpomene e la Musa Calliope. Medea e Giasone appaiono tutti mossi dal destino e dalla volontà degli dèi, legati come sono agli scontri tra Venere e Diana. Infatti la dea della caccia sentendosi tradita per il matrimonio della sua sacerdotessa scaglia una maledizione contro di lei, da cui si snoderà la morte del marito e dei figli. All'inizio Medea è descritta come una "virgo cruenta", ma viene definita maga solo a verso 343. Caratteristica di questo racconto è che è la donna a rubare il vello d'oro donandolo poi a Giasone, che appare per tutta la narrazione una figura passiva. Anche quando entra in scena Glauce l'eroe è semplice oggetto del desiderio, che la giovane otterrà anche a costo di rompere il legame matrimoniale che lo vincola. Entrambe le donne trasgrediscono così le norme morali: da un lato Medea tradisce la dea Diana, dall'altro Glauce porta al tradimento Giasone. Durante le nozze l'attenzione si concentra sulla coppia mentre Medea prepara la vendetta: sarà lei a donare a Glauce la corona da cui prenderà fuoco l'intero palazzo. Ma il punto culminante della tragedia è il sacrificio che Medea offre a Diana: i suoi figli, così che l'infanticidio non è più condotto per vendetta, ma come richiesta di perdono. Nella scena finale l'autore riprende l'episodio del carro, ma questa volta il volo della donna ha valore semantico e non narrativo: Medea si riunisce a Diana e ritorna la "virgo cruenta" dell'inizio della narrazione, lasciando a terra tutto ciò che era ancora legato a Giasone.

Alphonse Mucha,(1860-1939)Sarah Bernhardt in Medea di Euripide, 1898, Biblioteque des arts decoratifs, Parigi)

La Médée appartiene al periodo più fiorente dell'umanesimo e rinascimento francese presentando da una parte, il frutto della ricercata ispirazione ai due principali drammi antichi su Medea: la Medea di Seneca, in particolare, di cui riprende alcune parti significative della trama come la versione senechiana dello smembramento di Apsirto e la sua apparizione nel finale come ombra che conduce Medea all'assassinio dei figli, e, naturalmente, la Medea di Euripide; dall'altra enfatizzando la parte più cupa e passionale (nella crudeltà o nell'amore) di questa complessa figura drammatica della tragedia greca.

La prima edizione dell'opera («La Médée, tragédie et autres diverses poésies») risale al 1555 ed è stata pubblicata postuma come gran parte delle opere del giovane drammaturgo. Il dramma di La Péruse costituisce il capostipite delle diverse riproposizioni in lingua francese - da Pierre Corneille e Bernard de Longepierre a Marc-Antoine Charpentier - del tema tragico di Medea.

Come la Medea euripidea, anche quella delineata da Corneille nella sua tragedia scritta nel 1634 si vendica dei nemici e sopprime la prole non in preda alle smanie di una gelosia erotica incontrollabile, ma in nome di un codice etico e comportamentale superiore. La Medea di Corneille abiura quella fede nei sortilegi e nelle stregonerie che l'ha resa famosa tra tutti i popoli e si tramuta nell’ apostolo del classicismo contro il barocco e dell'ordine contro il disordine, integerrimo nel carattere e inflessibile nella volontà, coraggioso, sprezzante della sorte e fieramente solitario.

Novità:

• Medea non rivela le vere intenzioni omicide al coro di donne corinzie;

• il dono di Medea è richiesto dalla stessa figlia di Creonte;

• Creonte prova la veste su una condannata a morte;

• Egeo ospiterà Medea per ringraziarla di averlo liberato dalla prigionia subita per amore di Creusa. In Euripide è un passante con cui ha modo di lamentarsi Medea e che le offre un rifugio;

• Giasone appare calcolatore scaltro, capace di far innamorare Medea per avere successo in Colchide e Creusa per averlo in Grecia.

v. img Turner

Medea (Médée) è un'opera lirica in tre atti di Luigi Cherubini, su libretto di François-Benoît Hoffmann, basato sulla tragedia greca omonima di Euripide.

Nella Medea di Cherubini il conflitto severo tra la sua condizione di sposa rifiutata e di madre è vissuto in gran parte sotto il segno della maga, il femminile demoniaco che le impedisce di trasformare la grande energia reattiva di cui è portatrice in saggezza d'amore. La visione dell'innocenza pura e della fragilità dei piccoli figli non riesce ad accompagnare e sublimare in lei la consapevolezza della sua colpa, del tradimento da lei effettuato della sua femminilità, che inevitabilmente l'ha fatta essere strumento delle forze del male. II dramma di Medea è, quindi, quello di un modello di femminilità che ha tradito tragicamente se stesso, assumendo in sé la reattività, la progettualità, le strategie comportamentali del maschile più perverso per poter arrivare all'orgogliosa e drammatica vendetta. Ella, uccidendo in primis la propria sensibilità e realtà psichica di donna e di madre, non può non determinare anche la fine del futuro degli altri protagonisti della vicenda. Il fiorentino L.Cherubini, uomo e musicista di grande personalità diventa figura di primo piano nella Francia di fine '700 in pieno clima rivoluzionario, e sa cogliere perfettamente questo dramma nel cuore di Medea. Si anticipa, dunque, per tanti aspetti la sensibilità romantica, si sottolinea il ruolo fondamentale dell'orchestra accanto al canto, il conflitto vero delle passioni, lo scandaglio dei sentimenti, il senso della tragedia che comunque sottende l'esistenza umana; si evidenzia la fragilità dell'uomo, la forza del Fato, del destino, il mistero della vita e soprattuto la forza dell'Amore.

v. img Medea, particolare di un dipinto di Henri Klagmann, Nancy, Musée des Beaux-Arts

Grillparzer (Vienna, 15 gennaio 1791 – Vienna, 21 gennaio 1872), scrittore e drammaturgo austriaco, scrisse una trilogia, Il vello d'oro, tutta incentrata sulla figura di Medea.

C’é dolore, espiazione e riscatto romantico. Assistiamo all’impossibilità di intendersi tra culture diverse – tema molto attuale – su come sia difficile, per uno straniero, cessare veramente di esserlo per gli altri.

Ne L'ospite, il cui titolo rimanda all'ospitalità data da Eeta a Frisso e all'uccisione di quest'ultimo, è la Medea ancora giovinetta, che vive, figlia di re, nella selvaggia ed esotica Colchide: cresciuta libera e fiera, è insofferente di ogni costrizione e, ancora acerba, insensibile all'amore.

Ne Gli Argonauti è la Medea innamorata che, dopo aver sostenuto un'aspra battaglia contro i propri sentimenti, viene travolta dalla passione per Giasone e, una volta traditi, vinta dalla potenza di eros, il padre e la patria, fugge con lui e giunge, al termine di un avventuroso viaggio, in Grecia ( è questa l'ultima parte della trilogia, Medea) dove si compie la sua tragedia.

A Corinto Medea è la barbara, la straniera, l'inquietante maga. Circolano voci, calunnie, secondo cui avrebbe ucciso il padre, il fratello Absirto, il tiranno Pelia: ella prova a difendersi, seppellendo, anche materialmente, ogni cosa del passato, per divenire greca ed essere così accettata. Ma i Greci la odiano, ne hanno orrore, Creonte e Creusa provano per lei una ripugnanza aumentata dal suo aspetto fisico di orientale (compare per la prima volta questo tema); perfino in Giasone Medea provoca ormai solo insofferenza e ripulsione. Alla fine, quando viene annunciato il matrimonio tra Giasone e Creusa, ed è deciso l'esilio di Medea, il dolore per lei è troppo grande, insopportabile: finanche i figli, i suoi figli, la respingono e scelgono per "madre" Creusa. Medea, una creatura non crudele per natura, giunge a compiere un gesto disumano.

Ma la Medea di Grillparzer non si conclude con l'infanticidio: alla fine, l'eroina rincontra per la ultima volta Giasone, avvolta nel Vello d'oro, il Vello maledetto da cui tutte le sciagure hanno inizio, e le sue parole per lui sono parole di dolore, ma non di rancore: il discorso che rivolge al suo antico sposo è ancora pervaso dell'amore che li aveva un tempo uniti. I due protagonisti della vicenda si separano, immersi ciascuno nel proprio dolore: ora per loro è tempo di espiazione.

Anouhil si rifà alla tragedia di Seneca; l'atto unico è suddiviso in tre principali sequenze, costituite dai dialoghi di Medea con la nutrice, di Medea e Creonte, di Medea e Giasone.Il dramma si apre con questa scena: ridotte a due povere vagabonde, Medea e la nutrice si trovano davanti al loro carro, ai limiti della città di Corinto, mentre dalla reggia di Creonte giungono rumori di festa; infatti, si stanno preparando le nozze di Giasone con la figlia del re, Creusa. Quando giunge un messo ad annunciare l'imminenza delle nozze (l'indomani), la situazione precipita: Medea da moglie abbandonata, recupera la forza di lottare contro il destino, provoca, mediante i doni avvelenati, la morte di Creonte e di Creusa e il fuoco, che ha già distrutto il palazzo del re, brucia anche il carrozzone, con Medea stessa e i figlioletti uccisi dalla madre, in una sorta di rito purificatorio, dopo il quale la città può tornare alla normalità.

1949. Da carnefice a vittima:

la Medea perseguitata di Corrado Alvaro

Dopoguerra: clima in cui il tema della persecuzione razziale era estremamente attuale.

Dichiara lo stesso Alvaro in un'intervista alla radio dell'epoca: "Ho visto in Medea l'antenata di tante donne su cui, nei secoli, nella vita e nell'arte, si sono abbattute le persecuzioni razziali. La mia Medea non uccide i figli per distruggere in essi il seme di Giasone, ma per salvarli dalla degradazione, dalla miseria, dai pericoli della strada".

Medea desidera una sorte migliore della propria per i suoi figli

Medea manda i fanciulli a portare i doni nuziali, non avvelenati, a Creusa, sperando nella pietà della giovane sposa per quelle innocenti creature, così che almeno loro non debbano conoscere l'infamia dell'esilio: " Voglio che gli occhi della sposa si abbaglino su quel tesoro e perdonino ai miei figli di esistere...".

Ma, a questo punto, l'odio del popolo corinzio nei confronti della barbara, e delle sue creature, esplode: i doni vengono detti avvelenati, i piccoli debbono fuggire dalla reggia, inseguiti dalla folla che li vuole linciare. L'uscio della casa di Medea crolla sotto i colpi della folla: ella allora si para dinanzi alla porta dei figli : "Aspettate. Ve li consegnerò io stessa", entra nella loro stanza e, pietosamente, li uccide. Quando Giasone giunge sulla scena, la tragedia si è compiuta: Medea, pazza di dolore, invoca anche per sé pietà, invoca la morte. Nel frattempo, giunge Creonte ad annunciare che anche Creusa è morta e non per mano di Medea: era salita sulla torre più alta per capire cosa accadeva; vedendo la folla gettarsi sui fanciulli si era coperta gli occhi col velo ed era caduta. Tutto è perduto, oramai: Medea, sola, rimane sulla scena e pronuncia queste parole: " Ci hanno lasciati soli. Sono andati a raccontare i nostri fatti e a consolarsi di non essere né potenti, né ricchi, né forti. E dovremo vivere ancora. Toccherà ancora vivere. Solo gli dei sanno chi per primo ha fatto il male".

Il balletto di Medea fu composto nel 1947 da Samuel Barber (1920-1981), uno dei più noti compositori americani. La musica, così lirica, aritmicamente complessa e armonicamente ricca, si fonde perfettamente con il personaggio passionale e drammatico di Medea. Carla Fracci raggiuge, nell'interpretazione di questo personaggio, una eccezionale ed ineguagliata intensità, rendendo in modo perfetto le vere passioni di ogni donna innamorata.

Medea è il film di Pier Paolo Pasolini interpretato da Maria Callas, già divina interprete della Medea di Cherubini, nel 1970. Nella versione di Pasolini torna il tema del conflitto tra due culture, quella della Colchide e quella della Grecia, di un mondo primitivo opposto ad uno moderno, della sacralità opposta al razionalismo. Ma c'è, nel rapporto tra Medea e Giasone, molto di più: Massimo Fusillo, autore dello splendido libro La Grecia secondo Pasolini, parla di bipolarità psicoanalitica (tra Es ed Ego) e politica (Occidente e Terzo Mondo) da sovrapporre a quella culturale. Medea esprime in sé tutto quanto la società occidentale, borghese, razionalistica rifiuta e rimuove.

La parola all'autore

Ad una prima domanda sul perché della scelta di questo mito, Pasolini risponde così: “Il tema, come sempre nei miei film, è una specie di rapporto ideale, e sempre irrisolto, tra un mondo povero, plebeo, diciamo sottoproletario e un mondo colto, borghese storico. Questa volta ho affrontato direttamente questo tema: Medea è l'eroina di un mondo sottoproletario, arcaico, religioso; Giasone, invece, è l'eroe di un mondo razionale, laico, moderno ed il loro amore rappresenta il conflitto tra questi due mondi”.

Interrogato, poi, sulle motivazioni della "doppia morte" di Glauce nel film, Pasolini dice: “ Glauce muore due volte, il destino si ripete due volte, ma perché la prima è un sogno, la seconda è la realtà. Medea viene da un mondo arcaico religioso, in cui si fanno ancora dei sacrifici umani, quindi preistorico. Passa dieci anni a Corinto, in seno a una civiltà molto evoluta, opulenta; questi dieci anni l'hanno levigata, le hanno fatto acquisire certi aspetti esteriori di una donna moderna, elegante; nel suo fondo è però incancellabile la sua origine, che viene fuori in questa visione in cui immagina di vendicarsi crudelmente, violentemente, come è nel suo carattere di barbara, attraverso una opera di magia. E quindi sogna il mito, il mito di Euripide, cioè di mandare dei vestiti magici a Glauce, che li indossa, brucia e muore; e così si compie la vendetta di Medea barbara. Poi Medea si risveglia e ritorna nel mondo della realtà; ma pian piano le cose si mettono in modo che avviene nella realtà quello che lei aveva sognato. La morte, però, il riaccadimento del destino non avviene per ragioni mitiche, e magiche, ma per ragioni psicologiche, perché nell'epoca moderna quello che conta sono le ragioni psicologiche, razionali, determinabili. E' una mia vecchia polemica contro la civiltà borghese e razionale: la ragione è il centro della civiltà borghese e piccolo-borghese, mentre tutto ciò che è irrazionale, ad esempio l'arte, contesta questo. Il potere si fonda sempre sulla ragione. E allora in Medea ho voluto dimostrare, in maniera assolutamente favolosa, mitica e narrativa, la violenza incancellabile dell'irrazionalità.”

Medea è un melodramma in un solo atto composto nel 1775 da Georg Benda su libretto di Friedrich Wilhelm Gotter (scritto nel 1763).L'opera venne considerata dai contemporanei una rottura nella tradizione musicale del tempo. Benda la compose a 52 anni, nella sua piena maturità, e fu spunto per la successiva opera di Wolfgang Amadeus Mozart, come egli stesso testimonia nei suoi scritti.Secondo alcuni critici, Benda anticipò in quest'opera addirittura alcune delle caratteristiche musicali presenti nella musica di Richard Wagner.Il librettista Gotter, drammaturgo tedesco oppositore del movimento Sturm und Drang che si stava affermando in quel periodo in Germania, si richiamava ai temi della cultura classica. Nella sua Medea rappresentò le vicende della figura mitologica rifacendosi alle omonime tragedie di Euripide e di Ovidio.L'opera fu rappresentata per la prima volta al Theater am Rannstädter Tora di Lipsia il 1º maggio 1775. La parte della protagonista fu affidata a Sophie Seyler, attrice e moglie dell'impresario teatrale Abel Seyler, che aveva commissionato appositamente il melodramma alla coppia di autori dopo che la rivale artistica della consorte, Charlotte Brandes, aveva ottenuto un grande successo nel melodramma Ariadne auf Naxos nel gennaio dello stesso anno.La Medea di Benda riscosse subito grandi consensi, e fu messa in scena in altre città tedesche. Mozart assistette all'opera nel 1778 a Mannheim. Venne tradotta anche in altre lingue, tra cui italiano, danese (da Frederik Schwarz) e ceco.

Médée (Medea) è una tragédie-lyrique in cinque atti e un prologo composta da Marc-Antoine Charpentier, utilizzando come libretto una riduzione della Medea di Pierre Corneille. Fu rappresentata per la prima volta a Parigi presso il Théâtre du Palais-Royal il 4 dicembre 1693. L'opera, il cui spartito venne pubblicato da Christophe Ballard nel 1694, fu dedicata al re Luigi XIV di Francia, che assistette alla prima. Si apre infatti con un prologo celebrativo, in cui la Vittoria e la Gloria cantano le lodi del monarca, che non ha alcun legame con le successive vicende di Medea e Giasone. Nonostante il gradimento da parte del re, la recensione favorevole pubblicata dal Mercure, e il successo di pubblico nelle repliche, l'opera finì presto fuori repertorio perché osteggiata dai sostenitori di Jean-Baptiste Lully, guidati da Lecerf de la Viéville, nonostante la morte del compositore fosse avvenuta sei anni prima. Si hanno notizie di una rappresentazione a Lilla nel 1711.L'opera venne riscoperta solo alla fine del XX secolo. Nel 1984 fu eseguita da William Christie, e messa in scena all'Opéra de Lyon con la regia di Robert Wilson.

Fra le numerosissime tipologie di figlicidio, ricompare nella cronaca il motivo di Medea, cioè dell’uccisione violenta del proprio figlio per soddisfare un proposito di vendetta nei confronti del proprio compagno. Si definisce nei termini della cosiddetta “Sindrome di Medea” l’uccisione del figlio o dei figli, quasi sempre da parte della madre, per vendicarsi di torti, reali o presunti, subiti dal proprio compagno. Il richiamo è evidentemente al motivo mitico antico dell’uccisione dei figli di Medea: come il loro modello mitico, queste madri vendicative attuali (retaliating mothers) utilizzano, nel conflitto con il partner, il figlio come se fosse un’arma, un oggetto inanimato. Il figlicidio di Medea, in una prospettiva psicanalitica, si iscrive in una dinamica di invidia: i figli sono uccisi perché si interrompa la linea di discendenza del marito, quindi, in quanto sono parte di lui, per amputarlo, o anche vicariamente all’uccisione del padre stesso. Ma oltre al mero proposito di vendetta, sembra essere sotteso a questo genere di uccisione anche un desiderio di “realizzazione allucinatoria del possesso totale dei propri figli”, con un’evidente estromissione del padre: se Medea uccide i bambini non è affatto perché li percepisce come propri, ma proprio perché “sa” che essi sono del loro padre. L’appropriazione da parte della madre alla fine avviene, ma al prezzo paradossale della morte stessa dei figli. Non di rado, anche nell’attualità, l’uccisione dei figli da parte di madri per la cosiddetta sindrome di Medea ha luogo in effetti in contesti di accesa conflittualità col partner, laddove la madre teme, a ragione o a torto, che il compagno le voglia sottrarre i figli. I figli diventano in questa prospettiva una sorta di bene materiale cui la madre ha dato la vita e a cui ella può conseguentemente anche toglierla pur di riappropriarsene.

di Alessandra Graziottin - Lunedì 14 Febbraio 2011

VENEZIA - «Io, senza te, non vivo. Ma tu, senza me, morirai lentamente. Morirai ogni giorno, senza più pace». È questo il pensiero che sembra aver ispirato la lucida strategia di vendetta di Matthias Schepp, ingegnere, separato e padre delle due gemelline di sei anni, Alessia e Livia, scomparse […] L’uomo si è suicidato lanciandosi sotto un treno. Ha portato con sé il segreto delle sue bimbe, delle loro ultime ore, ma anche della loro angoscia e solitudine disperata. […] Ha scritto Schepp: “Senza l’affidamento congiunto non ce la faccio. Sono completamente pazzo, allo stremo, distrutto. Aiuto!”. […] Ratio et furor, mens et cupido, la ragione e la furia, la mente e il desiderio, di cui parla Ovidio, collidono ed esplodono in Medea (che uccide i figli per vendetta contro Giasone, che l’aveva abbandonata). Ma possono esplodere anche nell’uomo che vede nella scomparsa e, si teme, nell’ uccisione delle figlie il modo più atroce di vendicarsi per sempre. Schepp tacita col suicidio il proprio tormento, cosa che Medea non fa. E condanna al tempo stesso l’ex moglie a un tormento e a un’assenza infinita. “Tu non mi volevi dare le bambine in affidamento congiunto. E io te le tolgo per sempre”. […]

Entrambi (sia Matthias che Medea) riflettono il tipico eroe tragico descritto spesso da Sofocle, come Aiace, Antigone, Elettra, Edipo che portano all'estremo (fino all'autodistruzione) in un misto di eroismo e di ferocia, le scelte scaturite dalla loro physis, cioè dallo strato più profondo della loro natura. Come Medea si vendica dopo essere stata ripudiata da Giasone, suo marito, così Matthias mette in moto il suo "folle viaggio" (come viene definito dai media) dopo che la moglie chiede la separazione. Sia Matthias che Medea non accettano in alcun modo questa scelta, tantomeno un compromesso, anzi sono ossessionati da un sentimento di vendetta.

Matthias invia una lettera suicida alla moglie:

"Sono già completamente pazzo, malato, allo stremo, distrutto! Aiuto!! Non ne posso più, non ce la faccio più! Invece di un dialogo ragionevole, ho avuto come risposta questi avvocati di m... Tutti volevano aiutarmi, soltanto tu no! Mia moglie! Non hai avuto tempo neanche una volta per parlare, per venire a Neuchatel, era uno sforzo troppo grande per te, ed è per questo che sono andato fuori di testa! Ora non voglio più nessun aiuto, è troppo tardi. Ti ho sempre amata!!!! Tutto ciò che volevo era una famiglia! Perdere te è stata già abbastanza dura, ma poi anche le bambine era troppo. Presumibilmente sono malato, ma non so di che cosa. Ciao per sempre! Non ne posso più! Mi dispiace enormemente, ma non c'è più nulla da fare."

In un monologo del dramma di Euripide, si legge che Medea prima vacilla, poi però conferma la sentenza di morte nei confronti dei propri figli ("bisogna osare questo", verso 1051) per non essere derisa lasciando impuniti i nemici. Quando Giasone le domanda: "hai ritenuto giusto ucciderli per il letto?" (v. 1367), la madre oltraggiata risponde: "pensi che questa sia una sciagura piccola per una donna?" (v. 1368). Ancora, quando Giasone in uno degli ultimi versi (1396) li invoca: "o figli carissimi", Medea replica: "alla madre sì, a te no"; allora il padre domanda: "e poi li hai uccisi?", e l'infanticida risponde: "Per tormentare te" (v. 1398).

  • Nelle parole di Medea come in quelle di Matthias sembrerebbe emergere una difesa disperata della propria identità, che trova nell'annientamento, e non solo nella resa incondizionata, dell'Altro (il nemico) una ragione d'essere.

  • Mentre Medea confessa apertamente a Giasone di aver ucciso i loro figli per tormentarlo, Matthias, probabilmente, ha trovato nel suicidio la concretizzazione della sua fantasia di vendetta e di punizione neiconfronti della moglie, e forse anche la fantasia di una nuova vita.

  • Medea inizia una nuova discendenza, a partire dal figlio Medo, custode dell'antica identità materna.

  • Matthias termina la sua vita, oltre che la sua discendenza, e di lui nessuno vuole sapere più niente, tanto che neanche i familiari reclamano la sua salma

L'americana Diane Downs, nel 1983, sparò ai suoi tre figli uccidendone una

Delitto di Cogne - Annamaria Franzoni, il 30 gennaio 2002, uccide il figlio Samuele

tratto da: IL CORRIERE DELLA SERA.it

Mary Patrizio divorzia in sei minuti

Lecco - Mary Patrizio, 33 anni, ha divorziato dal marito. La mamma di Casatenovo, condannata per aver ucciso nel maggio 2005 il piccolo Mirko di 5 mesi annegandolo nel bagnetto di casa e attualmente reclusa a Castiglione delle Stiviere, ieri (nella foto l' arrivo in tribunale), dopo un' udienza di soli 6 minuti, ha accettato lo scioglimento del matrimonio con Cristian Magni, sposato nel 2000 e papà di Mirko.

29 maggio 2009

Realizzato da: Federica Rosato

Liceo Classico "T. Campanella", RC

Classe III sez. H

A.S. 2012-2013

Bibliografia e fonti:

  • M. Casertano, G. Nuzzo, "Storia e testi della letteratura greca 3", Ed. Palumbo
  • M. Casertano, G. Nuzzo, "Storia e testi della letteratura greca 2,I" Ed. Palumbo
  • A. Roncoroni, R. Gazich, E. Marinoni, E. Sada, "Documenta humanitatis 3" Ed. Signorelli scuola
  • http://www.ledonline.it/ledonline/diritto-e-teatro/Medea-Seneca-Rizzelli.pdf
  • http://osservatoriodiconfine.blogspot.it/2010/04/historica-ovidiana-la-medea-di-ovidio.html
  • http://it.wikipedia.org/
  • http://www.youtube.com/
  • http://www.liceozingarelli.it/progetti/0506/figure/figure_femminili.pdf http://www.senecio.it/sag/medeanota.pdf
  • http://blog.libero.it/mondoaparte/3604844.html
  • http://utenti.multimania.it/prosashokka/medea.html
  • http://gallery.pianetascuola.it/albums/galleria/risorse/secondaria_secondo/latino/cipriani_letteratura_latina/01_ennio.pdf http://www.carlafracciparfums.it/medea_base_ita.swf
  • http://romeozoppi.net/studi/medea.pdf
  • http://www.drammaturgia.it/recensioni/recensione2.php?id=3263
  • http://liceo-carducci-nola.blogspot.it/2011/12/la-medea-di-corneille.html
  • http://studenti.liceobeccaria.it
  • http://www.lett.units.it/ Tesi di Laurea OLTRE MEDEA: MADRI ASSASSINE E PADRI SACRIFICATORI FRA MITO, RITO E CRONACA
  • http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=138545&sez=SCIENZA&ssez=MEDICINAESALUTE
  • http://www.humantrainer.com/articoli/medea-matthias-schepp-gemelline-scomparse.pdf
  • http://archiviostorico.corriere.it/2009/maggio/29/Mary_Patrizio_divorzia_sei_minuti_co_7_090529043.shtml

La lunga notte di Medea

Christa Wolf: il rovesciamento del mito

Commento

Lucida e irrazionale, affettuosa ma possessiva, generatrice e distruttrice, colpevole e innocente, Medea è un personaggio multiforme che racchiude in sé svariate contraddizioni e numerose sfaccettature, che sono state colte in modo diverso dagli artisti di tutti i tempi, i quali hanno interpretato questa famosa figura in base al contesto sociale e culturale in cui hanno operato, condannandola o difendendola. Medea è, quindi, un personaggio complesso, che si è rivelato nelle sue varie sfumature nel corso del tempo, fungendo spesso da mezzo tramite il quale sono stati espressi temi o ideologie di un singolo autore (come, ad esempio, la concezione dell’ira secondo Seneca) o di un’epoca (come la persecuzione razziale del XX secolo, a cui fa riferimento Corrado Alvaro). Il motivo per il quale Medea ha riscosso così tanta fortuna è, a mio parere, il suo carattere profondamente umano: Medea prova sentimenti quali la benevolenza, l’amore, l’avversione, l’odio, manifestando, di questi, persino l’aspetto più estremo. Chi di noi non si è immedesimato, almeno per un istante, in questo grande personaggio? Chi non ha mai provato, anche solo per un attimo, le sue stesse emozioni? Medea non è solo una figura del mito, della poesia o del cinema. Medea è la passione che è in ognuno di noi, quella più recondita. Ed è per questo che Medea è sempre così attuale, destinata ad essere immortale.

Medea viene privata dall'autrice di qualsiasi tratto demoniaco, malefico: è la donna saggia, "colei che sa consigliare e provvedere", libera e orgogliosa creatura. Ben lungi da rappresentare l'oscura irrazionalità, la Medea che Wolf ci presenta "rivendica l'archetipo della chiarezza, lo scandalo della ragione". I corinzi hanno paura di Medea, che mette in crisi le loro credenze, che non si piega a venerare i loro idoli, che cammina per le strade della città non come un'esule, ma come una regina, che indaga con i suoi occhi dorati le pieghe più intime dell'animo umano. Tutta la serie di misfatti che, con e dopo Euripide, le vengono attribuiti sono solo il frutto di questa paura: la società ha bisogno di creare il mostro, di trovare un capro espiatorio e di scaricare così ogni responsabilità. Medea è innocente: non ha ucciso Apsirto, ma il ragazzo è morto per mano del padre; non ha compiuto delitti in Iolco; non ha assassinato Glauce: come era anche nella tragedia di Corrado Alvaro le vesti di cui le aveva fatto dono vengono dette avvelenate dalla folla per giustificare ancora l'odio contro la donna di Colchide. Medea non ha ucciso i propri figli: i Corinzi li hanno lapidati, curando che il delitto ricadesse sulla madre. Medea è innocente: ma tutti la vogliono colpevole.

Il Kòsmos di Jean Anouilh

Giasone

Medea

Ragione, ordine e pace

Passione, disordine e violenza

Medea in Boccaccio

De Mulieribus claris

Messaggio del dramma: stabilire l'ordine

Medea muore, Giasone trionfa

Medea viene descritta da Boccaccio nella sua opera, insieme ad altre 105 donne.

Scopo morale: attraverso le loro azioni, sia buone che cattive, l'autore intendeva presentare degli esempi e spronare alla virtù.

nell'attualità!

Medea

Tratto da: IL GAZZETTINO.it

Il parere degli psicologi

Passioni e solitudini/ Gemelle scomparse:

maschi deboli, oggi Medea è un uomo

Si può parlare di PAS (Sindrome da Alienazione Parentale)?

Musica

Oggi potremmo anche parlare di un caso estremo di PAS ("Parental Alienation Syndrome"), in cui i bambini vengono strumentalizzati da un genitore (genitore alienatore) per distruggere la figura dell'altro (genitore alienato obersaglio).

Darnall (1998) propone una tipologia di alienatore ossessivo (alienatore con causa), che tende a percepire se stesso come tradito e ad attribuire all'altro genitore il fallimento del matrimonio, la sua ragione di vita diventa la vendetta per tutti i "torti" subiti, di cui il divorzio rappresenta l'espressione massima.

La parole di Matthias e Medea a confronto

Balletto

Altre Medee

Medea di Samuel Barber

La Medea di Draconzio: la “virgo cruenta”

.Samuel Barber - Medea (Ballet Suite), Op. 23 .

Giasone,

opera di Francesco Cavalli

v. file video

Medea, opera di Georg Benda

Al cinenema con . . .

Medea, tragedia di Ernst Legouvé

Cratere lucano a figure rosse, 400 a.C. Cleveland Museum of Art, Medea sul carro, particolare

Medea uccide i suoi figli, vaso a figure rosse, 485-405 a.C. ca

Medea, opera di Marc-Antoine Charpentier

. . . Pasolini!

Medea, tragedia di Jean de la Péruse

Rappresentazione: Parigi, 1856, in una traduzione in italiano e nell'interpretazione di Adelaide Ristori.

Modelli: Euripide e Seneca

Novità: Rivalità tra le due mogli di Giasone

Figura di Medea: rappresenta allo stesso tempo la figura delle fedeltà di una moglie e l'aspetto della follia.

Adelaide Ristori in Medea

Callas interpreta Medea

Valerio Flacco

Una Medea giovinetta

Medea di Lodovico Dolce

Medea in Colchide

Amore: malattia dell'anima che brucia e annulla la volontà ed esaurisce le energie psichiche in uno scontro sfibrante contro il pudor.

  • Fanciulla innamorata
  • Abile maga in grado di dominare la natura con filtri e incantesimi
  • Animata da pietas filiale

Medea in Corinto

Simile a:

Eneide, libro IV

  • Moglie tradita
  • Percorso psicologico verso la trasgressione devastante dell'eros
  • Terribile maga vendicativa

V. img Pierre-Narcisse Guérin, Didone ed Enea

La tragedia di Seneca

Medea è una tragedia di Lodovico Dolce, tratta dall'omonima opera di Euripide, edita a Venezia dal Giolito nel 1557. Come le altre tragedie dello stesso autore, la Medea del Dolce un largo rifacimento dell'originale greco. Non può esser definita una traduzione, nonostante la scarsa fedeltà all'originale delle traduzioni dal latino delle tragedie di Seneca, sia perché Dolce ignorava la lingua greca, sia perché la corrispondenza del testo del Dolce con il testo di Euripide non è molto stretta. L'atteggiamento del Dolce, nei confronti dei classici, è quella del poligrafo, ossia del divulgatore all'epoca del diffondersi della stampa o, come lo definiva il Dionisotti, di "operaio della letteratura".

Seneca rielabora il modello euripideo, costruendo la tragedia come un <<ascendere verso un livello d'essere indispensabile al compimento dell'atto>> (J. Pigeaud), verso, cioè, uno stato di tensione derivante da un'energia accumulata che, ad un certo punto, si scatena irrimediabilmente.

Ethocentrismo

La tragedia di Richard Glover

il contenuto è di ordine morale

volti

mille

l'opera si basa sui valori etici che caratterizzano i personaggi

Seneca vs Euripide

I

di

Si tratta di un adattamento della tragedia classica di Euripide nella versione di Seneca rispetto ai gusti del pubblico inglese del XVIII secolo, che amava trame drammatiche ed emotive incentrate su figure femminili idealizzate, tormentate ma virtuose.

NOVITA':

° l'infanticidio non è un'azione deliberata, bensì è causato dalla pazzia.

° tema principale è il trionfo del male

Medea

Parte di una pittura murale romana trovata a Pompei, oggi conservata al Museo Nazionale di Napoli. Rappresenta Medea, nel momento che precede l'uccisione dei suoi figli.

mitologia greca

Medea è una figura della

Pseudo-Apollodoro

Medea uccide i suoi figli; anfora campana, ca 350-320 a.C.

Antony Frederick Sandys, ritratto

di Medea, 1800 (British, 1829-1904)

Diodoro Siculo, Bibliotheca Historica

Medea, "aiutante magica"

Il passaggio di Medea dalla figura di divinità solare ed "epica", presente nella poesia arcaica, a maga e amante sembra preesistere ad Euripide: una tradizione presente in Diodoro Siculo, infatti, la vede come una maga che aiuta gli stranieri, invece di ucciderli come i genitori, e per questo portata via dagli Argonauti, che la premiano salvandola dalle ire paterne.

Tale tradizione, seppur razionalizzata in Diodoro, rinvia ad un procedimento fiabesco quale quello di Medea "aiutante magica" nell'impresa degli Argonauti, e che è, quindi, probabilmente parallelo alla figura epica di Medea nella tradizione arcaica.

La Medea di Ovidio

Alterità: donna, sapiente e straniera

Raccontano che gli Argonauti, dopo essersene andati dalla Tauride, fossero approdati di notte al già citato terreno sacro della Colchide. Lì, imbattutisi in Medea che vagava sulla spiaggia, ed essendo venuti a sapere da lei dell'usanza di uccidere gli stranieri, accolsero da un lato con piacere la gentilezza della ragazza, dall'altro, avendole manifestato la loro iniziativa, vennero a sapere nuovamente da lei il rischio che le toccava da parte del padre a causa dell'atto di pietà nei confronti degli stranieri. Manifestatasi quindi l'utilità comune, Medea promise che avrebbe cooperato con loro finchè non avessero portato a termine l'impresa che si proponevano, e Giasone diede assicurazione attraverso giuramenti che, una volta sposatala, l'avrebbe avuta come compagna per tutto il tempo della vita. Dopo questi fatti, gli Argonauti, dopo aver lascito delle guardie alla nave, di notte, con Medea, si misero in moto verso la pelle dal vello d'oro.

L'epistola XII e il confronto con Seneca

Scene dal mito di Medea: invio dei doni a Creusa, morte di Creusa, partenza di Medea con le salme dei figli. Sarcofago greco di marmo, 150-170 d.C.

Nella XII lettera delle sue Heroides (quella di Medea a Giasone) Ovidio descrive una Medea che oscilla tra la dimensione elegiaca, provvisoria, e quella drammatica, costituzionale, tanto che alla fine si toglie i panni della donna innamorata, subordinata all’uomo, per indossare quelli dell’eroina tragica che noi conosciamo attraverso il mito. Ovidio, quindi, pur muovendosi nell’ambito dell’elegia, riserva a Medea la possibilità di tornare ad essere la vera Medea, quella del paradigma mitico, e ci riesce usando tecniche affini a quelle drammaturgiche, che saranno poi pienamente sfruttate da Seneca. E’ di rara efficacia drammatica la scena epitalamica dell’epistola XII, inesistente in Euripide, quindi, pura invenzione di Ovidio, che si ritrova nella parte di Medea nella tragedia senecana. In essa la protagonista della lettera ovidiana è dolorosamente stupita dal canto nuziale che le colpisce le orecchie e stenta a credere che Giasone le stia facendo tutto questo male, in cambio dei benefici da lei ricevuti. La trovata geniale di Ovidio è nella drammatizzazione della scena, con la servitù che nasconde le lagrime e non osa dire alla padrona quel che sta accadendo, e il più piccolo dei figli di Medea che si ferma sulla porta e invita la madre a vedere Giasone, il padre, in testa al corteo, nelle sue vesti dorate: tutto ciò strazia il cuore di Medea che vorrebbe correre a strappare il marito alla sua nuova sposa, ma si trattiene, perché ormai è il tempo della vendetta, e niente la fermerà. Anche la protagonista della tragedia senecana impallidisce, trascolora alle note del canto nuziale, ma nel suo a parte, dopo lo stupore, subito Medea recrimina sulla perfidia e l’ingratitudine di Giasone, che non può lasciare impunite, anzi, benché si senta trascinata in mille direzioni dalla mente sconvolta, tuttavia, deve mettere in atto la sua vendetta, facendosi consigliare dai suoi stessi misfatti, e facendo in modo che mai Giasone si dimentichi di lei.

Medea, tragedia di Pierre Corneille

Heroides & Metamorfosi a confronto

Ovidio tratta del mito di Medea in due distinte opere: le Heroides e le Metamorfosi. Nel primo testo è la donna a parlare cercando di commuovere il marito, ma il racconto si interrompe prima del compimento della tragedia e il suo completamento è possibile al lettore solo attraverso la memoria letteraria. La Medea delle Metamorfosi è ben diversa: essa oscilla tra ratio e furor, mens e cupido, riprendendo, almeno in parte, la giovane tormentata dai rimorsi di Apollonio Rodio, divisa tra il padre e Giasone. Medea si dilania tra incertezza, paura, commozione e compassione.

La metamorfosi avviene in modo repentino ed è possibile rintracciarla attraverso il confronto tra la scena dell'incontro con Giasone nel bosco sacro e il ringiovanimento del padre dell'amato: se nel primo caso appare come un medico antico, nel secondo utilizza esplicitamente la parola "arte" (vv.171-179) mostrandosi come una vera strega. Anche Ovidio riprende la scena del carro, presente già in Euripide e successivamente in Seneca, ma se in questi due casi l'episodio è inserito alla fine del racconto, Ovidio lo colloca a metà della narrazione: in tal modo Medea perde le sue qualità umane e il mondo reale cede il posto a quello fantastico.

All'inizio della "Metamorfosi", Medea è la protagonista assoluta, ma pian piano cessa di essere un'eroina in cui il lettore può identificarsi e diviene un personaggio che appare e sparisce come per magia.

La tragicità del finale non è sfruttata al massimo: Medea è divenuta una vera strega e quindi non soffre dell'infanticidio commesso né potrebbe soffrire di un'ipotetica punizione.

Nell'Odissea . . .

Apollonio Rodio

v. img Medea e Giasone (di Girolamo Macchietti, 1570-1573, Palazzo Vecchio, Firenze)

Medea tra amor et pudor

Premessa

Anche se Medea non è mai nominata nei poemi omerici, la prima esplicita attestazione sull'impresa degli Argonauti si trova nell'Odissea (Od. XII 59-72), quando Circe fa ad Odisseo raccomandazioni riguardo alla rotta da seguire verso la Trinacria dopo l'incontro con le Sirene:

Prima

Dopo

Medea è la figura femminile del mito greco che ha da sempre esercitato maggiore suggestione sull'immaginario collettivo della cultura occidentale. Protagonista di antiche saghe, oggi perdute, in cui era probabilmente associata alla maga Circe, sorella di suo padre Eeta e figlia del Sole, Medea lascia intravedere, come la terribile sua parente, arcaici connotati divini che potrebbero farne una delle tante personificazioni della Madre primordiale, signora della natura ed espressione del potere vitale (ma anche distruttivo) dell'elemento femminile. Ma soprattutto la principessa della Colchide è a noi legata all'impresa degli Argonauti. In essa si sovrappongono gli echi lontani dei primi viaggi per mare compiuti dai Greci sulle rotte commerciali del Mar Nero e quelli di fosche leggende risalenti al periodo pre-ellenico.

Nell’ immaginario letterario Medea occupa un posto di rilievo, in quanto continua ancora a godere di una straordinaria vitalità nell’ arte (pittura e scultura) e soprattutto nel teatro, da quello greco-romano a quello contemporaneo, non soltanto grazie al capolavoro messo in scena da Euripide nel 431 a.C., ma anche per merito di quanti, in tutti i tempi e in tutte le culture hanno imitato, parodiato, emulato, rielaborato l’ opera del grande tragediografo greco. Dopo Euripide Medea è stata rappresentata di volta in volta come dea, maga barbara e crudele o come donna abbandonata, soggiogata da smisurati sentimenti, in continua alternanza tra comportamenti emotivi e raziocinanti, è stata presa a pretesto per indagare nel profondo delle passioni umane, oppure è stata considerata paladina del femminismo fin dalla metà del sec. XIX, a tutt’ oggi è elevata a simbolo di minoranze soggette a vessazioni di ogni tipo, a pregiudizi, ed emarginazione da parte dei gruppi sociali dominanti.

  • Adolescente

  • Trafitta dai dardi di Eros

  • Si abbandona anima e corpo allo struggimento della passione

La descrizione odisseica delle Rupi Erranti contamina due diverse versioni, la prima delle quali insiste sulla risacca provocata dagli scogli, che mette a rischio l’ integrità delle navi, la seconda invece conosce la pericolosità delle Rocce Cozzanti tra loro. Questo particolare è certamente desunto da un precedente epos sull’ impresa degli Argonauti, che fece da modello per la strutturazione del viaggio di Odisseo sia nelle linee generali sia nei particolari, anche se risulta impossibile definire l’ entità e le modalità dell’ imitazione. In questa composizione perduta, Giasone con l’ aiuto di Era, manovrando la nave Argo, riusciva a superare le Simplegadi e, rompendone l’ incantesimo, le faceva diventare immobili.

  • Per Giasone tradisce il padre e la patria

  • Muore un passato di tenerezze, gioie e affetti

  • Si spalanca un buio abisso popolato da creature mostruose e forze spaventose

Il sangue sprizzato dal corpo martoriato del tratello le macchia il candido peplo, in un cruento rito di passaggio il cui simbolismo cromatico sancisce la definitiva vittoria dell'amore (il rosso del sangue) sul pudore (il bianco della veste).

Da un lato vi sono rupi scoscese, e di contro alto rimbomba il flutto dell’ azzurra Anfitrite: i Beati le chiamano Rupi Erranti. Neppure i volatili vi passano, neppure le trepidanti colombe che al padre Zeus portano ambrosia: la roccia liscia ne afferra sempre qualcuna e il padre ne manda un’ altra a completare il numero. Da lí nessuna nave d’ eroi, che vi capitasse, scampò, ma le onde del mare e i turbini di un fuoco funesto travolgono in mucchio legni di navi e corpi di uomini. Solo una nave marina riuscí a passarle, Argo, da tutti cantata, tornando da Eeta. E quasi scagliavano anch’ essa contro le immani rupi, ma Era la spinse oltre, perché le era caro Giasone.

La Medea Romantica: Il Vello d'Oro di Grillparzer

Nella Teogonia . . .

La genealogia di Medea, che pone come suo antenato Helios, si trova nella Teogonia di Esiodo (Hes. Theog. 956-962 e 992-1002, cf. A. Moreau, Le mythe de Jason et de Médée. Le va-nu-pied et la sorcière, Paris 1994, p. 101ss):

La potenza dell'amore

Erodoto

Medea come causa dell'ostilità fra Greci e Persiani

All’ infaticabile Helios l’ illustre oceanina Perseide partorí Circe e il sovrano Eeta. Eeta figlio di Helios che illumina i mortali, per volere degli dei sposò Idyia (Colei che sa) dalle belle guance, la figlia di Oceano, fiume perfetto. Costei, soggiogata dall’ aurea Afrodite, a lui in amore generò Medea (Colei che escogita) dalle belle caviglie

. . .

La figlia di Eeta, sovrano rampollo di Zeus, il figlio di Esone, per volontà degli dei sempiterni, la condusse via da Eeta, dopo avere compiuto dolorose fatiche, che in gran numero gli comandava Pelia, sovrano grande e tracotante, il superbo Pelia, violento e brutale. Dopo aver compiuto queste fatiche giunse ad Iolco, avendo molto sofferto, portando la fanciulla dagli occhi belli sulla nave veloce, lui, figlio di Esone, e la fece sua sposa fiorente. E lei, unitasi a Giasone, pastore di genti, generò il figlio Medeio, che Chirone, figlio di Fillira, nutrí: si compí cosí il disegno del grande Zeus.

Nel VII libro di Erodoto, Medea è eroina eponima del popolo dei Medi: lo storico certamente conosceva il suo mito, come si può ricavare dalla precisazione cronologica - che Medea andò in Oriente dopo il soggiorno in Atene presso Egeo - e geografica - Medea è detta della Colchide.

In I 2, lo storico afferma che i greci la rapirono ad Eea, presso il Fasi, come ritorsione per il rapimento di Io da parte dei fenici: dunque Erodoto mostra di non conoscere altre motivazioni se non il ratto, con una strana mancanza della tradizione della fuga d'amore, mentre per Io, curiosamente, registra la tradizionale fuga d'amore con il capitano straniero, nota per Medea e Giasone.

Ennio:

Medea, l'esule malata d'amore

Pindaro, Pitica IV

Mimnermo, Nannò

Medea innamorata

a confronto con . . .

Cicerone cita Ennio

Secondo i Persiani Io giunse in Egitto così e non come narrano i Greci; e questo episodio avrebbe segnato l'inizio dei misfatti. In seguito alcuni Greci (essi non sono in grado di precisarne la provenienza), spintisi fino a Tiro, in Fenicia, vi rapirono la figlia del re, Europa; è possibile che costoro fossero di Creta. E fino a qui la situazione era in perfetta parità, ma poi i Greci si resero responsabili di una seconda colpa: navigarono con una lunga nave fino ad Ea e alle rive del fiume Fasi, nella Colchide, e là, compiuta la missione per cui erano venuti, rapirono Medea, la figlia del re dei Colchi; questi mandò in Grecia un araldo a reclamare la restituzione della figlia e a chiedere giustizia del rapimento, ma i Greci risposero che i barbari non avevano dato soddisfazione del ratto dell'argiva Io e che quindi per parte loro avrebbero fatto altrettanto.

Storie, Libro I, par 2

. . . Apollonio Rodio

Nel corso della sua accorata difesa di Celio (Pro Caelio 18) Cicerone, rispondendo all’accusa mossa al suo assistito di aver abbandonato il tetto paterno, ribatte che il giovane imputato ha optato per una nuova casa sul Palatino su consiglio del genitore stesso e che anzi proprio lì sono iniziati i suoi guai: in quei luoghi, infatti, si sono consumati gli incontri tra Celio e Clodia, la Medea Palatina temibile tanto quanto la mitica principessa della Colchide. Cicerone però non si limita a identificare la spregiudicata sorella di Clodio con la maga infanticida; l’oratore fa sfoggio della sua erudizione mediante una reminiscenza letteraria antica: si tratta del prologo della Medea di Ennio, la prima tragedia in lingua latina incentrata sulle vicende dell’eroina colchica. A Cicerone basta citare in parte solo tre versi (vv. 1, 8-9), sufficienti, evidentemente, perché nelle menti dei giudici riaffiori alla memoria l’antico testo tragico:

Utinam ne in nemore Pelio… ac longius mihi quidem contexere hoc carmen liceret: nam numquam era errans hanc molestiam nobis exhiberet Medea animo aegro, amore saevo saucia

«Oh, se mai nel bosco del Pelio...» e certo mi sarebbe possibile proseguire ancora nella citazione: «mai infatti la padrona vagando» ci procurerebbe questo fastidio, «Medea dall’animo afflitto, ferita da un amore crudele»

Nel passo enniano citato da Cicerone la persona parlante è la nutrice di Medea, che esprimeva il desiderio (evidentemente irrealizzabile, giacché il dramma è ambientato a Corinto e si riferisce, dunque, a una fase già inoltrata del mito degli Argonauti) che mai avesse avuto luogo la costruzione della nave Argo, né mai avesse avuto inizio la spedizione degli eroi greci (a capo dei quali era Giasone) alla conquista del vello d’oro. Se queste condizioni non si fossero verificate in passato, concludeva la nutrice, mai Medea avrebbe osato abbandonare la casa paterna, né sarebbe stata vittima della ferita infertale da un amore tanto furioso (saevo) quanto nocivo per il suo animo (aegro animo). Sono chiari il fine di Ennio e l’acume retorico della sua operazione: offrire un amaro ritratto della situazione presente (la condizione di esclusa vissuta da Medea e la sua “malattia d’amore”), reso ancor più intenso (e dunque più adatto a commuovere gli animi degli spettatori) proprio dal ricordo degli eventi passati che originarono il dramma.

Ennio vs Euripide

ed Euripide

Prologhi a confronto

Medea di Luigi Cherubini

Più di ogni altra innovazione, pare significativa l’attenzione dedicata dal poeta di Rudiae alla cosiddetta Pathetisierung (“patetizzazione”, per usare le parole di W. Röser): Ennio riserva allo stato d’animo della protagonista l’intero verso 9. Diversamente dalla Medea di Euripide, il testo latino manifesta infatti sin dal prologo una spiccata propensione per l’accentuazione dell’elemento patetico; lo scopo dell’autore è soprattutto dare enfasi al dolore di una donna pur macchiatasi di colpe incancellabili.

Waterhouse, Medea mostra la pozione a Giasone per uccidere i serpenti, olio su tla, 1907

Medea (Euripide) vs Oresteia (Eschilo)

Medea di Euripide

Nella sua tragedia, Euripide affonta un preciso problema: fin dove può spingere la propria vendetta un animo umano deluso e umiliato nei suoi sentimenti più profondi? La risposta che Medea fornisce è terribile: non esiste limite alla vendetta.

La tragedia

Data di rappresentazione:

431 a.C.

Ambientazione:

Corinto

Personaggi principali:

  • Medea
  • Giasone
  • Glauce, figlia di Creonte
  • Creonte, re di Corinto

L'eroina

La Medea è divisa in due parti: nella prima l'anelito alla vendetta è già fortissimo, ma l'obiettivo resta confuso e indistinto, nella seconda esso è invece perseguito con agghiacciante e lucida consapevolezza. La spinta all'azione giunge dall'interno; ciò comporta che il contrasto tragico sia espresso dal travaglio psicologico della protagonista, trasformata da essere umano (una madre generatrice di vita) nel suo opposto (una belva apportatrice di morte).

Medea possiede la caratteristica peculiare dell'eroe, la risolutezza nelle decisioni, espressa senza possibilità di compromesso - l'aggettivo verbale "ergasteon" (791) "la cosa deve essre fatta", "tolmeteon" (1051) "devo osare"; i futuri di volontà (specialmente "kteno", "io ucciderò" è un termine che ricorre frequentemente). Medea rifiuta appelli alla moderazione e duri richiami alla ragione.

Argomento:

Il thumos

  • Giasone decide di interrompere il suo legame con Medea e di sposare Glauce
  • Medea manda un peplo e un diadema, imbevuti in un veleno, a Glauce
  • Glauce muore insieme a Creonte, invano accorso in suo aiuto
  • Medea uccide i figli, i cui cadaveri porta con sè, in fuga sul carro del Sole

La condizione femminile

Medea è dotata di una passionalità intensa, quel thumos con cui discute, scongiurandolo di avere compassione per lei, come se fosse qualcosa al di fuori del suo io. Sente che le si è mancato di rispetto, che è stata offesa e oltraggiata. Maledice i suoi nemici mentre pianifica la sua vendetta. E' sola e abbandonata e nel suo isolamento e nella sua disperazione desidera la morte. <<Perchè mi comporto come una pazza? e mi mostro ostile ai saggi consigli? Non mi libererò dalla passione?>> (vv.873-879)

Solo ad una figura come Medea Euripide poteva affidare senza forzature la cruda e spietata analisi di ciò che significava essere donna ad Atene nel V secolo a.C., priva di qualsiasi possibilità di difesa dalla prepotenza maschile.

da

"prendersi cura", "macchinare"

"Di tutti quanti gli esseri che hanno respiro e intelligenza, noi donne siamo il prodotto più infelice; innanzitutto, a suon di denaro, dobbiamo comprare un marito, e prenderlo come padrone del corpo [...] E se, dopo tutti gli sforzi, il marito coabita portando contento il gioco, allora la vita è invidiabile; altrimenti, meglio morire. [...] Dicono che una vita senza rischi noi viviamo a casa, mentre loro vanno in guerra: discorsi da pazzi!; tre battaglie sono pronta a fare, invece che partorire una volta. [...] La donna, per il resto, è tutta una paura, imbelle alla lotta; un'arma, neppure può guardarla; ma se umiliata nell'intimo del letto, altro essere più sanguinario di lei non esiste."

Medea, vv 230 - 266, trad. di M. Casertano

ΜήδειαΜήδεια

"rimedio", "veleno"

simile a

Medea uccide i figli, Eugène Delacroix (1838) particolare

Medea, dipinto di A.F.A. Sandys (1866-68)

La condizione di straniera

Al cinema...

"Comprendo il delitto che sto per osare: ma la passione, che è causa delle più grandi sventure per i mortali, è più forte dei miei proponimenti."

(Medea, vv. 1079-1081)

Medea e Giasone, teatro greco di Siracusa

Argomento

Medea (Euripide) vs Macbeth (Shakespeare)

Il fragile universo femminile

Il violento universo femminile

Medea

Lady Macbeth

Medea

Lady Macbeth

Antagonista di suo marito

Alleata di suo marito

Travaglio psicologico

Assassine

Punizione e vendetta

Espressione dei desideri del marito

Giustificazione

  • Indole violenta
  • Fredda determinazione
  • Esclusa perchè straniera e maga
  • Tradita dal marito
  • Rimorsi
  • Sensi di colpa

Femminilità negata

Trionfante sul carro del Sole

Suicida

"Non sei una donna, ma una leonessa [...]" Giasone

"Venite spiriti, [...] snaturate il mio sesso [...], venite al mio seno di donna e prendete il mio latte al posto del vostro fiele [...]" Lady Macbeth

Ellen Terry interpreta Lady Macbeth

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